Oggi parliamo di un dramma che almeno una volta nella vita è capitato ad ogni archeologo: tentare di fare la foto archeologica perfetta.
E lo facciamo con le parole di Maura Medri, dal “Dizionario di Archeologia” a cura di R. Francovich e D. Manacorda (p. 271).
► Sullo scavo le fotografie servono a integrare la documentazione grafica. Le foto generali documentano situazioni stratigrafiche che interessano un intero settore o più settori, ambienti o gruppi di ambienti, strutture e lo stato dell’area di scavo al termine della campagna di scavo.
► Per queste fotografie è preferibile un punto di vista elevato (i risultati migliori si ottengono stando a 8-9 m da terra), scegliendo tra visioni prospettiche o zenitali.
Esempio → una veduta prospettica rende di più per descrivere il contesto dello scavo, una zenitale mostra al meglio il dettaglio planimetrico
► Le fotografie di dettaglio servono a documentare singole unità stratigrafiche o gruppi di unità particolarmente significative. Con una fotografia si può documentare anche un insieme di reperti nel loro contesto di rinvenimento. Il maggior pregio della fotografia di dettaglio consiste nella nitidezza dei particolari.
► Il soggetto deve occupare possibilmente tutto lo spazio dell’inquadratura ed essere centrato. Tra i soggetti meno fotogenici ci sono gli strati terrosi, per i quali è difficile far risaltare in pieno colore, tessitura e componenti. Anche in questo caso è da privilegiare il punto di vista elevato (a 2-3 m di altezza).
► In tutte le fotografie vanno inseriti sempre i riferimenti metrici (palina, metro o metrino) e nelle foto di dettaglio non possono mancare una lavagnetta (su cui scrivere luogo e data, numero di Unità Stratigrafica) e la freccia del nord. La grandezza e la disposizione di questi oggetti vanno studiate in rapporto all’ampiezza dell’inquadratura e alla distanza del soggetto dalla macchina.
► Le strutture in elevato vengono documentate con fotografie d’insieme per far capire la disposizione della porzione conservata degli edifici in rapporto al contesto. Si eseguono poi fotografie di dettaglio per la stratigrafia muraria, le particolarità costruttive e le tecniche edilizie. In questo caso la macchina va collocata parallelamente alla superficie muraria.
Antonia Falcone
https://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/92225160_3233446300021820_8436211957219983360_o-1.jpg10801080Antoniahttp://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/logopervideo-300x74-1-300x74.jpgAntonia2020-04-09 14:13:542020-05-14 11:09:01#PilloleMetodologiche: la fotografia archeologica
Oggi parliamo di strati, non quelli delle lasagne (che state preparando a casa in questi giorni di quarantena), ma quelli spiegati da E. C. Harris, nel suo volume del 1979 “Principi di Stratigrafia Archeologica” (pp. 80-84)
► Tutte le forme di stratificazione archeologica sono il risultato di cicli di erosione e di deposito, e quindi possiamo definire questo processo duplice: la creazione di uno strato equivale alla creazione di una nuova interfaccia e in molti casi di più di una.
Esempio → le foglie cadute da un albero nel formare un nuovo deposito, costituiscono anche una nuova superficie o interfaccia.
► La stratificazione archeologica è dunque composta da depositi e interfacce: tutti i depositi hanno superfici di strato, ma molte superfici in sé, come le fosse, non prevedono alcun deposito.
► Questi depositi e interfacce archeologiche, una volta creati, possono essere alterati o distrutti nella prosecuzione del processo di stratificazione: pertanto il processo di stratificazione archeologica è IRREVERSIBILE. Quando un’unità stratigrafica si è formata, è soggetta, da allora in poi, SOLO ad alterazione e deperimento, per questo motivo qualunque stratificazione archeologica ribaltata darà SEMPRE come risultato la formazione di una nuova stratificazione.
► Sono 3 i fattori principali che determinano l’accumulo involontario di resti culturali mediante il processo di stratificazione archeologica:
■ le superfici di terreno già esistenti ■ le forze della natura ■ le attività umane
La storia dell’umanità è in larga misura storia di costituzione di nuovi bacini di deposito o, per così dire, di limiti di proprietà stratigrafici.
Antonia Falcone
https://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/91276502_3208202582546192_4579154617572524032_o.jpg12722048Antoniahttp://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/logopervideo-300x74-1-300x74.jpgAntonia2020-04-02 14:09:002020-05-14 11:35:48#PilloleMetodologiche: la stratificazione archeologica
Approfitto di questo periodo di quarantena totale per inaugurare le #PilloleMetodologiche, indicazioni bibliografiche utili per gli studenti di archeologia e allo stesso tempo informazioni di metodo per chi vuole approfondire alcuni aspetti della Professione dell’Archeologo.
Iniziamo dalla forma dello scavo, con le parole di Andrea Carandini, da “Storie dalla terra” (pp. 42-51).
► Le trincee sono la forma più antica dello scavo. Oggi le trincee appaiono funzionali solo nel caso di strutture lineari: mura, fossati e strade. Ma anche in questo caso i dati forniti riguardano le trincee stesse e difficilmente sono generalizzabili. Il vantaggio della trincea sta nell’impostare rapidamente un problema e nell’acquisire subito i primi dati
► I saggi possono dare indicazioni utili sulla potenzialità stratigrafica di un insediamento. Moltiplicare sistematicamente i saggi regolari separandoli con testimoni è stata un’idea di Wheeler e Kenyon. Pur avendo rappresentato una tappa fondamentale dell’archeologia sul campo questa forma di scavo mostra ormai i suoi limiti: i risparmi impediscono di cogliere le relazioni stratigrafiche al loro interno e consentono solo di stabilire ipotetiche correlazioni tra saggio e saggio.
► Lo scavo per grandi aree permette di attuare l’idea che un edificio o un complesso di edifici si comprendono indagandoli per intero anzichè sondandoli in parte e pretende allo stesso tempo di operare con un controllo stratigrafico rigoroso.
Al termine di questa evoluzione metodologica l’attenzione si sposta da ciò che si vede in sezione a quanto si vede sulla superficie dello scavo.
Antonia Falcone
https://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/professione-archeologo-metolodogia-1.png960748Antoniahttp://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/logopervideo-300x74-1-300x74.jpgAntonia2020-03-26 13:29:002020-05-14 11:32:47#PilloleMetodologiche: la forma dello scavo
Un viaggio in Grecia è
il grande sogno di ogni archeologo per ripercorrere le tracce che nel corso dei
secoli hanno portato alla nascita e sviluppo della democrazia ateniese, della
ceramografia attica, della statuaria cicladica, dell’architettura templare e
delle arti “minori”.
Non è un caso che anche la sottoscritta abbia deciso di voler fare l’archeologa da grande proprio sull’Acropoli di Atene: era il 1989, avevo 9 anni appena compiuti e i miei genitori mi portarono in viaggio in Grecia. Al cospetto dell’immensità del Partenone la mia domanda fu “chi scopre questi templi?” e alla risposta di mio padre “gli archeologi”, esclamai “da grande allora voglio fare l’archeologa!”
Tanta acqua è passata
sotto i ponti, oggi sono un’archeologa, non faccio esattamente quello che avevo
sognato da bambina (scoprire antiche civiltà o città sepolte), ma il fascino –
e anche la soggezione – che esercita l’antica Grecia è rimasto immutato.
E così, dopo
esattamente 30 anni dalla mia prima e ultima visita in Grecia, la scorsa estate
sono tornata ad Atene, superando finalmente quel blocco psicologico che mi
aveva tenuta lontana dal luogo dove ho deciso quale sarebbe stato il mio
destino.
In questo breve post vi riassumo il mio giro archeologico nella capitale greca suddiviso in tre giorni e alla fine vi chiederò qualche consiglio sui luoghi imperdibili della Grecia continentale!
Programmare il viaggio
Raggiungere Atene è comodissimo e anche economico: sono diverse le compagnie lowcost che atterrano nella capitale greca (l’aeroporto Eleftherios Venizelos si trova a circa 30 km dalla città) e prenotando il volo con un certo anticipo potrete risparmiare un bel po’. La Grecia è la meta ideale per chi ha un budget medio-basso da spendere per le vacanze.
Ad Atene ci si sposta
poi con estrema facilità, c’è un sistema di mezzi pubblici ben organizzato, in
particolare la metro funziona in modo efficiente: il biglietto vale un’ora e
mezza e consente di spostarsi anche con filobus e autobus.
Se invece decidete di uscire da Atene e continuare il vostro viaggio nella Grecia continentale, magari verso Delfi o il Peloponneso, la soluzione migliore è noleggiare un’auto. Quello che serve è la patente di guida in corso di validità e avere almeno 21 anni.
Primo giorno
Atterrati all’aeroporto
potrete facilmente raggiungere il centro di Atene con la metro (più veloce)
oppure con un autobus (servizio attivo 24h su 24h): a questo punto può iniziare
il tour archeologico della città di Pericle.
Il primo giorno può essere dedicato alla conoscenza topografica della città: vi consiglio quindi di munirvi di acqua, scarpe comode, snack e avventurarvi tra le strade del centro città.
Di Atene mi ha colpito
molto un aspetto: non è una città monolitica, ma si compone di tante città in
una sola città. Ogni quartiere ha una sua specificità che lo rende diverso
anche da quello più prossimo e proprio per poter assaporare questa
frammentarietà la soluzione migliore è camminare (con una buona guida sotto il
naso) e perdersi tra vicoli, strade trafficatissime e scorci improvvisi
sull’Acropoli.
Il punto di partenza ideale per un archeotrekking ateniese è la stazione della metropolitana Akropoli: già all’interno della stazione avrete un assaggio dell’archeologia che permea tutta la città, infatti ci sono vetrine che espongono i reperti ritrovati durante la costruzione della metro.
Potete quindi trascorrere la mattinata nel quartiere prospiciente il Nuovo Museo dell’Acropoli, fiancheggiando lo spettacolare Teatro di Dioniso, la Stoà di Eumene, riempiendovi gli occhi della bellezza dell’Odeon di Erode Attico, proseguendo poi verso l’Agorà Romana e la Biblioteca di Adriano, affacciandovi sulla Torre dei Venti e tornando poi nel quartiere Plaka (che io ho trovato troppo turistico, ma che comunque merita una visita).
A questo punto ci sta
bene una pausa pranzo per riposare un po’ prima di ascendere al Licabetto, dove
vi conviene arrivare all’ora del tramonto per godere di una delle viste più
belle e suggestive di Atene.
Nel tragitto verso il Λυκαβηττός, “collina dei lupi”, che secondo la mitologia greca sarebbe stato creato dalla dea Atena e il cui nome deriva dalla presenza in antico dei lupi, potete fare una deviazione verso l’Olympieion che svetta con le sue colonne e poi fermarvi al Museo Numismatico, ospitato nella residenza di Heinrich Schliemann!
Museo Numismatico di Atene
Ormai stanchi e provati dalla fatica di essere archeologi in una città archeologica vi aspetta l’ultimo sforzo della giornata: la salita alla collina più alta di Atene, attraversando uno dei quartieri più alla moda della capitale greca, Kolonaki. Rimarrete stupiti dalle splendide architetture degli edifici privati e pubblici, dai caffè e dalle gallerie d’arte che punteggiano il quartiere.
Ora siete pronti a godervi il tramonto: potete raggiungere la vetta del Licabetto con la funicolare o a piedi (dipende dall’acido lattico che avete accumulato durante la giornata!). Se avete programmato il vostro viaggio ad agosto aspettatevi una ressa indicibile di turisti, accalcati per vedere il sole che tramonta su Atene, ma nonostante la confusione la vista dell’Acropoli che si illumina man mano che scende il sole vi rimarrà nel cuore.
Atene dal Licabetto (Ph. Antonia Falcone)
Secondo Giorno
La seconda giornata di questo archeotour ateniese va tutto dedicato all’Acropoli e al suo museo. In estate è da veri eroi affrontare il pianoro che ospita il Partenone, non soltanto per il caldo greco, ma soprattutto per la marea umana di turisti che incontrerete. Il consiglio è quello di recarsi sull’Acropoli al mattino, poco dopo l’apertura delle 8, solo così potrete godervi tutta la monumentalità del luogo simbolo di Atene.
Il momento più emozionante per me è stato quando ho attraversato i Propilei: mi è sembrato davvero di passare in una porta spazio temporale che mi ha trasportata direttamente nell’Atene di Pericle.
Sul pianoro spicca in tutta la sua maestosità il Partenone, ancora in restauro, e passeggiando sotto l’afa agostana sembra quasi di immaginare il vociare degli ateniesi di V secolo a.C. che dovevano aggirarsi quassù.
Il Partenone (Ph. Antonia Falcone)
Poi è tutto un susseguirsi di marmi e colonne: l’Eretteo, il tempietto di Atena Nike, il santuario di Artemide Brauronia e così via, con in testa sempre l’immagine (e la canzoncina) di Pollon.
Per non perdere la connessione con il luogo più sacro dell’antica Grecia, conviene dedicare il pomeriggio alla visita del Nuovo Museo dell’Acropoli, un luogo stupefacente, inaugurato nel 2009.
Il Museo, progettato dall’architetto
svizzero Bernard Tschumi in collaborazione con Michalis Fotiadis, è
forse il più bel museo archeologico che mi è capitato di visitare finora. Nasce
in sostituzione del precedente museo situato proprio sul pianoro, per
conservare ed esporre tutti i reperti rinvenuti sull’Acropoli.
Il museo si sviluppa su tre piani: quello inferiore è dedicato ai rinvenimenti archeologici effettuati sulle pendici; il primo piano offre un excursus cronologico dell’arte greca con un’intera ala dedicata alla statuaria di età arcaica (ATTENZIONE: qui è vietato fare foto) e infine il terzo piano, orientato diversamente rispetto agli altri perché segue l’orientamento reale del Partenone, ospita metope, frontone e fregio del tempio di Atena. Ovviamente parliamo dei pezzi rimasti in Grecia, mentre di quelli conservati al British Museum sono presenti dei calchi.
Il Nuovo Museo dell’Acropoli (Ph. Antonia Falcone)
L’idea sottesa a quest’ultimo piano è di riposizionare in uno spazio specularmente uguale al Partenone, la sua decorazione scultorea.
Segnalo inoltre che nel
piano interrato sono stati musealizzati i resti delle strutture antiche venute
fuori durante i lavori di costruzione del nuovo edificio.
Infine due consigli:
Non perdetevi la ricostruzione dell’Acropoli fatta con i LEGO e dedicate un po’ del vostro tempo a osservare la riproduzione perfetta dei monumenti e a riconoscere personaggi e storie rappresentati
Affacciatevi alla terrazza del bar del museo per avere una vista magnifica dell’Acropoli e poi sbirciate le tovagliette sui tavoli
Terzo giorno
Se ancora non siete stufi di tutta questa archeologia e non volete correre a rifugiarvi su un’isola greca lontani da statue, ceramica e templi, allora il terzo giorno lo potete dedicare al Museo Archeologico Nazionale, ubicato un po’ fuori dal centro città, subito a nord del quartiere Exarchia. Potete decidere di raggiungere il museo in due modi: in metro (scendendo alla fermata Omonia) oppure a piedi dalla fermata Monastiraki. Nel primo caso potete godervi un quartiere pittoresco come Omonia passeggiando tra strade affollate, negozietti veramente greci (che poco concedono al turismo) con un pit stop a Exarchia tra i suoi murales e le tantissime librerie disseminate nel quartiere.
Se invece decidete di fare trekking urbano da Monastiraki al museo potrete approfittarne per fare un giro nel quartiere di Psiri, con i suoi locali e negozi modaioli.
In qualunque modo
deciderete di arrivarci, la tappa al Museo Archeologico vi trasporterà
direttamente dentro il Becatti, cioè il manuale di storia dell’arte greca che
molti di noi hanno studiato per preparare l’esame.
Dal minimalismo dell’arte cicladica ai tesori micenei (basta citare la maschera di Agamennone, la coppa di Nestore e gli ori delle tombe reali), fino ad arrivare al maestoso Vaso del Dipylon di età geometrica (visto dal vivo è enorme!).
I capolavori continuano poi con l’arte di età classica: come rimanere indifferenti di fronte al maestoso equilibrio compositivo del Cronide di Capo Artemisio o all’eleganza dell’Efebo di Anticitera?
Museo Archeologico Nazionale di Atene (Ph. Antonia Falcone)
Il Museo Archeologico è lo scrigno che custodisce tutta la storia di questa straordinaria civiltà, raccontando una grandezza che non è solo patrimonio greco, ma patrimonio di tutta l’umanità.
Terminato l’archeotour
di tre giorni ad Atene, noi poi abbiamo scelto di trascorrere i restanti giorni
di vacanza in un’isola greca isolata dal resto del mondo per goderci lo
splendido mare delle Cicladi, ma per i forzati dell’archeologia un viaggio in
Grecia può continuare da Atene verso Sud o verso Nord alla scoperta di altri
siti che hanno fatto la storia della civiltà.
Quali sono secondo voi i siti imperdibili da visitare in un on the road per le strade greche?
Scrivetemelo nei commenti e chissà che anche questa estate io non decida di andare nuovamente alla scoperta dell’Ελλάδα.
Antonia Falcone
(@archeoantonia)
https://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/IMG_6368-1-scaled.jpg17072560Antoniahttp://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/logopervideo-300x74-1-300x74.jpgAntonia2020-02-20 09:49:132020-05-14 11:04:48Tre giorni di archeologia ad Atene: cosa vedere
Avete tempo fino a domenica 24 maggio 2020 per farvi un giro a Bologna “la Dotta” e immergervi in secoli di storia e cultura etrusca visitando la mostra “Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna” (di cui vi ho parlato qui).
La mostra ha sede all’interno del Museo Civico Archeologico di Bologna, la cui Direttrice, Dott.ssa Paola Giovetti, ha gentilmente risposto ad alcune mie curiosità sull’esposizione e sul museo, recentemente riallestito.
Buona lettura!
Diamo un po’ di numeri. 1400 oggetti, 60 musei di tutto il mondo, 20 anni dopo le ultime grandi mostre dedicate alla civiltà etrusca.
“Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna” si preannuncia come l’evento archeologico di punta di questo scorcio del 2019.
E la mostra sarà ospitata proprio nelle sale di uno dei musei più significativi per la conoscenza della civiltà etrusca: il Museo Civico Archeologico di Bologna.
Possiamo dire che dall’Ottocento, secolo dei primi rinvenimenti etruschi a Bologna, ad oggi la passione per la civiltà nata in Etruria nel IX secolo a.C. non si è mai sopita. Qual è secondo lei la ragione di questo innegabile fascino.
Gli Etruschi sono un popolo meno conosciuto rispetto ad altri, forse perché più trascurato anche dal percorso di studi scolastico ma nella realtà rappresentano, e questa mostra lo testimonia, le nostre radici perché gli Etruschi hanno vissuto in un esteso territorio dell’Italia preromana, dalla pianura padana alla Campania. Il loro fascino forse sta proprio nel fatto che in fondo sappiamo meno di quanto invece ormai conosciamo degli Etruschi grazie al progredire della ricerca e a quanto di nuovo è emerso dagli scavi archeologici più recenti.
I musei tra tradizione e innovazione.
La tradizione conservata nel Museo Civico nel suo allestimento originario, che rappresenta uno dei rari esempi ancora esistenti di museografia ottocentesca italiana, e l’innovazione nell’allestimento della mostra Electa che si sviluppa, a inizio percorso, secondo il Tempo dei Rasna con cinque accesi colori a scandire cinque periodi storici nella storia etrusca.
Si tratta di due diverse, ma complementari, modalità di far vivere l’archeologia al pubblico.
Quali sono secondo lei le parole chiave per comunicare l’archeologia oggi nei musei?
Non è semplice comunicare l’archeologia nei musei perché non è sempre immediatamente comprensibile, perché le maggiori testimonianze che abbiamo provengono dalle necropoli, perché spesso gli oggetti non sono integri, perché la nostra conoscenza della cultura antica, penso solo alla mitologia, alla scrittura, non è immediata ed è necessario compiere alcuni processi: cercare di vivere il passato nel presente per trovarne similitudini e differenze; vivere e pensare ai popoli del mondo antico come coloro da cui abbiamo ereditato strumenti, oggetti, consuetudini, usi; comprendere che i materiali che si osservano provengono dalla ricerca archeologica e che dobbiamo osservare quel determinato oggetto in un contesto e in associazione ad altri oggetti. Se da un lato il Museo Archeologico conserva con tenacia il suo allestimento ottocentesco – oramai ne rimangono pochi esempi – cercando però di migliorare il contesto espositivo per facilitare la lettura dei reperti, dall’altro una Mostra è l’occasione per osare modalità museografiche che siano il più attrattive possibili. Proprio per questo motivo riteniamo che Museo e Mostra, in questo momento, siano un’ottima occasione di lettura del rapporto tra passato e presente.
E infine: i suoi 3 motivi per venire a Bologna a visitare la mostra!
Il primo: i visitatori scopriranno che non esiste una sola Etruria ma più Etrurie e sono certa che il viaggio che abbiamo proposto permetterà al pubblico di percepire questo aspetto anche in maniera molto chiara.
Il secondo: sono esposti materiali e rinvenimenti mai visti dal pubblico e questa è una straordinaria occasione per capire quanto la ricerca e lo scavo archeologico attuale possano aggiungere a quanto degli Etruschi già sapevamo.
Il terzo: 1440 oggetti da 60 musei, solo 4 stranieri, quindi la mostra è una straordinaria testimonianza della ricchezza e dell’importanza del patrimonio archeologico italiano, spesso esposto in piccoli musei del nostro territorio sconosciuti al grande pubblico; il tutto perfettamente inserito in un allestimento molto coinvolgente.
Antonia Falcone
@antoniafalcone
@archeoantonia
https://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/IMG_8486-01.jpeg23043456Antoniahttp://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/logopervideo-300x74-1-300x74.jpgAntonia2020-01-06 15:04:332020-01-06 15:04:33#EtruschiBologna: 3 domande alla Direttrice Paola Giovetti
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