Nelle #PilloleMetologiche di oggi lascio la parola ad A. Carandini e alle sue Storie dalla Terra (p. 155) per capire una volta per tutte la differenza tra la Legge del Terminus Post Quem e la Legge del Terminus Ante Quem.
► Una moneta o un altro reperto databile rinvenuto in uno strato offre un Terminus Post Quem per l’unità stratigrafica, posto che sia il più tardo di quelli coevi alla formazione dello strato, e cioè che che non sia un residuo o un intruso.
Esempio: → se la moneta è del 73 d.C. lo strato si sarà formato nello stesso anno o in un momento comunque successivo, anche lontanissimo.
► La legge del Terminus Ante Quem invece afferma che, se la cronologia di un’unità stratigrafica è nota, tutte quelle che la precedono nella sequenza stratigrafica sono per forza più antiche.
Esempio: → la ceramica del II secolo d.C. rinvenuta in uno strato più recente di un altro strato che contiene ceramica del III secolo d.C. perde ogni valore cronologico: è da considerarsi residua.
https://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/97794514_3324173634282419_948611632618012672_n.png750500Antoniahttp://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/logopervideo-300x74-1-300x74.jpgAntonia2020-05-14 19:52:382020-05-14 19:52:43#PilloleMetodologiche: Post Quem o Ante Quem?
Con le #PilloleMetodologiche di oggi voglio sfatare un mito duro a morire: gli archeologi che scavano con il pennellino. Non esiste servizio televisivo dedicato all’archeologia nel quale non compaia un archeologo al lavoro che impugna un pennellino. E invece tutti gli archeologi sanno che sono ben altri gli strumenti che si usano su uno scavo archeologico.
Vediamo quali.
Ci facciamo quindi aiutare da Maura Medri (Dizionario di Archeologia, pp. 265-266) e da Andrea Carandini (Storie dalla terra, pp. 178-185 ) a fare chiarezza su quali sono gli attrezzi del mestiere:
► Gli strumenti più comuni dello scavo sono pale, picconi e picconcini, zappe, carriole, secchi, palette, scopette, spazzole e cazzuole.
► L’attrezzo indispensabile è la trowel , la cazzuola inglese con lama da 10 cm, robustissima e non flessibile, l’unica con cui sia possibile ripulire e scavare in modo corretto.
► Per rimuovere strati omogenei e di notevole volume (p.e. riempimenti, depositi, crolli), si usano gli strumenti grandi: una persona – la più esperta – sta al piccone; una alla pala che raccoglie i materiali di risulta e li carica sulla carriola mantenendo pulita la superficie dello strato; una alla carriola che si occupa dell’ultima cernita dei reperti e del trasporto della terra di risulta.
► Il piccone è utile per lavori pesanti come spiombare le sezioni. Durante lo scavo la terra va lavorata con ordine e alla stessa profondità per facilitare l’intervento della pala. Ci sono due tipi di pala: quella di forma triangolare e quella di forma rettangolare: per infilarle nella terra bisogna servirsi del peso del proprio corpo, facendo forza con la mano sinistra sul ginocchio sinistro.
► Per ripulire le superfici degli strati e delle strutture e per scavare strati di piccoli o medi volumi si usano gli strumenti più di fino. Ogni scavatore deve essere dotato di un kit di attrezzi: cazzuola inglese, paletta e secchio.
► Con la trowel si raschiano le superfici degli strati per ripulirli o si incidono le superfici degli strati per scavarne il volume. Può essere usata delicatamente o con forza a seconda della pressione esercitata su di essa. Afferrandola per la lama o usandola alla rovescia si incide e si raschia con maggiore efficacia. lo scavo con la trowel consente una raccolta completa dei reperti. Si consiglia di usare la trowel associata a una paletta in modo che il movimento per asportare la terra ed esporre la superficie del nuovo strato coincida con il trasporto della terra sulla paletta.
► Altri attrezzi come bisturi, cucchiai, palette a sezione circolare, cazzuole a manico lungo, etc. possono essere utili quando gli altri strumenti sono inappropriati.
https://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/Untitled-design.png7271080Antoniahttp://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/logopervideo-300x74-1-300x74.jpgAntonia2020-04-30 09:10:002020-05-13 23:00:15#PilloleMetodologiche: gli attrezzi dell'archeologo
Per le #PilloleMetodologiche di questa settimana andiamo alla scoperta di uno dei misteri irrisolti dell’archeologia di tutti i tempi: trovare l’inclinazione e il diametro dei cocci da disegnare.
E ci facciamo aiutare in questa impresa titanica da Maria Supino con il suo volume (un po’ datato, ma pur sempre valido) “Fondamenti teorici e pratici del disegno dei reperti archeologici mobili” (pp. 52-60).
L’INCLINAZIONE
► La ricerca dell’inclinazione dei frammenti è indispensabile per la ricostruzione e l’individuazione rispettivamente del diametro e della forma di un manufatto non più intero.
► Per determinare l’esatta inclinazione del frammento, cioè la posizione da esso assunta, rispetto al presunto piano orizzontale di appoggio dell’oggetto intero, è necessario che il frammento conservi almeno in parte l’orlo, il fondo o il piede.
► L’individuazione dell’inclinazione di un frammento, ossia l’angolo che esso formava con il piano orizzontale di lavoro del vasaio, si ottiene appoggiando la parte di orlo, di fondo o di piede conservata su un piano perfettamente orizzontale in modo da farla aderire completamente, senza lasciare cioè interstizi attraverso i quali filtri luce.
► Quindi, determinato il tratto del frammento lungo il quale si vuole far passare la linea di sezione (il tratto di maggior lunghezza), si calcolano:
– L’altezza del punto C dal piano orizzontale (CC’); – La distanza (BC’) del punto C’ (proiezione di C sul piano orizzontale) dal punto B, appartenente all’orlo del frammento.
► Prima di riportare le distanze BC’ e CC’ così stabilite sul quadrante sinistro dello schema ortogonale di riferimento disegnato, è necessario determinare il diametro dell’orlo.
IL DIAMETRO
Per calcolare il diametro si possono utilizzare due metodi.
Il primo procedimento consiste nel riportare su un foglio di carta l’arco di circonferenza del frammento in oggetto.
► Si appoggia l’orlo del frammento con la giusta inclinazione direttamente sul foglio di carta e si ripassa il profilo con una matita oppure si ricalca il profilo dell’orlo preso con il profilografo a pettine
► Quindi si fa collimare l’arco di circonferenza tracciato sul foglio di carta con il corrispondente arco del cerchiometro, ottenuto tracciando una serie di circonferenze concentriche, con diametri progressivi su un cartoncino. così si ottiene l’inclinazione.
Il secondo procedimento consiste nel determinare il diametro del frammento applicando all’arco di circonferenza la regola geometrica secondo la quale “per tre punti non allineati passa una ed una sola circonferenza”.
► sia a l’arco della circonferenza dato di cui dobbiamo determinare il centro per ottenere il diametro;
► centrando il compasso nel punto 1 fissato circa a metà dell’arco, con apertura a piacere, ma minore della metà dell’arco, si descrive la circonferenza c che interseca l’arco a nei punti 2 e 3;
► centrando il compasso nel punto 2 con apertura 2 – 1 si descrive l’arco d che interseca la circonferenza c nei punti 6 e 7;
► centrando il compasso nel punto 3 con apertura 3 – 1, si descrive l’arco e che interseca la circonferenza c nei punti 4 e 5;
► il punto 0, intersezione delle rette congiungenti i punti 4-5 e 6-7, è il centro cercato.
https://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/93873289_3259273100772473_6323200227838787584_n.jpg630940Antoniahttp://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/logopervideo-300x74-1-300x74.jpgAntonia2020-04-27 15:52:202020-05-14 11:06:22#PilloleMetodologiche: il disegno dei materiali ceramici
Oggi parliamo di un dramma che almeno una volta nella vita è capitato ad ogni archeologo: tentare di fare la foto archeologica perfetta.
E lo facciamo con le parole di Maura Medri, dal “Dizionario di Archeologia” a cura di R. Francovich e D. Manacorda (p. 271).
► Sullo scavo le fotografie servono a integrare la documentazione grafica. Le foto generali documentano situazioni stratigrafiche che interessano un intero settore o più settori, ambienti o gruppi di ambienti, strutture e lo stato dell’area di scavo al termine della campagna di scavo.
► Per queste fotografie è preferibile un punto di vista elevato (i risultati migliori si ottengono stando a 8-9 m da terra), scegliendo tra visioni prospettiche o zenitali.
Esempio → una veduta prospettica rende di più per descrivere il contesto dello scavo, una zenitale mostra al meglio il dettaglio planimetrico
► Le fotografie di dettaglio servono a documentare singole unità stratigrafiche o gruppi di unità particolarmente significative. Con una fotografia si può documentare anche un insieme di reperti nel loro contesto di rinvenimento. Il maggior pregio della fotografia di dettaglio consiste nella nitidezza dei particolari.
► Il soggetto deve occupare possibilmente tutto lo spazio dell’inquadratura ed essere centrato. Tra i soggetti meno fotogenici ci sono gli strati terrosi, per i quali è difficile far risaltare in pieno colore, tessitura e componenti. Anche in questo caso è da privilegiare il punto di vista elevato (a 2-3 m di altezza).
► In tutte le fotografie vanno inseriti sempre i riferimenti metrici (palina, metro o metrino) e nelle foto di dettaglio non possono mancare una lavagnetta (su cui scrivere luogo e data, numero di Unità Stratigrafica) e la freccia del nord. La grandezza e la disposizione di questi oggetti vanno studiate in rapporto all’ampiezza dell’inquadratura e alla distanza del soggetto dalla macchina.
► Le strutture in elevato vengono documentate con fotografie d’insieme per far capire la disposizione della porzione conservata degli edifici in rapporto al contesto. Si eseguono poi fotografie di dettaglio per la stratigrafia muraria, le particolarità costruttive e le tecniche edilizie. In questo caso la macchina va collocata parallelamente alla superficie muraria.
Antonia Falcone
https://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/92225160_3233446300021820_8436211957219983360_o-1.jpg10801080Antoniahttp://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/logopervideo-300x74-1-300x74.jpgAntonia2020-04-09 14:13:542020-05-14 11:09:01#PilloleMetodologiche: la fotografia archeologica
Oggi parliamo di strati, non quelli delle lasagne (che state preparando a casa in questi giorni di quarantena), ma quelli spiegati da E. C. Harris, nel suo volume del 1979 “Principi di Stratigrafia Archeologica” (pp. 80-84)
► Tutte le forme di stratificazione archeologica sono il risultato di cicli di erosione e di deposito, e quindi possiamo definire questo processo duplice: la creazione di uno strato equivale alla creazione di una nuova interfaccia e in molti casi di più di una.
Esempio → le foglie cadute da un albero nel formare un nuovo deposito, costituiscono anche una nuova superficie o interfaccia.
► La stratificazione archeologica è dunque composta da depositi e interfacce: tutti i depositi hanno superfici di strato, ma molte superfici in sé, come le fosse, non prevedono alcun deposito.
► Questi depositi e interfacce archeologiche, una volta creati, possono essere alterati o distrutti nella prosecuzione del processo di stratificazione: pertanto il processo di stratificazione archeologica è IRREVERSIBILE. Quando un’unità stratigrafica si è formata, è soggetta, da allora in poi, SOLO ad alterazione e deperimento, per questo motivo qualunque stratificazione archeologica ribaltata darà SEMPRE come risultato la formazione di una nuova stratificazione.
► Sono 3 i fattori principali che determinano l’accumulo involontario di resti culturali mediante il processo di stratificazione archeologica:
■ le superfici di terreno già esistenti ■ le forze della natura ■ le attività umane
La storia dell’umanità è in larga misura storia di costituzione di nuovi bacini di deposito o, per così dire, di limiti di proprietà stratigrafici.
Antonia Falcone
https://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/91276502_3208202582546192_4579154617572524032_o.jpg12722048Antoniahttp://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/logopervideo-300x74-1-300x74.jpgAntonia2020-04-02 14:09:002020-05-14 11:35:48#PilloleMetodologiche: la stratificazione archeologica
Approfitto di questo periodo di quarantena totale per inaugurare le #PilloleMetodologiche, indicazioni bibliografiche utili per gli studenti di archeologia e allo stesso tempo informazioni di metodo per chi vuole approfondire alcuni aspetti della Professione dell’Archeologo.
Iniziamo dalla forma dello scavo, con le parole di Andrea Carandini, da “Storie dalla terra” (pp. 42-51).
► Le trincee sono la forma più antica dello scavo. Oggi le trincee appaiono funzionali solo nel caso di strutture lineari: mura, fossati e strade. Ma anche in questo caso i dati forniti riguardano le trincee stesse e difficilmente sono generalizzabili. Il vantaggio della trincea sta nell’impostare rapidamente un problema e nell’acquisire subito i primi dati
► I saggi possono dare indicazioni utili sulla potenzialità stratigrafica di un insediamento. Moltiplicare sistematicamente i saggi regolari separandoli con testimoni è stata un’idea di Wheeler e Kenyon. Pur avendo rappresentato una tappa fondamentale dell’archeologia sul campo questa forma di scavo mostra ormai i suoi limiti: i risparmi impediscono di cogliere le relazioni stratigrafiche al loro interno e consentono solo di stabilire ipotetiche correlazioni tra saggio e saggio.
► Lo scavo per grandi aree permette di attuare l’idea che un edificio o un complesso di edifici si comprendono indagandoli per intero anzichè sondandoli in parte e pretende allo stesso tempo di operare con un controllo stratigrafico rigoroso.
Al termine di questa evoluzione metodologica l’attenzione si sposta da ciò che si vede in sezione a quanto si vede sulla superficie dello scavo.
Antonia Falcone
https://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/professione-archeologo-metolodogia-1.png960748Antoniahttp://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/logopervideo-300x74-1-300x74.jpgAntonia2020-03-26 13:29:002020-05-14 11:32:47#PilloleMetodologiche: la forma dello scavo
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