Reggia di Quisisana, prezioso scrigno dei tesori dell’antica Stabiae
C’è un palazzo che si staglia imponente e signorile lungo il costone del Monte Faito, guardando dall’alto la distesa di case e strade di una cittadina vesuviana, un tempo nota come Stabiae, adagiata a sud del Golfo di Napoli.
Dalla terrazza di questo edificio, che spicca per il colore rosso della sua facciata, si gode una delle viste più suggestive del Golfo: lo sguardo si allarga a perdita d’occhio tra il blu del mare, il verde delle fertili terre vesuviane e il bianco dei paesi che uno dopo l’altro si susseguono ininterrottamente, fino ad abbracciare in lontananza il profilo delle isole.
E mentre con gli occhi ci si riempie l’animo del panorama di uno dei luoghi più belli d’Italia, alle spalle si percepisce distintamente l’aria umida che viene dai boschi del monte, inglobati all’interno del parco palatino, tra sentieri, sedili in marmo e fontane, nell’aspetto tipico del giardino all’italiana.
Siamo nella Reggia di Quisisana a Castellammare di Stabia, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, forse in età medievale, ma la cui acme si colloca sotto la dinastia borbonica, quando con gli interventi condotti da re Ferdinando IV di Borbone nella seconda metà del XVIII secolo il complesso assunse l’aspetto di palazzo per la caccia e la villeggiatura.
Diventa facile immaginare nobildonne e nobiluomini aggirarsi tra palme, pini e castagni, durante l’epoca del Grand Tour: la Reggia di Quisisana infatti divenne una tappa obbligata per i rampolli delle famiglie europee che passavano per Castellammare di Stabia, ospiti dei Borbone.
A questo periodo di splendore e agio successe purtroppo l’abbandono, a partire dagli anni sessanta del Novecento, con ulteriori danneggiamenti dovuti al terremoto del 1980. Ma un tesoro architettonico di tal fatta non poteva rimanere nell’incuria a lungo e così un radicale restauro, conclusosi nel 2009, ha riportato la Reggia borbonica agli antichi fasti.
La nuova vita della Reggia di Quisisana è iniziata definitivamente il 24 settembre 2020 con l’inaugurazione del Museo Archeologico di Stabiae, dedicato all’esposizione dei prestigiosi reperti provenienti dal territorio stabiano.
L’operazione di riconversione del palazzo a spazio archeologico è stata curata e promossa dal Parco Archeologico di Pompei con l’organizzazione di Electa, per restituire al patrimonio italiano un edificio simbolo della storia di Castellammare.
La caduta e la rinascita sembrano essere una costante nelle vicende storiche di Castellamare di Stabia: nel corso della sua storia millenaria sono stati diversi i momenti in cui si è trasformata da località agiata, prediletta dai nobili per il ristoro del corpo e dello spirito, a simbolo di decadimento e declino, riscattato poi da una nuova rifioritura.
Facevo queste riflessioni mentre, a bordo della circumvesuviana in transito verso Castellammare, assistevo al campionario di umanità che popola il mitico trenino campano: dai ragazzi vocianti ai villeggianti inglesi diretti a Sorrento che sembrano usciti direttamente dal Grand Tour passando per i volti pieni di aspettative dei turisti che sbarcano a Pompei. Un catalogo completo di chi popola temporaneamente o quotidianamente la piana vesuviana.
E immaginavo come doveva svolgersi la vita qui millenni fa, quando Castellammare era Stabiae e invece dei condomini bianchi di mattoni e cemento, il panorama era punteggiato da ville signorili che nulla avevano da invidiare alle domus pompeiane o alle villae rurali del suburbio romano.
Proprio camminando tra gli spazi del nuovo museo di Stabiae, sala dopo sala, ho ripercorso, con un po’ di fantasia e anche un po’ di nozioni archeologiche, il catalogo delle ville d’otium, dove i nobili del tempo trascorrevano le loro pigre giornate tra le indicazioni di lavoro da dare a fattori e pastori che lavoravano nella pars rustica dei palazzi e le conversazioni con ospiti e clientes, circondati da affreschi e mosaici, magari sorseggiando del buon Falerno.
Credits: Mina Grasso Crdedits: Mina Grasso
Quanto erano grandi le ville stabiane?
Beh, basti pensare che la cd Villa di San Marco si estendeva per circa 11.000 mq in posizione panoramica, rivolta verso il mare sul ciglio del pianoro di Varano. Non conosciamo purtroppo i nomi dei proprietari della dimora signorile e la denominazione attuale deriva da una cappella esistente in zona nel ‘700, ma certamente dovevano essere di classe agiata per potersi permettere una simile ricchezza architettonica e di arredi. La villa si sviluppa su diversi livelli attorno a due ampi peristili circondati da una grande piscina, da sale di rappresentanza finemente affrescate e da ambienti residenziali. Nella dimora non mancava un quartiere termale per la cura del corpo e un imponente atrio tetrastilo.
Come in tutte le ville anche qui era presente il quartiere produttivo con ambienti di lavoro, ambienti di servizio, vani per la conservazione e la lavorazione delle derrate alimentari. Non bisogna infatti dimenticare che fulcro dell’economia delle ville erano l’agricoltura e l’allevamento.
Una delle ville più conosciute del territorio stabiano è senza dubbio la cd Villa Arianna, così denominata dall’affresco raffigurante Arianna abbandonata da Teseo a Nasso, rinvenuto sulla parete di uno dei triclini. I suoi affreschi sono universalmente noti, come la celeberrima “Flora” oggi conservata al Mann.
Le sale della Reggia di Quisisana dedicate a Villa Arianna raccolgono sia le variopinte decorazioni parietali staccate durante le esplorazioni borboniche, sia i materiali raccolti nella pars rustica della residenza. La villa, una delle più antiche sorte sul pianoro di Varano, attualmente è stata riportata in luce per circa 3.000 metri quadrati, corrispondenti a circa un quinto della sua estensione originaria.
Villa Arianna si caratterizza per la sua ricca articolazione architettonica: rampe e gallerie collegano le diverse ali della dimora signorile, organizzata in quattro nuclei databili tra l’età tardo repubblicana e l’età flavia: atrii, terme, triclinii, una palestra, ambienti di servizio e cubicula.
La dimora restituisce l’immagine precisa di un complesso destinato non solo al piacere intellettuale ma anche al lavoro. Uno dei pezzi forti dell’esposizione è infatti il carro a quattro ruote utilizzato per il trasporto delle merci prodotte nel quartiere rustico: molto diffusa era la coltura di vite e olivo, così come sui vicini monti Lattari era praticata la pastorizia. Il rinvenimento delle numerose anfore esposte nel museo conferma la vocazione fortemente produttiva delle ville e la vivace economia agropastorale del territorio.
Credits: Antonia Falcone Credits: Antonia Falcone
Si stima che nell’antica Stabiae ci fossero decine di ville, delle quali solo una parte è stata messa in luce anche grazie al lavoro meticoloso di Libero D’Orsi (1888 – 1977) che dedicò gran parte della sua attività professionale agli scavi archeologici, allestendo nel centro cittadino anche l’Antiquarium che mostrava i reperti dei luoghi.
L’esposizione presenta infatti i reperti di altre residenze come Villa del Pastore, il cd Secondo Complesso, Villa del Petraro e Villa di Carmiano (con la ricostruzione di uno degli ambienti) per dare l’idea di quanto dovesse essere ricco il territorio stabiano.
Credits: Mina Grasso Credits: Mina Grasso
Passeggiare per il nuovo Museo Archeologico di Stabiae all’interno della Reggia di Quisisana è un viaggio nella storia di questo territorio, circondati dai rossi e dai gialli delle pareti che si compenetrano con i colori degli affreschi, stupefacentiper la loro brillantezza arrivata intatta fino ai nostri giorni.
E se è vero, come mi ha raccontato il tassista che mi ha riportata a valle, che il nome della Reggia deriva dall’espressione “Quisisana” pronunciata dal re borbonico mentre oziava nel giardino della sua residenza riposando sotto un albero per guarire dai suoi malanni, mi piace pensare che con un nuovo museo archeologico a Castellammare qui-si-sana non solo il corpo ma anche lo spirito.
Visitare la reggia borbonica di Quisisana a Castellammare di Stabia merita. Veramente stupenda…. io sono del posto e mi sono molto emozionata. Ho trovato una realtà museale meravigliosa, sia dal punto di vista culturale che paesaggistico.
La presentazione delle sale è concisa e chiara, i reperti sono ben sistemati nelle teche, gli affreschi sono spettacolari.
Dalle sale si vede il golfo di Castellammare con il Vesuvio, ma l’occhio si spinge fino a cercare gli elementi noti dei paesi lungo la costa o le pendici non solo del Vesuvio ma anche dei monti circostanti. Si vedono bene: lo scoglio di Rovigliano, il campanile di Pompei, i silos di torre annunziata , il convento benedettino di colle Sant’Alfonso a Torre del Greco, il Museo di Pietrarsa, il convento dei Camaldoli.
Il giardino, anch’esso ” finestra” sul Golfo e sul Vesuvio, lasciato a bosco, dove sembra mancare l’opera dei giardinieri borbonici, rimanda a passeggiate rilassanti, ad immagini bucoliche, a dame e bimbi intenti nei loro passatempi.
Ho vissuto emozioni forti, ritornare ai miei avi mi ha accarezzato l’anima….
Nunziatina Ranieri
E ora un po’ di informazioni pratiche:
COME ARRIVARE
Partiamo dalla nota dolente.
Se siete in auto è semplice:
Autostrada A3 Napoli-Salerno (uscita Castellammare di Stabia), imboccare SS145 per 8,5 km (seconda uscita di Castellammare di Stabia), proseguire dritto su viale Europa, viale delle Puglie e via Panoramica. Girare a sinistra su viale Ippocastani (salita Quisisana).
Se siete con i mezzi è un po’ meno semplice, ma non impossibile:
Circumvesuviana Napoli-Sorrento (fermata Castellammare di Stabia), dirigersi verso Piazza Giovanni XXIII + Linea 5 (fermata Salita Quisisana) e poi qualche minuto a piedi verso l’ingresso della Reggia.
Oppure a piedi, sono circa 25 minuti, ma in salita.
Oppure in taxi dalla stazione.
BIGLIETTI
intero: € 6.00 (+ € 1.50 su prevendita online)
ridotto: € 2.00 (+ € 1.50 su prevendita online)
Gratuità come da normativa.
ATTENZIONE: Il biglietto di ingresso è acquistabile al momento solo sul sito www.ticketone.it, unico rivenditore online autorizzato. La biglietteria fisica nel museo ancora non è pronta.
CATALOGO
Il catalogo del museo è a cura di Massimo Osanna, Francesco Muscolino, Luana Toniolo ed è acquistabile a partire dai prossimi giorni sul sito di Electa Editore a questo link .
Antonia Falcone