Honor Frost - Professione Archeologo

Dies Natalis #4 – Honor Frost (28 Ottobre 1917 – 12 Settembre 2010)

Torna la rubrica mensile di Professione Archeologo dedicata ai grandi dell’archeologia italiana ed internazionale. Con grande orgoglio presentiamo oggi il primo ritratto di un’archeologa, Honor Frost, tra le fondatrici della moderna archeologia subacquea.

 

Ritratto di Davide Arnesano (@DavArnesano), breve nota biografica a cura di Paola Romi (@OpusPaulicium).

 

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Nata a Cipro da famiglia britannica e legata a doppio filo all’Italia fin dagli anni dedicati allo studio delle navi puniche rinvenute nello Stagnone di Marsala, Honor FROST può a ragione essere considerata la Signora dell’archeologia subacquea del XX secolo.

 

Dopo inizi non professionistici, si formò, come piú di una generazione di archeolologi inglesi, alla “scuola” dominata dagli insegnamenti e dalla figura di Sir Mortimer Wheeler.

 

Disegnatrice presso lo scavo di Jericho (1957) diretto da un’altra trowel blazer, Katleen Kenyon, i primi decenni degli interessi e degli studi della FROST furono legati al Mediterraneo Orientale. L’analisi dei porti (Byblos, Tiro e Sidone) e delle rotte antiche, quest’ultima realizzata attraverso la classificazione delle ancore litiche, costituirono le sue principali linee di ricerca di quegli anni.

 

Pioniera dell’archeologia subacquea, collaborò in quella fase eroica della disciplina sia con F. Doumas del gruppo di J.J. Cousteau a Marsiglia che con G. Bass e P. Throkmorton a Capo Gelidonia e Bodrum. In seguito all’esperienza legata ai fondamentali rinvenimenti fatti con questi ultimi, ossia il celebre relitto dell’Età del Bronzo ivi rinvenuto e scavato, scrisse nel 1963 la monografia Under the Mediterranean: Marine Antiquities.

 

Divenuta ormai icona ed autorità internazionalmente riconosciuta, si dedicò alacremente dal 1971, allo scavo,al la tutela ed allo studio di quell’unicum che sono i due relitti trovati nella seconda metà del XX secolo davanti all’isola di Mozia. Durante questa pluridecennale avventura si impegnò su problematiche di tipo espositivo e conservativo, nonchè alla ricerca legata alla storia delle tecniche navali, con risultati e risvolti sorprendenti concernenti il periodo della prima guerra punica.

 

Nel 2011, ad un anno dalla morte, le è stata dedicata la Honor Frost Foundation che opera nell’ambito della valorizzazione e dello sviluppo dell’archeologia subacquea e marina del Mediterraneo Orientale.

 

Ragione e Sentimento: #mestieridellacultura

I mestieri della cultura,  come l’archeologo o lo storico dell’arte, vengono  ancora considerati, nel comune sentire, alla stregua di un hobby o di un divertissement per chi può contare su altre fonti di reddito. Questa percezione è certamente rafforzata dal vuoto normativo entro cui agiamo, ma anche dall’incapacità di vedere prospettive occupazionali e di sviluppo economico che il settore cultura può portare.

 

 

Il nostro Paese di quella fonte di guadagno che sono e possono essere archeologia, arte e cultura, tuttavia, non può proprio più fare a meno. Fosse anche solo per poco romantici motivi economici.

 

 

Ed è proprio centrato sui #mestieridellacultura il sondaggio lanciato dal Ministro Bray sul suo sito personale.

 

 

Seguendo il sentiero tracciato negli ultimi mesi (comunicazione e partecipazione virtuale, uso massiccio del 2.0 e confronto con gli utenti), a margine di un breve articolo che esplicita proprio questo rapporto basato su uno scambio virtuale e virtuoso di opinioni, il Ministro lancia  un questionario.

 

 

Sono molteplici e diverse le professioni messe sul tavolo, che abbracciano tanto il settore culturale vero e proprio quanto quello più vicino al turismo, talmente tante e variegate da ricordare la congerie di occupazioni inserite nella famigerata categoria “altre attività” della gestione separata INPS.

 

Insomma siamo tanti, spesso parzialmente impiegati e mal retribuiti, ma potenzialmente occupabili nei settori più diversificati.
Le domande e le risposte proposte  non sono tutte specifiche come si vorrebbe, ma un certo grado di generalizzazione per un’indagine è sempre  necessario.
Personalmente, tra le altre cose, avrei apprezzato una domanda semplice semplice, ma che sarebbe andata dritta al cuore del problema: “Tu, operatore della cultura, riesci a sopravvivere con il tuo lavoro?”  Perchè se dobbiamo parlare di #mestieridellacultura, dobbiamo parlare anche di possibilità occupazionali che dovrebbero, se non proprio essere l’unica fonte di reddito, almeno garantire una retribuzione dignitosa.

 

In caso contrario lanciamo il dado e ritorniamo al via: rimarranno pochi e fortunati rampolli che vivono di reddito non derivante da lavoro e che conseguentemente possono fare cultura.
Non secondariamente poi, come ha fatto notare una commentatrice, il questionario si rivolge solo agli occupati di turismo e cultura e non ai potenziali o ex tali. Sarebbe stata certo più lungimirante una ricerca volta non solo a sondare le opinioni di quelli che, per fortuna o per tigna, lavorano ancora nel settore, ma anche quelle di coloro che, appena usciti dal proprio percorso di studi o ancora alle prese con la formazione univeristaria, si guardano intorno smarriti alla ricerca della risposta a: “Che lavoro farò da grande?”
Infine, vale la pena rilevare come la fotografia che ne uscirà sarà solamente quella di un certo target dei #mestieridellacultura e del turismo, quello che utilizza costantemente e piuttosto consapevolmente il web.
In altre parole le mancanze si notano, ma l’iniziativa è lodevole ed incoraggiante, ed in fondo, come ci insegna l’archeologia, se anche non si può capire e ricostruire proprio tutto, una conoscenza parziale è decisamente meglio di nulla.

 

 

Rispondiamo al questionario quindi, e cerchiamo di farci ben ritrarre in questa istantanea che il MinistroSocial vuole scattare di noi.  La strada per far convergere la Ragione (economica, di sbarcare il lunario sia come singoli che come sistema Italia ) ed il Sentimento (di profondo amore per Arte e Cultura) è ancora piuttosto lunga da costruire, basolo dopo basolo, ma le prime volenterose pietre, pare, si vogliano gettare.

 

#mestieridellacultura

 

@OpusPaulicium

 

#Archeologiamuta: scene da un patrimonio

Su Professione Archeologo ne abbiamo discusso spesso: può l’archeologia italiana sviluppare gli strumenti per uscire dall’alveo degli “addetti ai lavori” e diventare invece patrimonio comune e condiviso?

 

A dare retta a quel che leggiamo on line, e sempre più frequentemente negli ultimi tempi, la risposta, purtroppo, è no.

 

L’immagine che viene fuori, invece, ricostruita attraverso casi più o meno eclatanti, reportage, articoli, e, aggiungiamo, anche dalla nostra personale esperienza quotidiana, è quella di un’archeologia che non riesce a comunicarsi e quindi a rendersi accessibile al grande pubblico.

 

Quest’inaccessibilità si manifesta in due momenti distinti, ma complementari: da una parte la problematica legata agli open data ed alla possibilità di permettere la fruizione collettiva dei risultati delle indagini archeologiche, dall’altra la questione della carenza di forme adeguate di valorizzazione del patrimonio archeologico: pensiamo ad esempio alla difficoltà di comprensione che un visitatore può incontrare di fronte ad una testimonianza archeologica che, per quanto conservata, celebrata e magari anche molto nota, spesso rimane però “muta”, talvolta letteralmente.

 

 

Segnaliamo a questo proposito i reportage di Manlio Lilli e Flavia Amabile, che, rispettivamente, sulle pagine del Fatto Quotidiano e de La Stampa, stanno sollevando nelle ultime settimane il problema dei “Monumenti fantasma” a Roma.

 

I monumenti fantasma: la prima puntata (Il Mausoleo di Augusto)

 

I monumenti fantasma: la seconda puntata (L’Ateneo di Adriano)

 

I monumenti fantasma: la terza puntata (La Meta Sudans)

 

I monumenti fantasma: la quarta puntata (Le Terme di Traiano)

 

Nella Roma senza cartelli

 

 

Il problema è ben noto, non solo a chi lavora nell’ambito dei beni culturali, ma anche ai cittadini che, nella veste di turisti o di semplici passanti, si ritrovano troppo spesso a cercare e non trovare, a guardare e non vedere, e questo perché manca non solo una strategia comunicativa (che espressione forte!), ma addirittura semplicemente un adeguato apparato informativo.

 

Archeologiamuta, dunque, che è come dire archeologia negata, nascosta, altra dal paese reale, che spesso la dimentica, non la considera, la ritiene troppo onerosa.

 

C’è la necessità di investimenti (pubblici, privati), è vero, ma c’è anche la necessità di trovare il linguaggio giusto, che spieghi e responsabilizzi, che coinvolga e renda partecipi, che racconti e ricostruisca, perché se le storie che tiriamo fuori dalla terra non diventano storia collettiva, se il patrimonio culturale non diventa eredità di tutti, da tutti difeso e da tutti compreso, per l’archeologia italiana e per gli archeologi che giorno dopo giorno studiano, lavorano, portano alla luce preziose tracce del nostro passato, il futuro, ahinoi, è sempre più nero.

 

 

#archeologiamuta #archeologianegata su twitter per ridare la parola al nostro patrimonio archeologico

 

@Pr_archeologo