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Day of Archaeology al Foro della Pace di Roma

Com’è l’archeologia che vorresti?

 

Il nostro Day of Archaeology è partito da questa semplice domanda, rivolta agli studenti dell’Università Roma Tre e dell’American University of Rome che scavano nel Foro della Pace, a Roma.

 

 

Quest’anno, infatti, per la prima volta uno scavo archeologico su Via dei Fori Imperiali ha aperto le porte al pubblico.

 

Così, mentre alcuni dei ragazzi interagivano lungo la strada con turisti e passanti spiegando loro cosa fa un archeologo sotto il solleone estivo, giornalisti e blogger, armati rispettivamente di telecamera e taccuini e di smartphone e caricabatterie, hanno avuto il privilegio di gironzolare liberamente nell’area del cantiere e di confrontarsi con gli studenti e i responsabili dello scavo.

 

Abbiamo puntato sulla divulgazione ed abbiamo chiesto ai ragazzi di raccontarci le diverse fasi di uno scavo e quali sono le varie attività che gli archeologi svolgono sul campo. Abbiamo trasmesso le loro risposte in diretta su Twitter e su Periscope, su Instagram e con brevi post su Facebook, usando l’hashtag #ForumPacis.

 

E’ così che un cantiere di scavo, per una mattinata, è diventato social.

 

 

 

 

Ma abbiamo anche voluto guardare al futuro: il DoA è un’occasione per confrontarsi sul presente dell’archeologia attraverso la condivisione di tutto quello che si muove tra una trowel e un giornale di scavo, ma è anche un momento in cui riappropriarsi della nostra identità di archeologi, provando a pensare quali ulteriori passi in avanti potrebbe fare la disciplina.

 

E così abbiamo chiesto a loro, alle nuove leve, agli archeologi del futuro, cosa vorrebbero dall’archeologia, cosa manca e quale dovrebbe essere la strada da percorrere.

 

Un Day of Archaeology all’insegna della voglia di guardare avanti.

 

Qua sotto trovate le loro facce e i loro sorrisi, la convinzione che l’archeologia guarda al passato per costruire il futuro.

 

*

 

Com’è l’archeologia che vorresti?

 

 

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Una versione di questo post, in inglese, è stata pubblicata in occasione del #DayOfArchaeology: The Day of Archaeology at Templum Pacis in Rome.

Post di Antonia Falcone (@antoniafalcone) e Paola Romi (@OpusPaulicium)

Grafiche di Antonia Falcone

Il ritorno degli #archeoblogger: l’intervento di Professione Archeologo alla #BMTA2014

 

Sono stati giorni intensi, pieni di scoperte, incontri, interessanti prospettive future.

 

Torniamo dalla XVII Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico cariche di idee e pronte a nuove sfide. L’incontro con gli altri #archeoblogger è stato illuminante, ed ha mostrato chiaramente che l’archeologia on line è sempre più ricca e sfaccettata e che si evolve in fretta, proprio come il web che è il luogo in cui vive, proprio come la realtà di tutti i giorni che non è mai uguale a se stessa.

 

In attesa di raccontarvi più nel dettaglio le nostre sensazioni e riflessioni, vi proponiamo qui le slide dell’intervento della nostra Antonia Falcone, che in occasione della tavola rotonda SOCIAL MEDIA & ARCHAEOLOGICAL HERITAGE FORUM. ARCHEOBLOG: RACCONTARE L’ARCHEOLOGIA NEL WEB ha parlato di analytics, dati e sentiment degli utenti che interagiscono sul blog e sui canali social di Professione Archeologo, così come abbiamo potuto registrarli nell’anno e mezzo di vita del nostro sito.

 

Cosa cercano gli archeologi italiani in rete? E perché lo fanno?

 

 

Qui trovate le slide del nostro intervento a Paestum

 

 

Un ordinario giorno di archeologia “d’emergenza”

 

La sveglia suona improrogabilmente alle 5.30.

 

Capelli arruffati, occhi semichiusi e il desiderio che una tazza di caffè si materializzi sul comodino.

 

Inizia una nuova settimana di lavoro. Destinazione odierna: suburbio romano.

 

Lavagna, palina, freccia del nord, macchina fotografica sono pronti nello zaino, insieme a block notes, cappellino e crema protettiva. Il sole scotta in cantiere se non c’è neanche un albero a farti ombra e rischiare un’insolazione con il pericolo di stare a casa qualche giorno non è cosa da mettere in conto, soprattutto ora, dopo mesi di pausa forzata.

 

Eh sì perché non tutti i giorni si lavora, ci sono periodi in cui non parte un cantiere neanche se si pregano i Lari.

 

Nessuna esitazione quindi. Si parte.

 

In macchina ci sono già i dispositivi per la sicurezza: caschetto, guanti, scarpe antinfortunistiche e giubbotto catarifrangente, oltre all’immancabile trowel. Il resto del corredo da archeologo è formato da: metro a stecca, matite, tavoletta per i rilievi, fogli lucidi, filo a piombo, compasso, mazzuolo, picchetti. E non da ultima una buona dose di pazienza.

 

Pronti, partenza, via.

 

Buongiorno agli operai, verifica del nulla osta e si comincia a guardare la ruspa.

 

Perché non è vero che l’archeologia è avventura e mistero o improbabili scoperte di lavoro alieno sfuggito ad anni di ricerche. L’archeologia può essere, e anzi, nella maggior parte dei casi è, un laureato che fissa una ruspa.

 

La chiamano archeologia d’emergenza: ci sono dei lavori, pubblici per lo più, e l’archeologo controlla che nel corso degli stessi vengano tutelati i beni archeologici.

 

Tanto per iniziare devi trovare il “tuo” punto di osservazione. Ovvero una posizione rispetto al bordo della trincea, nonché ad escavatore e camion, in cui sia possibile vedere in modo soddisfacente le operazioni di scavo, non dare fastidio e non farsi male.

 

Rigorosamente in questo ordine.

 

Dopo attenta osservazione ci riesci e forse per qualche ora starai pure all’ombra: deve essere il tuo giorno fortunato.

 

And now: let’s dig!

 

In piedi, bardata con casco, giubbotto ad alta visibilità, antinfortunistiche e borsa di Mary Poppins a tracolla inizi a controllare il lavoro.

 

La ruspa scava, carica, scava, carica, scava…

 

Di antico non c’è assolutamente nulla, ma bisogna comunque documentare.
Per cui, tra la fine della realizzazione di un tratto di trincea e la posa della tubazione, di qualsiasi tipo sia, bisogna essere reattivi.

 

Con scatto felino (si fa per dire), prendi la palina, la lavagnetta e la freccia del nord. Con un po’ di fatica cerchi di ricordare dove hai messo i gessetti e la bussola. In un attimo è tutto pronto per fotografare la trincea.

 

Metti la palina a piombo, orienti la freccia, posizioni la lavagnetta a favore di camera.  1,2,3… click.

 

E giusto in quel momento qualcuno passa tra te e il tuo soggetto!

 

Mantieni la calma e riprovi.

 

Click.

 

Perfetto.

 

Approfittando di un attimo di distrazione degli operai prendi pure le misure delle sterili stratificazioni, così mentre loro metteranno in opera le tubazioni ti farai uno schizzo. Una volta a casa poi la tua “opera d’arte” dovrà diventare una bella, quanto poco utile, sezione disegnata con Autocad o software affini.

 

Visto che ci sei poi, ti siedi sul ciglio del marciapiede, tiri fuori il block-notes e abbozzi il giornale di scavo.

 

Dopo un po’ guardi l’orologio, sono quasi le 12.

 

Tra un po’ ci sarà la pausa pranzo. Meno male.

 

Mezzogiorno: scatta l’anarchia!

 

Chi si rifugia sul camion, chi corre a comperare il pranzo, chi decanta le doti culinarie della moglie e tu, senza dare nell’occhio, ti rifugi nel bar più promettente. La mission della scelta del bar non è tanto la ricerca del cibo migliore. E nemmeno di quello più economico. Il bar serve per rinfrescarsi d’estate, scaldarsi d’inverno e avere una toilette a disposizione in tutte le stagioni.

 

Mentre ti mangi un panino, portato da casa, bevendo un bibita acquistata in loco per poter usufruire dei confort suddetti, hai un solo pensiero: quando finiranno di scavare oggi? E soprattutto: quante possibilità ci sono che nel corso di questo lavoro io faccia qualche rinvenimento?

 

Perché è quello che metterà alla prova la tua abilità da archeologo, ma non quella teorica o tecnica o stratigrafica. No, quella caratteriale. Perché è nel preciso momento in cui dirai, a voce alta o bassa, “fermate la ruspa” che si scateneranno delle dinamiche di guerra di cui ovviamente all’università non ti avevano parlato.

 

Improvvisamente tu, l’archeologo, diventerai il nemico, e tutti gli sguardi e le parole di chi ti sta attorno andranno in una direzione sola: convincerti che hai avuto un’allucinazione, che quel muro non esiste e che “non possiamo perdere tempo”.

 

Ed è lì che cambierai profilo professionale, da archeologo ti trasformerai in PR: in cantiere arriveranno geometri, ingegneri, direttori dei lavori, capisquadra.

 

A tutti andrà spiegato che bisogna allargare l’area di scavo, che bisogna procedere con la pulizia archeologica del settore, che si dovrà rilevare la struttura e che a partire da questo momento tutto fa capo a te.

 

L’unico tuo alleato sarà il funzionario della Soprintendenza che, prontamente avvertito, arriverà in cantiere, farà un sopralluogo e imporrà delle direttive da seguire.

 

Alea iacta est.

 

A questo punto l’andamento umorale della tua giornata dipenderà dalla squadra con cui lavori.

 

Se tutti si dimostreranno collaborativi, alla fine delle ore di cantiere, tornerai a casa stanco ma soddisfatto.

 

Se invece si instaurerà un clima da guerra fredda rincaserai con un pensiero fisso: ma chi me l’ha fatto fare?

 

Antonia Falcone (@antoniafalcone)

Paola Romi (@opuspaulicium)

 

 

Il post è stato scritto per il Day of Archaeology 2014

Qui il link

Traduzione di Domenica Pate (@domenica_pate)

 

 

Professionisti dei Beni Culturali: quanti siamo? E come siamo messi? (#1)

Sono attualmente in corso due iniziative di “censimento” dei professionisti dei beni culturali, la prima rivolta agli archeologi e la seconda ai collaboratori esterni del Mibact:

 

– Discovering the Archaeologists of Europe (Confederazione Italiana Archeologi) #1

 

– Autocensimento dei collaboratori esterni Mibact e istituzioni di enti locali (Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli) #2

 

 

Oggi vi presentiamo il primo progetto, volto ad indagare e quantificare il vasto mondo dei professionisti dell’archeologia: Discovering the Archaeologists of Europe. Si tratta infatti di un’iniziativa  “finalizzata al monitoraggio, allo sviluppo e alla valorizzazione del lavoro degli archeologi europei”.

 

Partner ufficiale per l’Italia è la Confederazione Italiana Archeologi, prima associazione italiana di archeologi professionisti, nata nel 2004.

 

Il progetto è alla sua seconda edizione ed ha come obbiettivo lo studio e l’analisi dei dati sul lavoro degli archeologi professionisti, relativi al biennio 2012-2014.

 

In particolare, come riportato sul sito web 

 

“Discovering the Archaeologists of Europe 2014 is a transnational project, examining archaeological employment and barriers to transnational mobility within archaeology across twenty European countries. It is undertaken with the support of the Lifelong Learning Programme of the European Union. It is a successor to the previous Discovering the Archaeologists of Europe project which ran from 2006-2008.”

 

Il focus dell’analisi si concentra soprattutto sugli effetti indotti dalla recessione economica nelle dinamiche occupazionali degli archeologi professionisti, con l’obiettivo di elaborare strategie utili al superamento della crisi, partendo dal tema cruciale della formazione.

 

Nei mesi scorsi vi avevamo parlato del dibattito Digging in the Crisis, svoltosi a Roma il 14 marzo, nel corso del quale erano emerse con forza le problematiche legate al rapporto tra formazione e lavoro.

 

La rilevanza del tema è stata rilanciata durante l’incontro che la Confederazione Italiana Archeologi ha tenuto a Paestum, in occasione della XVI Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, per presentare i dati parziali della campagna #letsdisco, partita a Novembre 2013.

 

Qui trovate l’elaborazione dei dati ricavati dalle prime 200 risposte.

 

Il progetto si avvale di un sito web per la raccolta dei questionari, utili a censire sia gli archeologi italiani che lavorano come liberi professionisti o dipendenti, sia le società archeologiche che operano nel settore.

 

E’ sufficiente registrarsi con un indirizzo mail valido e procedere alla compilazione, che necessita di circa 10 minuti. E’ possibile sospendere la redazione del questionario e riprenderla in un secondo momento: il sistema salverà automaticamente i dati inseriti. Tutti i dati inseriti sono anonimi e il loro utilizzo è vincolato alle finalità statistiche legate allo svolgimento del progetto.

 

La campagna web di diffusione dei questionari si è svolta prevalentemente sui canali social della CIA, in particolare su fb e twitter, dove è stato rilanciato l’hashtag #letsdisco.

 

Supporto per la raccolta dati è stata una campagna di “marketing” virale per immagini, sviluppata in due tranche: la prima volta a lanciare il questionario con il richiamo ad alcune delle domande del formulario; la seconda basata sul concept dei “Vintage Posters” con la riproposizione di note opere d’arte del passato trasfigurate e rilette da Davide Arnesano (graphic designer del progetto, nonchè creativo di Professione Archeologo – @DavArnesano).

 

 

La centralità strategica della valorizzazione del progetto sulle piattaforme web e social era stata già anticipata nel corso del convegno European Association of Archaeologists, svoltosi a Pilsen nel settembre 2013, dove è stata presentata proprio la campagna di valorizzazione dedicata ai social media.

 

A questo link potete trovare il report (e ci siamo anche noi di Professione Archeologo!)

 

Tra gli obiettivi della strategia di digital engagement messa in atto, sia per il convegno Digging in The Crisis che per #letsdisco, c’è infatti l’audience development, cioè un processo/percorso che abbia come finalità quella di allargare e diversificare i pubblici: bloggers, utenti Twitter, Facebook, etc.

 

Insomma un progetto di archeologi per archeologi abituati a navigare nel mare magnum del web.

 

Vi ricordiamo che la raccolta dati è tuttora in corso.

 

E se non avete ancora risposto, cosa aspettate? #letsdisco!

 

 

#beniculturaliaperti: sottoscrivi gli emendamenti

Abbiamo deciso di iniziare il 2014 con il sostegno all’iniziativa #beniculturaliaperti.

 

 

Negli ultimi mesi sulle pagine di Professione Archeologo ci siamo occupati spesso di Open Data perchè siamo convinti che la battaglia per aprire i dati e consentirne l’accessibilità a tutti senza limiti di riproduzione e senza brevetti sia imprescindibile quando si parla di ricerca, studio e valorizzazione.
Aprire i dati significa prima di tutto condivisione, partecipazione e trasparenza, ma vuol dire anche creare “occasioni di sviluppo economico per chi già lavora con dati delle pubbliche amministrazioni o per chi ha progetti che necessitano l’analisi o l’uso di dati.” (Cosa sono gli open data?)

 

 
Si tratta, in poche parole, di un fatto di civiltà, necessario più che mai oggi, nel 2014.

 

 
Basti pensare che poco prima di Natale la British Library, biblioteca nazionale del Regno Unito, ha rilasciato su Flickr oltre un milione di immagini disponibili per tutti senza alcuna restrizione di copyright. Significa cioè che “chiunque può scaricarle, ripubblicarle, rielaborarle e farne l’uso che vuole”.

 

 

Anche il Getty Museum nell’estate dell’anno scorso ha rilasciato ben 4.600 immagini del suo immenso archivio: “l’iniziativa, chiamata Open Content Program, offre gratuitamente file in alta risoluzione e in cambio chiede solo di porre una didascalia che specifica come l’immagine sia stata ceduta per gentile concessione”.

 
Insomma sembra che all’appello manchiamo solo noi.

 

 

Ed è per questo motivo che invitiamo i nostri lettori a sottoscrivere gli emendamenti di #beniculturaliaperti.
Si tratta di un progetto di Open Knowledge Foundation Italia OKFn Italia con il supporto di International Webmasters Association IWA Italy  che “vuole promuovere una serie di modifiche al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio per rendere i dati dei Beni Culturali Italiani disponibili e riusabili per tutti”.

 

 
Sul sito è disponibile il testo dei nove emendamenti proposti, con relativa motivazione. E’ inoltre possibile commentare il testo qui.

 

 

Per sottoscrivere gli emendamenti basta collegarsi su www.beniculturaliaperti.it e compilare il form a questo link: in questo modo è possibile sostenere l’iniziativa presso il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo nella persona del Ministro Massimo Bray inviandogli, oltre al link al testo degli emendamenti, il seguente testo:

 

 

Ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo Massimo Bray

Gentile Ministro Bray,

sottoponiamo alla Sua Attenzione degli emendamenti al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio per introdurre il principio di opendata per i dati dei Beni Culturali.
Siamo convinti che il potenziale conoscitivo del nostro Patrimonio artistico sarà amplificato proprio grazie alla semplificazione e al riuso dei dati delle nostre opere d’arte, incoraggiandone la conservazione e la visita.
Riteniamo anche che un’accessibilità diretta ai dati digitali sia fondamentale: per far conoscere opere meno note e per tutelarne la conservazione; allo stesso tempo tali emendamenti favorirebbero la digitalizzazione delle opere dal momento che poi i dati sarebbero a disposizione di tutti e riusabili facilmente.

Ci rivolgiamo a Lei Ministro Bray, consapevoli che il lavoro di conservazione, catalogazione e restauro delle nostre opere d’arte dei professionisti che, presso le varie istituzioni dello Stato, ne sarà valorizzato e sarà di esempio per gli altri Paesi.

Confidiamo nella sua disponibilità e nell’accoglimento delle nostre proposte

Grazie

 

 

Gli hashtag da seguire su twitter sono #beniculturaliaperti #opendata #openheritage

Dies Natalis #5 – Lewis Roberts Binford (21 novembre 1931 – 11 aprile 2011)

Anche questo mese torna #DiesNatalis la rubrica di Professione Archeologo sulle personalità che hanno scritto le regole della nostra disciplina. Oggi vogliamo presentarvi uno degli archeologi più importanti del XX sec., che con le sue teorie ha imposto un nuovo corso nella storia degli studi: lo statunitense Lewis Roberts Binford.

 

Nato a Norfolk, US-VA, studente di biologia della fauna selvatica al Virginia Tech, Binford si appassionò all’antropologia e all’archeologia sotto le armi. Congedato, egli riprese gli studi e conseguì un PhD alla University of Michigan con una tesi sui nativi ed i primi coloni della Virginia.

Successivamente ricoprì il ruolo di associate professor presso la University of Chicago, dove insegnò Archeologia del Nuovo Mondo e metodi statistici e sviluppò un nuovo approccio alla ricerca archeologica, illustrato nel fondamentale articolo “Archaeology as Anthropology” (1962) e nella raccolta “New Perspectives in Archaeology” (1968).

 

Questo approccio fu definito “New Archaeology”, tanto dagli ironici detrattori quanto dalla schiera di sostenitori, che contribuirono in breve tempo a definire e articolare il nuovo corso. Come acutamente sintetizzato da C. Renfrew e P. Bahn nel manuale “Archaeology: Theories, Methods and Practice” (1991), la Nuova Archeologia si distinse dall’archeologia tradizionale per sette principi basilari:
1. il passato deve essere spiegato e non semplicemente ricostruito;

 

2. bisogna pensare in termini di processo culturale, cioè capire i modi in cui i avvengono i mutamenti;

 

3. si devono formulare ipotesi e costruire modelli, deducendo le conclusioni;

 

4. le ipotesi devono essere verificate;

 

5. la ricerca archeologica deve essere pianificata per fornire specifiche risposte a specifiche domande, non raccogliere dati indistintamente;

 

6. l’approccio quantitativo è preferibile ad uno qualitativo;

 

7. approccio ottimistico alla risoluzione delle problematiche archeologiche.

 

Abbandonato il dibattito teorico, si dedicò allo studio del Musteriano, dell’industria litica del Medio Paleolitico d’Europa, Nord Africa e Medio Oriente e, dal 1969, alla ricerca etnografica sui Nunamiut d’Alaska con la University of New Mexico.

 

Binford concluse la sua carriera nella Southern Methodist University e morì all’età di 79 anni, l’11 aprile 2011 a Kirksville, US-MO.

#Pompei 2013 d.C.

Nell’ultima settimana la stampa ha dedicato ampio spazio al dibattito su Pompei: tra l’ennesimo crollo e la proposta di un supermanager, legato alle banche, la community ha voluto dire la sua. E qualcuno ha ricordato l’evento cinematografico del British Museum.

 

Qui trovate lo storify #Pompei 2013 d.C.

 

E’ del 4 novembre, a tre anni esatti dal cedimento della Schola Armaturarum, il crollo della porzione di un setto murario di una domus in Via dell’Abbondanza (casa numero 21 dell’Insula V – Regione VIII). E purtroppo, come ormai accade di frequente negli ultimi anni, il nome di Pompei, almeno in Italia, è legato a crolli, scarsa manutenzione e all’idea di un disastro annunciato.

 

Tutto questo avviene mentre la politica arranca e non riesce a sciogliere i nodi delle nomine: ancora non è stato designato il direttore generale di progetto, al quale dovrà affiancarsi un vicedg vicario. Nell’ultima settimana, un articolo del Sole24ore, ha rivelato che il nome che circola per la carica è quello di Giuseppe Scognamiglio, economista-diplomatico nonchè Vicepresidente di Unicredit.

Una nomina chiaramente politica, che nulla ha a che fare con l’archeologia, la tutela e la valorizzazione.

 

A Pompei ne sono passati tanti: “Episodi recenti di manager-salva-tutto destano allarme. Nel novembre 2008 l’allora Direttore generale per la valorizzazione del patrimonio culturale Mario Resca, ex manager di McDonald’s Italia imposto al vertice del MiBAC da Silvio Berlusconi, formulò una proposta che gli guadagnò i sarcasmi della stampa anglosassone. A suo avviso Pompei avrebbe dovuto costituire il set per spettacolari operazioni di lancio di prodotti delle multinazionali dell’elettronica. L’ultimo plenipotenziario di Pompei, Marcello Fiori, è finito sotto inchiesta per truffa e frode connessi ai lavori di restauro” (fonte Huffington Post)

 

 

E mentre da noi si discute (inutilmente), il British Museum agisce, con mirate strategie di valorizzazione e comunicazione: oltre alla mostra sold-out su Pompei ed Ercolano (sponsorizzata da Goldman Sachs), il museo britannico ha prodotto un film-evento che racconta la vita degli abitanti delle città vesuviane al momento dell’eruzione del Vesuvio.

 

Pompei arriva anche in Italia (25-26 novembre)  e noi di Professione Archeologo andremo a vederlo. Presto la recensione!

 

 

 

 

Festival of Archaeology - archeologia

Festival of Archaeology 2013, centinaia di eventi per appassionarsi e far appassionare all’archeologia

Il mondo dell’archeologia Britannica è spesso all’avanguardia per quanto concerne la promozione della disciplina archeologica fra grandi e “piccoli” appassionati. L’iniziativa che vi presentiamo oggi non fa certo eccezione.
Il “Festival of Archaeology 2013” (13 – 28 luglio 2013), giunto ormai alla sua ventitreesima edizione, si è conquistato negli anni del titolo di più grande e seguito festival dedicato all’archeologia del mondo: più di 200 mila persone l’anno prendono parte alle iniziative organizzate da più di 400 enti, fra i quali l’English Heritage, il Museum of London Archaeology, il British Museum ed il Manchester Museum, e solo per citarne alcuni.
Lo spirito dell’iniziativa è quello di avvicinare il più possibile al mondo dell’archeologia non solo chi di norma è interessato a questa disciplina, ma anche chi è del tutto estraneo a questo ambiente.

 

Il fatto che sia lo stesso archeologo a spiegare il proprio mestiere, poi, rende più facile e coinvolgente l’avvicinamento, senza andare a discapito della correttezza scientifica. Le attività sono tra le più varie e permettono a tutti, sia ai più giovani che, perché no, anche agli adulti, di cimentarsi in tutto ciò che abbiano voglia di sperimentare. Non è mai troppo tardi per appassionarsi all’archeologia sembra essere il tema, ed i quasi mille eventi sponsorizzati dal festival ne sono la testimonianza.

 

Ed i canali di informazione sono molteplici. Pur essendo un festival di vecchia data, infatti, non si può proprio dire che non si tenga al passo dei tempi: sul sito del festival si può risalire sia alla pagina Facebook, al profilo Twitter e persino al Pinterest ufficiale dell’evento, aggiornati tutti in tempo reale con news, eventi e foto dalle numerose manifestazioni in atto. Personalmente apprezzo molto quest’attenzione all’interattività con l’utente: mi piace poter avere un assaggio di quello che succede, che io possa parteciparvi o meno. E leggere il feedback di coloro che hanno già partecipato agli eventi è un buon modo per aiutarmi a valutare se l’attività potrebbe essere di mio gradimento.
Non solo. Tramite un comodo motore di ricerca è possibile cercare l’evento che più ci interessa, selezionando sia la regione che il tipo di attività alla quale vogliamo partecipare. Si va dai tour guidati, alle visite di veri e propri scavi, dalle attività dedicate ai più piccoli, a seminari e dibattiti su argomenti archeologici specifici. E per i più temerari c’è persino la “Knit Archaeology Competition”, ossia una gare per la realizzazione del miglior lavoro a maglia a tema archeologico. Ecco qualcosa al quale io di certo non potrò partecipare 🙂
C’è l’imbarazzo della scelta: solo nell’area dove io mi trovo in questo momento (East Midlands) ho contato ben 105 eventi, e la sponsorizzazione del Council of British Archaeology, ente di beneficienza privato che si occupa della tutela dell’incredibile patrimonio archeologico britannico e ne promuove la salvaguardia per le future generazioni, attesta la qualità dell’iniziativa.

 

Se non fossi inchiodata a casa (causa tesi in consegna a breve), farei sicuramente un salto. E perché no, magari un giorno avrò anch’ io l’occasione di organizzare qualcosa!

 

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Camilla Bertini (@Cami82)