Wiki Loves Monuments - Wikipedia - Italia

Wiki Loves Monuments: fotografia, monumenti e cultura libera

Monumenti e fotografia, declinati secondo la pratica della cultura libera tipica di Wikipedia. Volevamo saperne di più e così abbiamo chiesto a chi sta lavorando dietro le quinte del progetto.

 

Il post di Ginevra Sanvitale, che siamo lieti di ospitare, ci spiega così gli scopi del progetto, come funziona, e le particolarità del caso italiano.

 

Buona lettura!

 

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Cos’hanno in comune Wikipedia, il patrimonio culturale e la fotografia? Semplice: sono le tre componenti chiave di Wiki Loves Monuments.

 
Wiki Loves Monuments è un concorso fotografico sui monumenti e i beni di interesse artistico-culturale aperto a tutti e da cui tutti possono beneficiare -anche chi non partecipa. Le foto scattate per il concorso, infatti, vengono caricate su Wikimedia Commons, un database di file multimediali collegato a Wikipedia, e rilasciate con una licenza Creative Commons che ne permette il riutilizzo, la copia e la modifica da parte di chiunque.

 
Il concorso nasce nei Paesi Bassi nel 2010 e l’anno successivo si diffonde in tutta Europa, coinvolgendo 18 paesi. La semplicità e l’immediatezza del progetto riescono a coinvolgere da subito un gran numero di partecipanti: per partecipare è sufficiente scegliere uno o più monumenti dalle liste apposite, fotografarli (senza alcuna limitazione per quanto riguarda qualità, quantità e manipolazione delle foto) e caricare le immagini su Commons. La licenza CC-BY-SA, con cui vengono rilasciate, consente la loro diffusione e rielaborazione liberamente e gratuitamente, a patto di citarne l’autore e di rilasciare l’eventuale opera derivata sotto lo stesso tipo di licenza.

 
Le sorti delle immagini partecipanti possono essere tante e diverse.

 

La prima, naturale destinazione è Wikipedia: ogni enciclopedia che si rispetti ha bisogno di qualche foto che dia un po’ di colore e ne illustri gli articoli, specialmente se si parla di patrimonio culturale e specialmente se si parla del nostro, che è così bello e ricco – sarebbe davvero riduttivo descriverlo senza poterlo mostrare!

 

Ma Wiki Loves Monuments può anche essere fonte di materiale didattico per le scuole, o promozionale per le istituzioni: basta citare la fonte e poi le foto sono di tutti coloro a cui servono. Infine, il concorso è un modo per conservare la memoria dei nostri monumenti, per costruire un ricordo condiviso del nostro patrimonio.

 
L’Italia partecipa per la prima volta l’anno scorso, anche se nel 2011 ci avevamo già provato. L’ostacolo più grande proviene dalle nostre leggi in tema di conservazione e gestione del patrimonio culturale, che non prevedono libertà di panorama, cioè la possibilità di scattare liberamente fotografie ai beni culturali, in particolare quelli visibili in luoghi pubblici. Secondo il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, infatti, la riproduzione fotografica di un bene culturale è soggetta a richiesta di autorizzazione ed eventualmente al pagamento di un contributo, a meno che non sia per scopi strettamente personali. Anche se non c’è più alcun tipo di copyright sul bene, e anche se il bene è visibile dal suolo pubblico.

 
A questo bisogna aggiungere il giogo della burocrazia italiana, per cui non ci sono solo le soprintendenze ad avere in consegna monumenti, ma comuni, regioni, provincie e così via: chiedere le autorizzazioni è un lavoro immenso.

 
Tuttavia, la richiesta delle autorizzazioni ente per ente è l’unico modo possibile. Così nel 2012 ci siamo rimboccati le maniche con un po’ di anticipo e siamo riusciti ad ottenerne un certo numero – piccolo, considerata la quantità di beni di interesse artistico presenti nel nostro paese, ma sempre meglio che niente.

 

L’Italia si è classificata tredicesima a livello mondiale per numero di immagini partecipanti, e ben due nostro foto si sono classificate tra le prime dieci della versione internazionale del concorso, a cui partecipano tutte le foto vincitrici dei vari concorsi nazionali.

 
Quest’anno ci proviamo di nuovo: l’esperienza dell’anno scorso ci ha aiutati molto, e già abbiamo 400 monumenti da 75 istituzioni pubbliche e private. Ma noi non ci accontentiamo, e abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti per aumentare ancora di più il numero dei beni fotografabili. Tutti possono partecipare all’organizzazione di Wiki Loves Monuments chiedendo al proprio Comune di liberare i propri monumenti concedendo l’autorizzazione a fotografarli per il concorso.

 
Se vuoi aiutarci, trovi tutte le informazioni sul nostro sito. Se invece preferisci partecipare come fotografo/a, leggi il regolamento – le foto possono essere state scattate in qualsiasi momento, ma vanno caricate durante il mese di settembre. Infine, se vuoi vedere cosa abbiamo prodotto l’anno scorso puoi dare uno sguardo alle foto vincitrici.

 

 

Ginevra Sanvitale

 

#MIA13 – Macchianera Italian Awards

E se ci provassimo?

 
Spieghiamo tutto: i #MIA2013, ovvero i “Macchianera Italian Awards“, sono un riconoscimento per i migliori siti italiani. I premi vengono assegnati nel corso della serata finale del BlogFest, evento che riunisce tutto ciò che gravita intorno alla community italiana del web. L’appuntamento con Blogfest quest’anno si terrà dal 20 al 22 settembre a Rimini (per maggiori info qui trovate il sito)

 

Fino al 15 agosto è possibile proporre le candidature e i primi 10 arrivati concorreranno per il premio finale.

 

Per rientrare nella rosa dei finalisti è necessario che le segnalazioni arrivino dagli utenti web: quindi, se vi va, potreste segnalare www.professionearcheologo.it come miglior sito tecnico divulgativo, come sito rivelazione, come miglior community o indicare uno qualunque dei nostri articoli come miglior articolo/post.

 

Le regole sono piuttosto machiavelliche e ve le riassumiamo:
– Bisogna segnalare l’url del sito o dell’articolo, non il solo nome (www.professionearcheologo.it);
– Potete segnalare lo stesso sito in sole 4 categorie, altrimenti la votazione sarà annullata;
– Nella scheda-voto è necessario compilare almeno 8 categorie, pena la non validità della segnalazione.

 

E ora che abbiamo spiegato ben benino come votare, tocca a voi/noi: facciamo partire gli inviti a votare verso amici, nemici e parenti!

 

Chissà che quest’anno ai #MIA13 non ci siano anche gli archeologi…

 

Per votare basta compilare la scheda presente sul nostro sito, la trovate a questo link

Per maggiori info, visitate il sito di Macchianera e il link alle regole per votare

 

Bibliografia - archeo tutorial

Archeologia Know-How: Professione Archeologo presenta gli Archeo Tutorial

Professione Archeologo inaugura oggi una serie che, siamo sicuri, accoglierete con entusiasmo: gli Archeo Tutorial.

 

Di cosa si tratta?

 

Avete mai visto i video di ClioMakeUp all’epoca in cui Clio appariva ancora poco in televisione ed era un fenomeno da YouTube?

 

Ecco, questa è l’idea, brevi video che spiegano passo passo come fare qualcosa, in modo chiaro e senza giri di parola, solo che invece di trucchi parliamo di archeologia, e al posto di Clio abbiamo il nostro Davide A., che oltre ad essere il nostro archeoartist di fiducia è anche un archeologo preciso e puntiglioso.

 

Per questo motivo abbiamo deciso di affidare a lui la prima serie degli Archeo Tutorial, pensata soprattutto per chi è ancora studente e si ritrova, magari per la prima volta, a dover redigere la tanto temuta bibliografia finale per una tesina o per una tesi di laurea.

 

Insieme a Davide, con l’aiuto di esempi e cartelli, e grazie a link di approfondimento e ad un breve ‘dossier’ che sarà disponibile alla fine della serie, impariamo quali sono i sistemi di citazione bibliografica più usati, come funzionano e come si fa ad organizzare i riferimenti bibliografici alla fine di una ricerca o una tesi.

 

Naturalmente non pretendiamo di essere esaustivi, e come sempre siamo aperti a critiche, suggerimenti e commenti di ogni tipo, quindi fateci sapere cosa ne pensate, perchè ogni vostro contributo ci aiuterà a correggere il tiro e a migliorare.

 

Una volta terminata la serie, video, link e dossier saranno disponibili nella sezione del sito che abbiamo chiamato Risorse, tools per archeologi e studenti, sotto la voce Lo Scaffale dello Studente.

 

 

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Approfondimenti:

Per un’introduzione al processo di citazione e compilazione della lista dei riferimenti

Sullo stile Harvard

Sullo stile Chicago

Sullo stile Vancouver

Sogno di una notte di mezz’estate: #NotteBiancaTW ~ #NBTWarcheologia

A poco meno di tre mesi dalla fortunata iniziativa #invasionidigitali gli ideatori delle pacifiche incursioni nel nostro patrimonio artistico accolgono la sfida lanciata da @insopportabile: portare su Twitter ciò di cui ha bisogno l’Italia, un nuovo Rinascimento.

 

E’ nata così #NotteBiancaTW.

 

Questa volta sarà Twitter il socialmedia di riferimento.

 

Questa volta le iniziative saranno concentrate nella “notte” del 10 luglio.

 

Questa volta non solo arte sotto la lente degli invasori, ma anche musica, poesia e qualunque altra forma di attività culturale. Hashtag di riferimento: #NotteBiancaTW #laculturanondormemai e hashtag specifici per i diversi ambiti culturali, da #NBTWpoesia a #NBTWmusica.

 

Partecipare è semplice, ognuno di noi può dare un contributo alla riuscita della Notte Bianca della Cultura (trovate le istruzioni qui):

– Condivisione su twitter di argomenti culturali utilizzando gli hashtag appositi

– Raccolta di foto scattate la notte del 10 luglio presso i luoghi della cultura e condivisione con #laculturanondormemai

-Invasioni notturne dei luoghi di cultura della tua città

 

Noi di PA vogliamo partecipare e sostenere una Notte Bianca dell’archeologia: basterà postare tweet a tema archeologico nel corso della notte del 10 luglio utilizzando l’hashtag #NBTWarcheologia nei vostri cinguettii.

 

E poi ci piacerebbe fare rete. Riuscite ad organizzare invasioni notturne nei pressi dei #segnacolideltempo del nostro Paese (monumenti, obelischi, epigrafi, etc)? Non visite guidate, ma un’occasione per riappropriarsi della bellezza, per scambiarsi idee sulla politica culturale del paese, per dire che l’archeologia è cultura e come tale va difesa e vissuta.

 

Stiamo provando ad organizzare una #NBTWarcheologia a Roma, se siete interessati potete contattare @opuspaulicium (Paola Romi su FB).

 

E se invece siete a Lecce possiamo sentirci via twitter (@antoniafalcone @_patsan_ @DavArnesano) o Facebook (basta mandare un messaggio sulla pagina di Professione Archeologo).

Sir Arthur Evans - Cnosso - archaeology

Dies Natalis #2 ~ Sir Arthur Evans

Bentrovati al secondo appuntamento di #DiesNatalis, la rubrica di Professione Archeologo dedicata alle importanti personalità di studiosi che hanno dato un contributo essenziale allo sviluppo della nostra disciplina.

 

Oggi vi presentiamo un ritratto di Sir Arthur Evans, nato l’8 luglio del 1851.

 

La figura di Evans è legata indissolubilmente alla civiltà minoica ed in particolare alla scoperta del palazzo di Cnosso. Gli scavi di Evans a Creta iniziarono nel 1900 e misero in luce i resti di un grande palazzo, la cui articolazione degli ambienti ricordava proprio quella di un labirinto, come tramandato dalla mitologia greca. Fu così che Evans coniò il termine di “minoico” per definire ciò che rimaneva di questa antica civiltà, il cui fulcro era rappresentato proprio dal palazzo rinvenuto a Creta.

 

Tra il 1921 e il 1935 furono pubblicati i quattro volumi di The Palace of Minos at Cnossos. Attraverso lo studio della stratificazione archeologica e della successione degli stili ceramici, Evans fissò la cronologia relativa della civiltà minoica, suddividendola in tre periodi: Minoico Antico, Medio e Tardo, ciascuno suddiviso a sua volta in tre fasi. Grazie al ritrovamento di ceramica minoica in tombe egiziane e di oggetti egiziani in strati minoici fu possibile anche stabilire delle corrispondenze cronologiche tra fasi minoiche e dinastie egiziane, fissando alcuni elementi di cronologia assoluta.

 

Da allora molta acqua è passata sotto i ponti ed alcune delle conclusioni raggiunte da Evans sono state oggetto di discussione e revisione, ma rimane fondamentale il suo apporto alla conoscenza di questa antica e per molti versi ancora misteriosa civiltà.

 

Il nostro ricordo di Evans non può quindi prescindere dal richiamo al mitico labirinto di Cnosso. Ma non solo. Nell’illustrazione è presente un omaggio alla serie “C’era una volta l’uomo”, pubblicata da De Agostini nel 1990, basata su quella animata creata nel 1978 da Albert Barillé (lo stesso di “Siamo fatti così”).

 

Se siete curiosi, qui trovate la puntata della serie dedicata alla civiltà minoica.

 

Soggetto, disegno e colori di Davide Arnesano (@DavArnesano)

 

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Per saperne di più:

Sir Arthur Evans su wikipedia

Cnosso su EAA

 

 

Pompei, SOS dell'Unesco

SOS Pompei

E’ notizia di pochi giorni fa l’inserimento di 12 ville e due giardini medicei nella lista dei monumenti dichiarati patrimonio mondiale dell’umanità dal comitato di valutazione Unesco. Ma purtroppo, dalla Cambogia, dove sono riuniti i 21 membri Unesco, non arrivano solo buone notizie per l’Italia.

 

Eh già, perchè, se da un lato il patrimonio rinascimentale mediceo viene riconosciuto come esempio di “un innovativo sistema di costruzione rurale in armonia con la natura” configuratosi nel tempo come “modello per la costruzione di residenze principesche in Italia e in Europa”, dall’altro ci sono brutte avvisaglie per un altro sito Unesco, cioè Pompei.

 

Ricordiamo che gli ispettori Unesco, tra dicembre 2012 e febbraio 2013, hanno visitato l’area archeologica e il rapporto successivo all’ispezione è quanto mai deprimente: di 73 domus visitate, 50 sono chiuse al pubblico; molte di queste risultano in pessimo stato di conservazione, sotto l’attacco di umidità e incuria.
Le osservazioni degli ispettori sono confluite quindi in un rapporto in cui si esprime profonda preoccupazione per i crolli che hanno avuto luogo nella città vesuviana, sottolineando il timore che altri cedimenti possano compromettere le case pompeiane e spiegando che “la mancanza di addetti al sito, soprattutto di tecnici, è diventata allarmante per la manutenzione quotidiana”.

 

Un altro punto critico risiede nella rilevata mancanza di un “management plan”, il piano di gestione relativo alle aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Oplontis, indispensabile per il permanere nella lista dei “siti patrimonio dell’umanità”.

 

Nonostante queste problematiche il comitato Unesco ha deciso di rimandare di due anni un’eventuale iscrizione del sito archeologico di Pompei nell’elenco dei “siti in pericolo”, continuando nel frattempo l’attività di monitoraggio delle attività di manutenzione e conservazione dell’area.

 

Rimane una sensazione di profonda amarezza e rammarico, oltre che una tacita rabbia, di fronte alla eclatante ammissione di incapacità del nostro Paese di tutelare, conservare e valorizzare il sito che tutto il mondo ci invidia.

 

O forse dovremmo dire ci invidiava?

 

Per approfondire:

 

Rapporto Unesco (disponibile anche per il download)

 

Pompei, attenti alla black list Unesco

 

Crolli e degrado: il sopralluogo Unesco a Pompei (e il baratro del turismo in Campania)

 

Gli ultimi giorni di Pompei. Il sito nel mirino dell’Unesco

 

Dossier choc: domus a pezzi

 

 

open access archaeology

Be open, be free

“Archaeologists have an ethical obligation to make their data available” (Sue Alcock)

 

Uno spettro si aggira nel mondo dell’archeologia e si chiama “open”: open data, open source, open access.

 

Qui sulle pagine virtuali di Professione Archeologo ci siamo occupati spesso del tema della trasparenza e accessibilità del dato archeologico e delle pubblicazioni scientifiche, perché riteniamo che l’apertura dei dati sia una delle sfide che ci toccano più da vicino, in quanto creatori e fruitori di contenuti.
Le iniziative che guardano all’archeologia open come modello da sostenere e incrementare diventano sempre più frequenti e sono improntate alla multidisciplinarietà, facendo della contaminazione di linguaggi e ricerche una cifra significativa (matematica, archeologia, geologia, informatica, etc).

 

A questo proposito, ricordiamo che dal 13 al 15 giugno ha avuto luogo Opening The Past 2013, proprio su predictivity, open data, open access e geoarchaology. Qui trovate il sito di Mappa Project dove è possibile scaricare i pre-atti del convegno.

 

Si sta svolgendo invece in queste ore a Catania l’edizione 2013 del workshop ArcheoFOSS – Open Source, Free Software e Open Format nei processi di ricerca archeologica, organizzato dall’Image Processing Lab dell’Università di Catania che si propone di accendere i riflettori su:

 

 

“utilizzo innovativo e sviluppo di software libero e open source nella ricerca archeologica e nei beni culturali;
diffusione di banche dati gestite da enti di ricerca e tutela secondo i principi degli open data, e libera circolazione della conoscenza.”

 

 

E’ possibile seguire il livetwitting dell’incontro che continuerà anche domani grazie all’hashtag #archeofoss, mentre qui trovate il sito web dedicato.

 

Un’altra importante inziativa che abbiamo seguito fin dall’inizio è quella di OpenPompei.

 

Il progetto è ormai entrato nel vivo e si caratterizza per la volontà chiara di mettere in luce le realtà del territorio campano che portano avanti forme di sviluppo sano nella regione. A questa volontà non sfugge l’archeologia. E’ chiara infatti la necessità di avviare un percorso di apertura dei dati che coinvolga anche l’area archeologica di Pompei. E gli amici di OpenPompei hanno “aperto” il loro blog anche a noi archeologi, raccogliendo suggerimenti e contatti.

 

E’ di qualche giorno fa, ad esempio, un post in cui si chiamano a raccolta esperti di dati aperti ed economia hacker, per la creazione di una long list che includa tutti coloro che vogliono dare un contributo al progetto.

 

Insomma, l’archeologia si sta finalmente aprendo anche in Italia alla condivisione libera e trasparente dei dati. Di lavoro da fare, di certo, ce n’è ancora tanto, ma da qualche parte bisogna pure cominciare, e chi ben comincia…

Revixit Archeo: il futuro dell’archeologia passa dalla rete

Chi è di noi è abituato all’uso dei social network sa bene che vi si svolgono quotidianamente preziosi dibattiti tra gli archeologi, con toni spesso polemici, a volte propositivi e generalmente marcati da profonda disillusione.
Ci si interroga sull’attualità della professione e si esplorano gli scenari possibili affinché la nostra disciplina possa uscire dall’alveo dell’hobbistica per giovani rampolli di buona famiglia e diventi invece un lavoro a tutti gli effetti, con tutele garantite, tariffario stabilito e dignità sociale.
A volte sembra che a mancare, oltre alle risorse, siano la volontà e le iniziative concrete per fare della nostra professione un settore veramente d’avanguardia, in grado di coniugare ricerca scientifica, formazione e divulgazione al grande pubblico.
In rete è più facile confrontarsi su tematiche spesso trascurate dall’archeologia ufficiale – quella che si insegna e si impara nelle aule universitarie, quella che si pratica nei laboratori e quella che si tutela nelle Soprintendenze. E questo per varie ragioni: vuoi perché ci si confronta in tempo reale anche con il mondo fuori dall’Italia, vuoi perché ci si sente meno “controllati” e quindi più disinvolti nella critica e nella proposta. Sta di fatto che gli archeologi in rete ci sono. E si parlano.
La stessa cosa non si può dire, almeno non con una presenza significativa statisticamente, per le istituzioni che si occupano di archeologia: dipartimenti universitari, soprintendenze, musei.
È per questo motivo che, leggendo le “Linee programmatiche dell’azione del ministro per i beni e le attività culturali”, la nostra attenzione si è subito fermata sul punto 17 (La tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale attraverso le nuove tecnologie):

 

 

Le nuove tecnologie possono e devono fornire un contributo importante per la
valorizzazione del patrimonio culturale, favorendone la conoscenza e migliorandone
la pubblica fruizione. In questo senso, assume certamente rilievo prioritario la
promozione e il costante aggiornamento di applicazioni tecnologiche finalizzate a
comunicare e a rendere fruibile il patrimonio culturale.
Attraverso un sistema mirato di azioni da parte del Ministero, in stretta
collaborazione con l’Agenzia per l’Italia digitale, è possibile e necessario individuare
e sperimentare soluzioni innovative nel campo della comunicazione digitale, in
particolare attraverso i social networks, in modo da mettere a disposizione di un
pubblico sempre più vasto e con modalità semplici e accessibili l’enorme quantità di
informazioni e di contenuti relativi al patrimonio culturale oggi in possesso del
Ministero.

 

 

Non ci è sembrato vero leggere in una stessa frase le parole: tutela, valorizzazione, nuove tecnologie.

 

E questo perché, come dicevamo, nel settore dei beni culturali si percepisce un po’ di reticenza verso l’apertura al nuovo, a strumenti che magari non conosciamo bene e che per questo incutono timore. E poi perché, diciamolo tra noi, quanto ci piace a noi archeologi capirci e parlarci solo tra gruppi ristretti!

 

Apertura infatti significa discussione, confronto e rottura della gabbia dorata in cui ci siamo chiusi da decenni. Significa varcare uno steccato di intangibilità e aprirsi al pubblico, quel pubblico che spesso accusiamo di non capire, di fermarsi a Voyager e simili… amenità.

 

Chiediamoci cosa abbiamo fatto e cosa facciamo noi per questo pubblico.

 

Riusciamo a comunicare chi siamo, qual è il nostro lavoro? Oppure non siamo ancora riusciti a costruire un nuovo immaginario, diverso da quello che ci vede come perenni Indiana Jones e Lara Croft alle prese con nazisti, fruste e pistole?

 

Abbiamo mai provato a spiegare davvero cosa è l’archeologia oggi? A cosa serve?

 

Credo di no, e sapete una cosa? Penso che i tempi siano maturi per farlo, per cominciare a porre delle domande innanzitutto a noi stessi, come categoria, e poi al pubblico.

 

Un’altra cosa di cui rimango convinta è che le nuove tecnologie, i network sociali ed il dibattito che si costruisce ogni giorno in rete siano in grado di dare una spinta propulsiva, di farci sentire parte integrante della società, attori che non solo salvaguardano, ma valorizzano e comunicano.

 

È per questo che ci piace che Massimo Bray, il nuovo ministro del Mibac, sul web ci sia, cerchi un confronto, si presti alle critiche e coinvolga la community.

 

Ci auguriamo che questo “stare sul web” si accompagni a decisioni immediate nei confronti di problemi urgenti, provvedimenti in grado di restituire valore aggiunto al nostro patrimonio culturale, spesso dimenticato o ridotto ad una cartolina di “rovine” dal sapore ottocentesco.

 

@antoniafalcone