Perchè diciamo #no18maggio: la protesta di #generazionepro

Notte dei Musei 2013.

 

Il Ministero chiama a raccolta le organizzazioni di volontariato dalla sua pagina Facebook ed i professionisti della cultura insorgono. Professione Archeologo ha già espresso il suo punto di vista nel bel post di Antonia, sotto al quale si è aperta una proficua discussione venata di rabbia, ma anche, a tratti, di tristezza e scoramento.

 

Poi è arrivata la risposta del sottosegretario al MiBAC, Ilaria Borletti Buitoni, dalla sua pagina personale. Se doveva chiarire i come ed i perchè il breve post ci è riuscito benissimo: si ricorre ai volontari perchè non ci sono soldi e solo quando le risorse ci saranno si potrà dare lavoro a chi ha speso anni nella sua formazione culturale.

 

Mi chiedo: ma se non si facesse ricorso ai volontari la Notte dei Musei si potrebbe organizzare?

 

Se la risposta è sì, d’accordo, bell’iniziativa e buon lavoro a tutti, ma se la risposta è no… allora in questa logica c’è una falla grande quanto quella che affondò il Titanic.

 

Perchè il problema non sono i volontari. Il volontariato è una colonna portante del sistema sociale di questo paese, è una scelta di vita e di cittadinanza, ma resta personale, privata anche quando ha tanto impatto nel pubblico, ed è così che deve essere.

 

Il volontariato non può sostituire il pubblico, non può prendere il posto del lavoro retribuito, e non può prescindere dalla competenza del professionismo. La buona volontà dei singoli e delle associazioni, e anche di tanti professionisti che lavorano nel campo della cultura e che si sobbarcano ‘aggratis’ compiti che “se non lo faccio io non lo fa nessuno” non può sostituire il sistema, ed il sistema della cultura in Italia non funziona più. Continuerà ad arrancare se non si decide, ma seriamente, di investire nella formazione, nella ricerca, nel lavoro, nelle competenze.
Ecco da dove nasce #no18maggio, una protesta che va oltre la Notte dei Musei 2013, ed è agitazione “dal basso” nei confronti scelte che dovrebbero essere strategiche ed invece sono solo miopi.

 

Noi di #generazionepro non ci stiamo. Siamo PROfessionisti in PROtesta e abbiamo delle PROposte.

 

Open access, open data, open source, web strategy, comunicazione, racconto sono parole chiave che esemplificano alcune di queste proposte. Tante altre ne verranno fuori, perchè oltre alla competenza ci mettiamo cuore e testa, tutti.

 

E poi, lo sapete, a Professione Archeologo ci mettiamo sempre anche la faccia. E così ieri sera abbiamo lanciato uno spinoff di #no18maggio e #generazionepro.  E’ #VolontariAChi. E su Twitter arrivano già le prime foto.

 

@domenica_pate

 

 

L’Aquila 5 maggio 2013: voglia di ricostruire

Gli ArcheoReporter Pina Alloggio e Giovanni Lacorte sono stati a L’Aquila il 5 maggio, in occasione della manifestazione promossa dagli storici dell’arte italiani, per parlare di ricostruzione e rinascita di una città sfigurata dal terremoto e da un’incuria durata anni.

 

Hanno così scritto un report della giornata, accompagnandoci, con le loro parole, in un viaggio tra le bellezze e le rovine della città abruzzese.

 

Hanno incontrato i promotori dell’iniziativa e coloro che vi hanno preso parte, sottolineando la necessità di tener viva l’attenzione su un patrimonio artistico che fa parte delle nostre radici culturali.

 

Hanno parlato con il Prof. Salvatore Settis e con il neo Ministro dei Beni Culturali, Massimo Bray, hanno osservato e fotografato.

 

Buona lettura!!!

 

*

 
I ‘nodi’ dell’Aquila

 

Una selva oscura di nodi. Sì, quelli d’acciaio dei tubi Innocenti.

 

Si presenta così al corteo degli storici dell’arte convenuti da tutt’Italia il paesaggio urbano dell’Aquila.

 

Ogni via percorsa, ogni piazza attraversata, ogni chiesa o altro monumento osservato ci ripropone sempre il medesimo leitmotiv ‘urbanistico-architettonico’.

 

Un’intera città nota fino a pochi anni fa per la rara bellezza del suo centro storico, frutto del mirabile connubio tra architettura, paesaggio e qualità della vita, si ritrova ancora oggi, a 1500 giorni dal sisma, ferma, bloccata, sospesa, invasa non più da cittadini, da studenti, da turisti, ma unicamente da ponteggi in affitto.

 

E sì, perché la cosa beffarda è che per ogni santo giorno di quei 1500 che sono passati da quel 6 aprile del 2009, “noi, come Stato italiano, abbiamo pagato (e Dio solo sa fino a quando continueremo a farlo) l’affitto di migliaia e migliaia di statici ponteggi d’acciaio ad una delle più note famiglie di industriali italiani del settore”, ci comunica Salvatore Settis, tra i promotori dell’evento.

 

Le somme destinate a questo oneroso affitto potrebbero essere invece utilizzate in mille modi diversi. Ad esempio per iniziare finalmente la risistemazione ed i restauri di una città che oggi appare spettrale, umiliata ed abbandonata a se stessa non tanto a causa della furia naturale del terremoto, quanto per la mancanza di volontà di una classe politica, quella italiana, bloccata su temi che di concreto hanno ben poco, e che è stata finora incapace di dare una speranza di futuro a L’Aquila ed ai suoi abitanti.

 

E qui veniamo al tema centrale della giornata organizzata dagli storici dell’arte italiani, che aveva come titolo proprio L’Aquila 5 Maggio. Storici dell’Arte e Ricostruzione Civile.

 

L’idea, nata dallo storico dell’arte Tomaso Montanari, ha coinvolto via via gran parte della comunità scientifica degli storici dell’arte (professori, ricercatori, dottorandi, studenti o semplici amatori d’arte), sensibilizzando anche numerose associazioni di settore.

 

Così, domenica scorsa, dalle 11 del mattino e per un paio d’ore, un lungo corteo munito d’ombrelli (vista la pioggia) si è incuneato nelle strette vie del centro storico cittadino per dare avvio ad una silenziosa e toccante Via Crucis laica, nella quale ogni ‘stazione’ era rappresentata drammaticamente da un monumento ferito (spesso a morte) e/o da ampi spazi urbani ormai quasi irriconoscibili.

 

La giornata è proseguita con un’assemblea che si è riunita all’interno di una delle poche chiese della città finalmente restaurate e quindi agibili, la chiesa di San Giuseppe artigiano, ex San Biagio d’Amiternum.

 

Prendendo per primo la parola per un’introduzione Montanari ha voluto sottolineare la necessità per gli storici dell’arte di “ribadire con forza che è giunto il momento di ricostruire, e di farlo attraverso la conoscenza: ricostruire, restaurare e restituire alla vita quotidiana dei cittadini il centro dell’Aquila. Ricostruire il tessuto civile della nazione. Ricostruire il ruolo della storia dell’arte come strumento di formazione alla cittadinanza e non come alienante dell’industria dell’intrattenimento culturale”.

 

Esatto, perchè l’Aquila tra i tanti problemi rischia pure di diventare ‘Aquilaland’, nel caso in cui, come afferma il prof. Settis, “passasse l’ infausta idea (che pure circola) della ricostruzione di una città formato luna park, avvicinandosi pericolosamente alla peggior idea di una Pompei del XXI secolo”.

 

La nostra piccola delegazione pugliese, rappresentata da noi e da altri tre colleghi, è anche stata piacevolmente sorpresa da una reale quanto non comune opportunità di confronto e scambio di opinioni con gli stessi organizzatori, in particolar modo con il già citato prof. Settis, che ha voluto ribadire l’importanza della collaborazione tra docenti ed allievi, tra istituzioni e cittadini, unica possibile via di uscita per una reale ed autentica politica di conservazione e valorizzazione del nostro patrimonio culturale.

 

Ancora più inaspettato, e per questo molto gradito, l’incontro con il neo ministro dei Beni Culturali, Massimo Bray, all’interno della stupenda cornice del restaurato Palazzetto dei Nobili.

 

Dopo le presentazioni di rito, il Ministro ha commentato in modo molto positivo la presenza di tanti giovani studiosi provenienti da varie parti della penisola e si è dimostrato concorde riguardo alla necessità di accendere i riflettori una volta per tutte sulla ‘questione dell’Aquila’ così da provare a sciogliere quantomeno una parte dei  nodi che tengono bloccata pesantemente la città.

 

Sarebbe un vero peccato insomma, se, dopo anni di silenzi e connivenze non si cogliesse al volo l’occasione per ripartire, tutti insieme, forti di una ritrovata e comune coscienza civica, che dovrà valere per L’Aquila, ma anche per le altre città italiane alle prese con lo smantellamento delle proprie radici storiche e culturali.

 

Ci piace allora chiudere con l’Italo Calvino de Le città invisibili, con un passo che sarebbe il caso di tenere sempre presente:

 

Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell’economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi.”

 

 

Giovanni Lacorte e Maria Giuseppa Alloggio fanno parte dell’associazione Bozzetti di Viaggio, presente anche su Facebook, amica e partner di Professione Archeologo.

 

 

OpenPompei: archeologia, trasparenza e legalità

Il preambolo

 

Con il crollo della Schola Armaturarum il 6 novembre del 2010 Pompei divenne l’emblema di un Paese allo sfascio e di una regione, la Campania, strangolata dalla Camorra.

Lo stato d’emergenza in cui versava e tuttora versa il sito archeologico, lo shock al seguito dei continui crolli e tutte le polemiche che ad essi si sono susseguite, hanno favorito la genesi del Grande Progetto Pompei, frutto della collaborazione tra Governo Italiano e Commissione Europea, presentato il 5 aprile 2012 e da subito operativo.

 

 

Il Progetto, finalizzato alla riqualificazione del sito archeologico di Pompei entro il 31 dicembre 2015, prevede una serie di interventi di restauro e potenziamento dei servizi, sotto la garanzia di un Protocollo di legalità.

 

 

Un momento importante del progetto è quello legato ai temi della trasparenza e della partecipazione, per garantire ai cittadini il controllo degli interventi e il rapido loro conseguimento:

– informare costantemente i cittadini sulla ratio della policy, sui processi amministrativi, sulla filiera delle imprese appaltatrici, sullo stato di avanzamento degli interventi e sui flussi finanziari relativi.

– recepire le segnalazioni e le proposte dei cittadini che vogliano dare così il loro contributo per lo sviluppo dell’area.

 

 

Open Pompei

 

È per concretizzare questi principi che nasce OpenPompei, progetto ideato da Studiare Sviluppo (società in-house del Ministero dell’Economia) e che vede Alberto Cottica come direttore operativo.

 

 

I suoi obiettivi principali sono chiari:

1. Promuovere la cultura della trasparenza delle amministrazioni pubbliche
2. Conoscere e capire il territorio campano
3. Valorizzare i nuovi protagonisti dello sviluppo in Campania

 

 

Open Pompei vuole essere un hackerspace, luogo in cui discutere ed elaborare strategie audaci e innovative, coinvolgendo, ad un tempo, Stato Italiano e innovatori sociali, attivisti, hackers, startuppers.

La sinergia degli attori digitali e dei cittadini deve servire a facilitare il monitoraggio dei dati, favorire il dibattito e suggerire miglioramenti, in un’ottica di partecipazione collettiva.

 

 

Imprescindibile diventa quindi l’uso degli Open Data, attraverso i quali rendere pubblici i dati su politiche amministrative, gare, appalti, servizi, forniture, flussi di denaro e stato dei lavori, cominciando da quelli della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei e del Grande Progetto Pompei.

 

 

Quale futuro

 

“Il sogno dietro OpenPompei è di costruire un’alleanza tra civic hackers, impresa sana e Stato, per tenere alta l’attenzione sulla spesa pubblica e combattere la corruzione… Visto che si fa spesa pubblica sulla cultura in Campania e la si protegge contro infiltrazioni criminali, vale la pena di fare un passo in più, e pubblicare i dati di spesa del Grande Progetto Pompei in formato aperto” (link al blog di Alberto Cottica)

 

Qui è disponibile un’intervista ad Alberto Cotttica sul progetto OpenPompei

 

 

Who’s who : Alberto Cottica è un economista esperto di politiche pubbliche collaborative e partecipazione online. Si impegna per rendere l’azione di governo più aperta e intelligente, utilizzando Internet per attingere all’intelligenza collettiva dei cittadini. Appassionato di matematica delle reti per imparare a progettare dinamiche sociali emergenti. È stato (anche) musicista rock, membro fondatore dei Modena City Rambles e dei Fiamma Fumana.

#BelliDaMorire: lo storify della puntata di Report

Italia, Turismo, Archeologia, Arte, Paesaggio, Lavoro, Giovani, Idee… queste sono le parole chiave della puntata di Report andata in onda domenica 5 Maggio 2013. I sintagmi che ne riassumono meglio i contenuti sono invece altri due: spreco di risorse ed occasioni perse. Siti mal gestiti e progetti innovativi, già finanziati, verso cui la pubblica amministrazione oppone un muro di gomma.

 

Ma i carnefici del nostro scarso buonumore domenicale non erano sazi. Magistralmente hanno deciso di sottoporci un’ulteriore questione: perché i servizi aggiuntivi delle realtà museali più universalmente note e redditizie sono in mano ai soliti noti? E, per par condicio, perché degli sconosciuti Carneadi organizzano mostre a Castel Sant’Angelo? I furbetti del museo, verrebbe da dire.
Questioni fondamentali e complesse quelle trattate. A noi di Professione Archeologo preme sottolineare l’aspetto forse più esemplificativo che condanna i nostri beni culturali e paesaggistici ad essere #BelliDaMorire: la quasi totale mancanza di comunicazione sul web del nostro patrimonio culturale.

 

In una realtà in cui la divulgazione diventa sempre più interattiva e la condivisione un paradigma al quale non si può sfuggire, si assiste alla totale carenza di strategie web di promozione turistica e culturale nel mondo dei beni culturali. L’Italia sembra non essere all’altezza del ruolo. Eppure non mancano le professionalità in grado di gestire campagne di social media marketing o di elaborare strategie di diffusione e partecipazione, energie giovani e vitali sconfortate dal panorama che si trovano di fronte.
Non è difficile, basta soltanto avere un’idea di progettualità sul lungo periodo, scrollandosi di dosso un pò di polvere.

 

Poiché la libera circolazione dei dati, e l’utilizzo dei newmedia sono alla base di ciò che questo portale si propone di fare e siccome i cinguettii riguardanti #bellidamorire sono stati tanti ve ne proponiamo lo storify. Buona lettura!

 

Storify di #BelliDaMorire

 

Sul sito di Report è possibile rivedere la puntata

 

 

L’Aquila 5 maggio: appuntamento con l’arte da ricostruire

Era la notte del 6 aprile 2009. La città de L’Aquila veniva colpita drammaticamente da un violento terremoto.

 

Sono trascorsi 4 anni.

 

Oggi L’Aquila si ritrova annullata, tra monumenti crollati e new town di cemento. Ma non tutti hanno dimenticato.

 

Il prossimo 5 maggio gli storici dell’arte italiani sono chiamati a riunirsi in città: insegnanti di scuola, professori universitari, funzionari del Mibac o di altri enti, studenti, dottorandi, laureandi, pensionati. L’appuntamento è pensato per rimettere al centro del dibattito pubblico le necessità di una ricostruzione che faccia da argine all’inarrestabile stupro edilizio del territorio, all’alienazione, alla banalizzazione del patrimonio storico monumentale.

 

La ricostruzione di un tessuto civile, culturale, storico pensata come strumento di formazione alla cittadinanza: è questo lo spirito che anima l’iniziativa sostenuta e fortemente voluta dagli storici dell’arte italiana.

 

L’iniziativa vedrà la partecipazione del neo Ministro dei Beni Culturali Massimo Bray. L’evento sarà introdotto da Tommaso Montanari e le conclusioni affisate a Salvatore Settis.

 

Rimandiamo al sito ufficiale qui dove potrete trovare l’elenco dei promotori, il programma e le informazioni logistiche.

Crowdfunding. Il futuro dell’archeologia?

Il crowdfunding è una tipologia di finanziamento tramite donazioni da parte di persone che decidono di investire piccole somme di denaro per sostenere un’organizzazione o un progetto. Grazie alle possibilità di incontro offerte dal web, in particolare dai social media, e grazie all’esistenza di specifiche piattaforme ad esso dedicate, il crowdfunding è stato negli ultimi anni alla base di numerose iniziative, dalla campagna elettorale di Obama, alla realizazzione di film indipendenti o album musicali, al finanziamento di progetti di carattere culturale o umanitario.

 

Concetti essenziali del crowdfunding sono quelli di microfinanza e di comunità, veicolate dal web, la cui viralità permette di raggiungere pubblici e quindi donatori prima inaccessibili.

 

Cosa c’entra l’archeologia?  C’entra perchè nel Regno Unito hanno deciso di applicare il crowdfunding alla ricerca archeologica.

 

DigVentures, nata nel 2012, ha proprio lo scopo di costruire “una comunità che ha l’archeologia come cuore, e la partecipazione pubblica nel DNA”.

 

L’associazione, composta da archeologi con diversi curricula e specializzazioni, con anni di esperienza nel campo della divulgazione, si pone come obiettivo quello di avvicinare il grande pubblico alla pratica archeologica, coinvolgendo gli appassionati  in diverse fasi della ricerca, con un occhio alla sostenibilità sia ambientale che finanziaria dei progetti, avendo in mente la successiva fruizione turistica dei siti indagati.

 

La community dei “venturers” viene poi tenuta sempre aggiornata per mezzo di video, foto, articoli e degli immancabili social network, e può prendere parte, dietro acquisto di un determinato pacchetto, allo scavo, provando in prima persona cosa significa essere un archeologo sul campo.

 

Ed è questa una delle particolarità di quest’idea: le donazioni sono definite in “pacchetti”, che vanno da un minimo di 10 sterline, per le donazioni di base, e salgono via via, fino ad un massimo di 875 sterline per la partecipazione all’intera feel school (della durata di due settimane), e con un pacchetto “speciale” di 2,000 sterline.

 

In questo modo DigVentures ha raccolto lo scorso anno oltre 30.000 euro, mentre quest’anno l’obbiettivo è lo scavo dell’abbazia medievale di Leiston, per cui è in corso la raccolta dei quasi 20.000 euro necessari.

 

Visto il successo di queste prime campagne di crowdfunding, DigVentures mette a disposizione la propria piattaforma per tutti coloro che abbiano bisogno di raccogliere fondi per finanziare i propri progetti di ricerca archeologica.

 

Al di là del successo di questa tipologia di finanziamento, la cosa che ci sembra più interessante è che il team di DigVetures è formato da archeologi imprenditori e manager di sè stessi, che si occupano di tutti i passaggi della ricerca, facendo del coinvolgimento del pubblico degli appassionati non solo la propria fonte di finanziamento, ma anche la comunità verso la quale e per la quale il loro lavoro viene svolto.

 

Ecco le parole di Lisa Westcott Wilkins, manager dell’associazione:

 

“Crediamo che offrire un servizio di nicchia sia assolutamente la strada giusta: dopo tutto noi capiamo il prodotto, abbiamo anni di esperienza nel campo noi stessi, oltre alla necessaria expertise strategica per aiutare altri progetti a realizzarsi e a vendere meglio loro stessi, con un’occhio alla sostenibilità. Abbiamo scoperto attraverso il nostro lavoro che crowdfunding e crowdsourcing sono potenti mezzi di coinvolgimento e costruzione di comunità, il che per quel che facciamo è importante tanto quanto il finanziamento in sé.”

 

Per saperne di più:

DigVentures: crowdfunding, come funziona

Saints & Secrets: the Lost History of Leiston Abbey (il progetto di finanziamento e scavo)

Crowdfunding the past: is this the future of archaeology? articolo su DigVentures in Past Horizon, con l’intervista citata a Lisa Wescott Wilkins.

Il crowdfunding in Italia, un blog