#Archeologiamuta: scene da un patrimonio

Su Professione Archeologo ne abbiamo discusso spesso: può l’archeologia italiana sviluppare gli strumenti per uscire dall’alveo degli “addetti ai lavori” e diventare invece patrimonio comune e condiviso?

 

A dare retta a quel che leggiamo on line, e sempre più frequentemente negli ultimi tempi, la risposta, purtroppo, è no.

 

L’immagine che viene fuori, invece, ricostruita attraverso casi più o meno eclatanti, reportage, articoli, e, aggiungiamo, anche dalla nostra personale esperienza quotidiana, è quella di un’archeologia che non riesce a comunicarsi e quindi a rendersi accessibile al grande pubblico.

 

Quest’inaccessibilità si manifesta in due momenti distinti, ma complementari: da una parte la problematica legata agli open data ed alla possibilità di permettere la fruizione collettiva dei risultati delle indagini archeologiche, dall’altra la questione della carenza di forme adeguate di valorizzazione del patrimonio archeologico: pensiamo ad esempio alla difficoltà di comprensione che un visitatore può incontrare di fronte ad una testimonianza archeologica che, per quanto conservata, celebrata e magari anche molto nota, spesso rimane però “muta”, talvolta letteralmente.

 

 

Segnaliamo a questo proposito i reportage di Manlio Lilli e Flavia Amabile, che, rispettivamente, sulle pagine del Fatto Quotidiano e de La Stampa, stanno sollevando nelle ultime settimane il problema dei “Monumenti fantasma” a Roma.

 

I monumenti fantasma: la prima puntata (Il Mausoleo di Augusto)

 

I monumenti fantasma: la seconda puntata (L’Ateneo di Adriano)

 

I monumenti fantasma: la terza puntata (La Meta Sudans)

 

I monumenti fantasma: la quarta puntata (Le Terme di Traiano)

 

Nella Roma senza cartelli

 

 

Il problema è ben noto, non solo a chi lavora nell’ambito dei beni culturali, ma anche ai cittadini che, nella veste di turisti o di semplici passanti, si ritrovano troppo spesso a cercare e non trovare, a guardare e non vedere, e questo perché manca non solo una strategia comunicativa (che espressione forte!), ma addirittura semplicemente un adeguato apparato informativo.

 

Archeologiamuta, dunque, che è come dire archeologia negata, nascosta, altra dal paese reale, che spesso la dimentica, non la considera, la ritiene troppo onerosa.

 

C’è la necessità di investimenti (pubblici, privati), è vero, ma c’è anche la necessità di trovare il linguaggio giusto, che spieghi e responsabilizzi, che coinvolga e renda partecipi, che racconti e ricostruisca, perché se le storie che tiriamo fuori dalla terra non diventano storia collettiva, se il patrimonio culturale non diventa eredità di tutti, da tutti difeso e da tutti compreso, per l’archeologia italiana e per gli archeologi che giorno dopo giorno studiano, lavorano, portano alla luce preziose tracce del nostro passato, il futuro, ahinoi, è sempre più nero.

 

 

#archeologiamuta #archeologianegata su twitter per ridare la parola al nostro patrimonio archeologico

 

@Pr_archeologo

 

 

 

 

#Nograndinavi: il fragile equilibrio della Serenissima

Oggi vi proponiamo una riflessione off topic rispetto alle tematiche delle quali ci occupiamo di solito qui su professione archeologo.
Ma ci preme affrontare un argomento che solo apparentemente ha poco a che fare con l’archeologia.

 

 

Noi operatori dei bei culturali abbiamo il compito di tutelare, preservare e valorizzare il nostro patrimonio, la nostra “missione” è consegnare ai posteri quello che ci ha lasciato la storia. E la sfida più grande che abbiamo davanti è quella di saper raccontare questa storia, renderla accessibile anche ai non addetti ai lavori, perchè riconoscere le proprie radici è il primo passo verso la costruzione del futuro.

 

 

E’ per questo che vogliamo aprire un dibattito intorno a quello che ad oggi appare come un insulto e uno scempio della bellezza. Stiamo parlando della questione Grandi Navi a Venezia.

 

 

Stiamo parlando della fragilità di una città come Venezia, assediata dalle tante, troppi, navi da crociera che ogni giorno con la loro mole mastodontica sovrastano, come invasivi grattacieli galleggianti, campanili, calli e campi della Serenissima.

 

 

E non si tratta soltanto di un disvalore legato all’estetica della città che ci invidia tutto il mondo, parliamo anche di un problema di tutela del delicato equilibrio sul quale si regge la città lagunare: il modo ondoso di questi grandi scafi rischia infatti di sconvolgere le strutture che reggono le isole della laguna.

 

 

Forse è giunto il momento di affrontare il problema. O aspettiamo che prima o poi siano gli eventi a prendere il sopravvento? Il nostro paese è ancora in grado di “prendersi cura” del proprio patrimonio storico-artistico?

 

Del resto, oltre alle palesi esigenze di tutela riguardanti un ecosistema così delicato e la necessità di non compromettere i monumenti di una città unica, va sottolineato come il passaggio delle grandi navi, non solo non crei turismo di qualità, ma non faccia altro che alimentare, al massimo, una fruizione mordi e fuggi che incide negativamente sia dal punto di vista culturale che economico.

 

La Serenissima, quasi come una novella copia di se stessa, una Las Vegas italiana insomma, la si lascia attraversare e guardare dalle navi senza preoccupazione alcuna per la sua sopravvivenza, mostrandola come si mostra un quadro o peggio un animale impagliato.

 

Ma Venezia è città, organismo vivo e le grandi imbarcazioni invece di salvarla dalla stasi e dall’agonia la violentano e feriscono.

 

Detto questo, sebbene non ci siano drammi e naufragi da raccontare, sebbene non ci siano complicate controverse tecnologie da criticare, bisognerebbe  ogni tanto ricordarsi dell’articolo 9 della Costituzione che recita “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

 

E magari applicarlo.

 

Sicuramente si lederanno gli interessi di qualcuno ma si farà l’interesse di tutti.

 

 

 

 

 

 

 

Tomba di Tarquinia - archeologia archeologi

Sand Creek ovvero Dell’esistenza e Necessità della Figura dell’Archeologo ~ di Paola Romi

Strana professione la nostra, strani i fenomeni che la attraversano, celebrano e tartassano. Siamo fieri e granitici nella nostre certezze. Siamo giusti, siamo scevri da interessi strettamente economici, siamo certi di lavorare per il bene comune.
I fieri ed alteri sacerdoti della Storia.

 

Questo è il prequel ovviamente, o forse la convinzione di qualche fortunato.

 

La verità è un’altra, la raccontano in tanti sul web, ne abbiamo parlato spesso anche noi di PA. È una realtà fatta di grandissimi problemi pratici, economici e legislativi, eppure noi continuiamo a sentirci baciati dalla dea Fortuna perché, alla fine, facciamo un mestiere che ci piace. In fondo siamo comunque dei privilegiati.

 

Usciamo dalla metafora e torniamo al presente.

 

Tarquinia, settembre 2013: la missione dell’università di Torino scopre una tomba etrusca. Intatta. Due giorni fa notizia rimbalza su tutti i media, in Italia e all’estero ed una generazione di archeologi, con una punta di inevitabile invidia, constata che forse vale ancora la pena di fare questo lavoro.

 

Ieri 24 settembre. Esce un articolo del Corriere della Sera in cui, nel non esiguo spazio dedicato alla notizia, protagonista non è l’eccezionale scoperta, né il team che l’ha realizzata, ma lo sponsor, anzi uno degli sponsor, dello scavo: 53 anni, laureato in economia, docente universitario e AD di una florida impresa. Si parla di lui, della sua passione per l’archeologia, del suo passare le ferie, come tutta la famiglia, a scavare. Si descrivono le sue emozioni, si lascia a lui l’onore di entrare per primo nella tomba e sempre a lui l’onere di accennare ad “un’interpretazione” del contesto.

 

“Interpretazione”? No, scusate, ma gli archeologi? L’equipe della missione?

 

Non pervenuti.

 

Solo alla fine, quasi a chiosare con erudita leggerezza, si lascia la parola al professore che ha diretto lo scavo. Per una notazione da antichista, ovvio.

 

Constatato che forse persino Schliemann e Carter impallidirebbero davanti a tale visione dell’archeologia, quello che mi chiedo è come mai questo accade, perché, se una testata nazionale dà quel taglio all’articolo, se un non professionista entra per primo in una tomba inviolata, se la nostra figura professionale sembra non avere nessun valore ontologico, un motivo ci deve essere.

 

E chissà, magari questo è il prezzo da pagare nel non avere un ben definito approccio alle sponsorizzazioni: sì, no, forse, ci piacciono, non ci piacciono. Il risultato di questa relazione incerta, anche quando scientificamente non nefasta come in questo caso, può anche essere questo: lo sponsor che sostituisce il professionista.

 

Non illudiamoci, però. Il liberale professor Benini è il meglio che ci possa capitare. Per il resto rimaniamo, ahimè, trasparenti, considerati sostituibili senza troppi danni da chi lavora a titolo gratuito.

 

Buone vacanze da Professione Archeologo!

Professione Archeologo augura a tutti buone vacanze e vi dà appuntamento a settembre con nuovi post, rubriche e news!

 

In questi mesi vi abbiamo proposto uno sguardo diverso sul mondo dell’archeologia, uno sguardo animato dalle esperienze dei colleghi archeologi, dall’idea di una progettualità di ampio respiro nel nostro settore e anche da una discreta vis polemica come quando hanno voluto farci passare per volontari e non per professionisti di tutto rispetto con alle spalle una formazione decennale.

 

Ci siamo anche divertiti a proporvi le nostre rubriche: da #DiesNatalis che celebra i giganti dell’archeologia, dalle cui spalle oggi vediamo stratigrafie e manufatti, agli Archeo Tutorial, ausilio (speriamo) per gli studenti alle prime armi, passando per Meet The Archaeologist, un modo per conoscere le diverse professionalità del settore, fino alle Archaeoweb Review, un modo per scoprire l’archeologia in rete.

 

E poi abbiamo rivolto lo sguardo a quello che succede fuori dai confini italiani, in Francia e in Gran Bretagna, per cercare un confronto con il resto d’Europa, intercettando idee e stimoli che possano farci uscire dal “pantano” in cui siamo.

 

Abbiamo seguito il dibattito politico, quello che si muove nella stanza dei bottoni, dalla legge Madia-Ghizzoni-Orfini al nuovo Decreto Cultura, senza perdere mai di vista l’obiettivo comune: dare dignità all’archeologia ed a tutti i professionisti che ogni giorno cercano di preservare, tutelare, valorizzare l’immenso patrimonio culturale che ci è stato tramandato nei millenni e che abbiamo l’obbligo di rispettare e conservare per chi verrà dopo di noi.

 

E poichè la cultura è patrimonio condiviso abbiamo dato ampio spazio ad iniziative che si muovono verso l’open access (Open Pompei, Wiki Loves Monuments, solo per citarne alcuni), o che mirano a dare spazio ai giovani talenti di questa nostra disciplina (come la bella avventura del V Convegno Nazionale dei Giovani Archeologi).

 

Lo abbiamo fatto ospitando sul nostro blog contributi di ospiti d’eccezione,  e vogliamo continuare su questa strada nel futuro, aprendo il blog ad interventi esterni, perchè Professione Archeologo vuole essere luogo di incontro, condivisione e dibattito.

 

Appuntamento quindi a settembre! Nel frattempo ci trovate come sempre sui nostri canali social: Twitter, Facebook e Google+.

 

Da tutto lo staff, buone vacanze!

 

PS: vi ricordiamo che fino al 15 agosto è possibile segnalare professionearcheologo.it per i #MIA13

 

 

 

Riposseduta, o delle molteplici anime dei nuovi vertici MIBAC (e non solo) ~ di Paola Romi

Un fantasma si aggira per l’Europa… No, quella era un’altra storia, anche se di questi tempi sarebbe comunque molto pertinente.

 

Torniamo in Italia. Selezioniamo l’area metropolitana di Roma. Infine facciamo uno zoom sulla sede del MIBAC. Stop, ci siamo.

 

Sono passati alcuni mesi dall’inizio della legislatura e, strano a dirsi, i nuovi vertici del Ministero negli ultimi anni tra i più programmaticamente latitanti hanno insperatamente parlato abbastanza e fatto discutere ancor di più.

 

Due personaggi di primo piano in questo spettacolo tutto italiano:

 

Lui, il Ministro Massimo Bray, protagonista legittimo. Lei, Ilaria Borletti Buitoni, Sottosegretario nonché coprotagonista suo malgrado. Entrambi accompagnati, come di consueto, dalle chiose del Coro composto perlopiù dai Professionisti della cultura, ma anche da volenterosi cittadini dediti ad altre attività (N.d.a.  Al secondo personaggio, per ovvi motivi di semplificazione onomastica, d’ora in avanti si farà riferimento con l’appellativo BB).

 

Ma veniamo alla trama: dopo un primo breve momento di incredulità generale (Bray? Chi è costui?) e forse di spaesamento personale, il neoMinistro ingrana la quarta. Inizia con una visita a sorpresa a Pompei e, come il turista medio, rimane vittima dei mezzi pubblici italiani guadagnando così la simpatia di molti. Poi rilancia e presenta un dettagliato documento programmatico sulle future attività del MIBAC. Qualche ombra c’è, come il controverso riferimento a privatizzazioni e volontari, ma il Coro apprezza molto che si sia esposto. L’aspetto caratterizzante delle sue proposte sembra subito essere la promozione della cultura mediante i Social media e, coerentemente con questa proposta, Bray continua a cinguettare dal suo vecchio account Twitter. Non pago dei pareri che chiede in questo modo, apre una pagina su Facebook in cui, oltre a documentare le sue attività, raccoglie anche critiche ed opinioni. Bray insomma sembra aver sposato le cause dell’innovazione, della condivisione e della trasparenza.

 

Negli stessi mesi BB, già in passato fortemente impegnata nel FAI, punta nelle sue dichiarazioni su due temi diversi: concessione della gestione dei BBCC ai privati nonché impiego necessario e massiccio dei volontari. È granitica in questo. Nonostante sin dalla difesa della richiesta di volontari per La Notte dei Musei abbia sollevato, prima sul web e poi sui media tradizionali, una levata di scudi inconsuetamente trasversale, lei, anche in queste settimane, persevera nel “suggerire” l’utilizzo di personale non retribuito. Sulla gestione ai privati la questione è più complessa, il dissenso si fonda soprattutto sui modi e sui tempi, non sulla questione tout-court.

 

Ad onor del vero Bray, del resto, le amate tematiche di BB, nel documento programmatico le aveva inserite.

 

Quale è dunque l’anima vera di questa nuova gestione MIBAC? Quella MediaFriendly, low profile e collaborativa del volenteroso Ministro 2.0 o quella più elitaria e decisionista, che strizza l’occhio ad una gestione privatistica del Patrimonio Culturale, senza tenere conto delle possibili ricadute delle proprie idee su categorie di professionisti già tanto vessati?

 

Negli stessi mesi peraltro, con l’avanzare dell’iter del disegno di legge che introduce finalmente archeologi (e non solo), nel Codice dei Beni Culturali, con l’audizione dei rappresentanti delle Associazioni professionali alla Camera, anche il potere legislativo sembrava adeguarsi alla ventata di rinnovamento che si intuiva dietro le iniziative del Ministro Social.

 

Il Coro si era quindi convinto che il l’idea di un Patrimonio Culturale aperto e produttivo, senza penalizzare i suoi professionisti, nonché una gestione MIBAC 2.0 fossero possibili, addirittura vicini. Ma, immediato, a far di nuovo sorgere il dubbio su quali e quante siano le anime che permeano attualmente chi, a vario titolo, è chiamato a decidere del futuro dei BBCC (e anche del nostro), è giunto l’articolo di Luca Corsato.

 

Dopo il gran lavoro fatto, quando la necessità della condivisione e della pubblicità dei dati sembrava una cosa assodata, un colpo di spugna ha cancellato la questione OpenData dalle proposte di emendamento al Codice dei Beni Culturali.

 

A questo punto noi, come probabilmente il resto del Coro, ci chiediamo, rivolgendoci alla politica oltre che ai vertici MIBAC, non quale sia la vera anima del nuovo Ministero, ma, di tutto quello che è stato detto e fatto negli ultimi mesi, cosa sia facciata e cosa sia sostanza. E non di sostanza dei sogni parliamo, ma di interventi concreti.

 

Risposte?

 

Paola Romi (@opuspaulicium)

 

Immagine: disegno e colori (Davide Arnesano); soggetto (Antonia Falcone)

Porte aperte agli scavi archeologici di Aquinum-Terme pubbliche (27 luglio 2013)

Oggi ospitiamo la presentazione di Open Day Aquinum, giornata di apertura straordinaria del sito che si terrà domani 27 luglio.

Ringraziamo Valentina Petrucci, autrice di questo guest post su Professione Archeologo.

 

Buona lettura e, se vi trovate dalle parti di Aquinum, approfittate dell’Open Day!

 

 

 

L’Università del Salento, nell’ambito del suo progetto Ager Aquinas, il quale vede il suo inizio alla fine degli anni ’90, promuove da alcuni anni una giornata di apertura straordinaria del sito archeologico delle Terme Centrali di Aquinum.
Questo progetto di Open Day annuale, si realizza in vista della conclusione di ogni campagna di scavo, con il sostegno del Comune di Castrocielo e della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio. In questa occasione vengono coinvolte anche realtà quali gruppi archeologici, che hanno partecipato attivamente anche alle attività sul campo, pro-loco, reti televisive locali e regionali.

 

Le campagne di scavo iniziate nel 2009 hanno portato all’individuazione di un complesso termale dalla planimetria piuttosto articolata e vasta: basti pensare che ad oggi, pur non avendo ancora messo in luce tutti i limiti dell’edificio, si può ipotizzare che esso coprisse un’area di oltre 4500 mq.
Ciò che ci si prefigge nei prossimi anni è consolidare e restaurare quanto già emerso, in direzione di una valorizzazione del patrimonio territoriale, archeologico e storico, nonché dell’incentivazione della vocazione turistica dell’area; ciò anche e soprattutto attraverso sinergie con gli enti territoriali e la Soprintendenza, rendendo partecipi altresì i cittadini del comune di Castrocielo e di quelli limitrofi. Un altro progetto che si sta portando avanti è quello del recupero e restauro del casale ubicato all’interno del campo di proprietà del Comune proprio a ridosso dell’area di scavo: ci si propone di renderlo fruibile come antiquarium per l’esposizione dei pezzi più significativi rinvenuti durante le varie campagne, restaurati volta per volta nei laboratori dell’Università del Salento.

 

 

Quest’anno saranno a disposizione anche magliette e borse con il logo ideato dall’équipe, nonché delle brochures esplicative con indicazioni inerenti il sito, lo stato della ricerca e i progetti (speriamo realizzabili) per il futuro.
Dalle 10.00 fino circa le 18.00, l’équipe di archeologi e topografi sono a disposizione dei visitatori, specialisti e non, per illustrare il sito in tutte le sue parti, anche attraverso pannelli esplicativi ed esposizione di alcuni reperti all’interno dei vani resi accessibili per l’occasione. Alle ore 18 il consueto discorso del sindaco dott. Filippo Materiale (Comune di Castrocielo) e del prof. Ceraudo, per la presentazione generale dell’équipe e dei risultati raggiunti fino ad oggi, e per i ringraziamenti di rito. Presenti anche degli sponsor che offriranno un rinfresco per tutti i partecipanti all’evento.

 

 

L’ottica che si persegue è quella di una conservazione che integri aspetti culturali ma anche economici, considerando il patrimonio culturale come risorsa speciale e non rinnovabile, e la sua tutela e valorizzazione come volano di produzione economica di portata non trascurabile, che generi risorse dirette ed indotte di una certa entità.
Verrà illustrata la storia dell’antico centro volsco situato nella media valle del Liri ai piedi del Monte Cairo, centro che divenne municipio romano con il nome di Aquinum, fiorente anche perché situato lungo la via Latina. La città romana fu cinta da mura e attraversata dalla via Latina e batté anche una propria moneta, ancora a sottolineare l’importanza che essa assunse tra i centri urbani del Lazio meridionale, fino a che, a partire dall’Alto Medioevo, si assistette ad una contrazione verso est, ossia verso i tre laghi (prosciugati già in antico) e verso il luogo ove sorge l’Aquino moderna.

 

 

Valentina Petrucci-Archeologa

 

 

http://www.youtube.com/watch?v=c_UxdWJlnvI

La paghetta dell’archeologo (o una storia come tante)

Oggi parliamo di soldi, e partiamo da un assunto imprescindibile: il lavoro va pagato. Sempre. Anche quando è mascherato da “gavetta” necessaria o quando da più parti ci si sente dire che il nostro è più che altro un “hobby”. E quanto guadagna un archeologo oggi? Ecco, ci piacerebbe un confronto con voi.

 

Io posso raccontarvi la mia esperienza da archeologa, iniziata nel 2007 e conclusasi qualche mese fa.
Maggio 2007: laurea e invio curricula.  Settimana successiva, due colloqui. Colloquio 1: cooperativa, 42 euro netti al giorno, primo pagamento dopo 5-6 mesi, poi assicurata regolarità nei tempi di pagamento.  Colloquio 2: Società, 50 euro netti al giorno, primo pagamento dopo 3 mesi, poi garantita regolarità nei tempi di pagamento. Forme contrattuali: non me lo ricordo, ma certamente collaborazione occasionale e simili.
Accetto la seconda offerta.
Lavoro per circa un anno con continuità, tutti i giorni, facendo la nomade per tutte le zone della capitale. Ovviamente niente rimborso spese, ovviamente anche due cantieri in un giorno solo. Ovviamente non puoi rifiutare, sennò “ce ne sono altri che accetterebbero subito”. Prima paga dopo tre mesi, seconda paga due mesi dopo e così via, vivendo di circa 1000 euro pagati ogni due mesi.

 

“Ma tanto è inutile che li chiedi, a noi non pagano le fatture”, e nel frattempo la società prende lavori in tutta Roma. Tanti lavori.

 

Collaborazione occasionale per il primo anno (non chiedetemi altri particolari perché non lo so, prima esperienza lavorativa e conoscenza nulla di diritti e doveri di un datore di lavoro e di un lavoratore. Queste cose non le insegnano all’università) e ogni mese la promessa di un contratto a tempo determinato, “perché vogliamo investire in chi lavora con noi.”

 
Dopo un anno arriva la fatidica richiesta, camuffata da proposta a tuo vantaggio: “Perché non apri la partita iva?”

 

La pillola amara viene mandata giù con lo zuccherino: ci fatturi 1400 euro netti al mese e in cambio, oltre alle 8 ore di cantiere, ti occuperai anche dell’editing delle documentazioni archeologiche in ufficio. Si sta fuori casa dalle 6 del mattino alle 19 di sera. Ok, accetto, ignara del trucchetto.

 

Masochismo, speranza di fare carriera, possibilità di avere un futuro facendo il lavoro per cui ho studiato.  Stupidità.

 
1400 euro al mese. Wow.  1400 euro al mese pagati ogni 2-3 mesi.  1400 euro, praticamente morire di fame. E nel frattempo la società prende lavori, tanti lavori e a noi viene assicurata continuità lavorativa, mai un giorno fermi.

 
2010: nulla di nuovo sotto il sole.  Nessun progresso. Nessuna pubblicazione. Trincee e trincee.

 

Basta.

 

Lascio tutto e decido di specializzarmi, di tornare a studiare.
Cambio di scena: Puglia meridionale.  E per pagarmi gli studi comincia l’invio forsennato di curricula a società e cooperative. Ne risponde solo una. Cooperativa. Colloquio: 50 euro netti al giorno, pagamento a venti giorni. Nella testa solo un’idea: non si transige più a 30 anni suonati, senza garanzia di pagamento con tempi certi non accetto. Garanzia fornita.
E si ricomincia, però… pochi lavori, per lo più a molti chilometri di distanza, nessun rimborso benzina. Primi pagamenti puntuali, poi ricomincia la via crucis. Telefonate per sollecitare, toni gentili, ma tempi di attesa che si allungano.

 

Fino a 2 mesi fa: ci spiace, ma a noi le fatture le pagano a 6-8 mesi, quindi non possiamo dirti con certezza quando ti pagheremo il prossimo lavoro. E poi sai com’è, bisogna farla un po’ di gavetta, tutti abbiamo cominciato così, si mettono i soldi da parte e poi il circolo diventa virtuoso.

 

Eh no.

 

Sono cinque anni che faccio gavetta, da Roma alla Puglia, tra società e cooperative, tra partite iva e collaborazioni occasionali, tempi determinati e chissà quale altra diavoleria – leggi, precariato – e da parte non ho messo un euro.  Smetto.

 

Grazie, ma non faccio la morta di fame con una laurea e una specializzazione. Forse riprenderò, chissà, ma per ora mi piacerebbe poter rispondere ad una domanda: chi ha la responsabilità di questo scempio?  Mi hanno detto tante volte che la colpa è mia, è di tutti noi che accettiamo di lavorare per poco, ma  sarebbe bello andare a fondo per capire cosa c’è sotto il pulpito di chi parla.

 

Io so che dietro chi accetta di lavorare a 40-50 euro c’è l’idea che è bello svegliarsi la mattina per fare il lavoro per cui hai studiato tanti anni, che magari poi le cose cambiano, che appena uscita dall’università non si può mica pretendere chissà che cosa, che magari riuscirai prima o poi a lavorare per le società che pagano bene e non perchè conosci qualcuno, ma solo perché hanno letto il tuo curriculum, che magari se tu fai il brutto muso poi non ti chiamano più.

 

E che se non ti chiamano, poi ti toccherà il call center. Alla stessa cifra, ma con un sogno distrutto dal “Pronto, abbiamo un’offerta telefonica per lei”.

 

Ho deciso di scrivere questo post perché sto seguendo come tutti voi la vicenda Italgas, perché le nostre associazioni di categoria stanno dando un supporto importante a chi ha deciso di denunciare, perché anche i giornali si occupano di noi (link in fondo al post).

 

E perchè è più facile essere in tanti a dire no, che rimanere soli.  Le responsabilità non sono mai dei più deboli.

 

 

@antoniafalcone

 

Articolo di Gian Antonio Stella, sul Corriere della Sera

Nota della Confederazione Italiana Archeologi

Nota dell’Associazione Nazionale Archeologi

 

Festival of Archaeology - archeologia

Festival of Archaeology 2013, centinaia di eventi per appassionarsi e far appassionare all’archeologia

Il mondo dell’archeologia Britannica è spesso all’avanguardia per quanto concerne la promozione della disciplina archeologica fra grandi e “piccoli” appassionati. L’iniziativa che vi presentiamo oggi non fa certo eccezione.
Il “Festival of Archaeology 2013” (13 – 28 luglio 2013), giunto ormai alla sua ventitreesima edizione, si è conquistato negli anni del titolo di più grande e seguito festival dedicato all’archeologia del mondo: più di 200 mila persone l’anno prendono parte alle iniziative organizzate da più di 400 enti, fra i quali l’English Heritage, il Museum of London Archaeology, il British Museum ed il Manchester Museum, e solo per citarne alcuni.
Lo spirito dell’iniziativa è quello di avvicinare il più possibile al mondo dell’archeologia non solo chi di norma è interessato a questa disciplina, ma anche chi è del tutto estraneo a questo ambiente.

 

Il fatto che sia lo stesso archeologo a spiegare il proprio mestiere, poi, rende più facile e coinvolgente l’avvicinamento, senza andare a discapito della correttezza scientifica. Le attività sono tra le più varie e permettono a tutti, sia ai più giovani che, perché no, anche agli adulti, di cimentarsi in tutto ciò che abbiano voglia di sperimentare. Non è mai troppo tardi per appassionarsi all’archeologia sembra essere il tema, ed i quasi mille eventi sponsorizzati dal festival ne sono la testimonianza.

 

Ed i canali di informazione sono molteplici. Pur essendo un festival di vecchia data, infatti, non si può proprio dire che non si tenga al passo dei tempi: sul sito del festival si può risalire sia alla pagina Facebook, al profilo Twitter e persino al Pinterest ufficiale dell’evento, aggiornati tutti in tempo reale con news, eventi e foto dalle numerose manifestazioni in atto. Personalmente apprezzo molto quest’attenzione all’interattività con l’utente: mi piace poter avere un assaggio di quello che succede, che io possa parteciparvi o meno. E leggere il feedback di coloro che hanno già partecipato agli eventi è un buon modo per aiutarmi a valutare se l’attività potrebbe essere di mio gradimento.
Non solo. Tramite un comodo motore di ricerca è possibile cercare l’evento che più ci interessa, selezionando sia la regione che il tipo di attività alla quale vogliamo partecipare. Si va dai tour guidati, alle visite di veri e propri scavi, dalle attività dedicate ai più piccoli, a seminari e dibattiti su argomenti archeologici specifici. E per i più temerari c’è persino la “Knit Archaeology Competition”, ossia una gare per la realizzazione del miglior lavoro a maglia a tema archeologico. Ecco qualcosa al quale io di certo non potrò partecipare 🙂
C’è l’imbarazzo della scelta: solo nell’area dove io mi trovo in questo momento (East Midlands) ho contato ben 105 eventi, e la sponsorizzazione del Council of British Archaeology, ente di beneficienza privato che si occupa della tutela dell’incredibile patrimonio archeologico britannico e ne promuove la salvaguardia per le future generazioni, attesta la qualità dell’iniziativa.

 

Se non fossi inchiodata a casa (causa tesi in consegna a breve), farei sicuramente un salto. E perché no, magari un giorno avrò anch’ io l’occasione di organizzare qualcosa!

 

*

 

Camilla Bertini (@Cami82)