#PilloleMetodologiche: la stratificazione archeologica
Oggi parliamo di strati, non quelli delle lasagne (che state preparando a casa in questi giorni di quarantena), ma quelli spiegati da E. C. Harris, nel suo volume del 1979 “Principi di Stratigrafia Archeologica” (pp. 80-84)
► Tutte le forme di stratificazione archeologica sono il risultato di cicli di erosione e di deposito, e quindi possiamo definire questo processo duplice: la creazione di uno strato equivale alla creazione di una nuova interfaccia e in molti casi di più di una.
Esempio → le foglie cadute da un albero nel formare un nuovo deposito, costituiscono anche una nuova superficie o interfaccia.
► La stratificazione archeologica è dunque composta da depositi e interfacce: tutti i depositi hanno superfici di strato, ma molte superfici in sé, come le fosse, non prevedono alcun deposito.
► Questi depositi e interfacce archeologiche, una volta creati, possono essere alterati o distrutti nella prosecuzione del processo di stratificazione: pertanto il processo di stratificazione archeologica è IRREVERSIBILE. Quando un’unità stratigrafica si è formata, è soggetta, da allora in poi, SOLO ad alterazione e deperimento, per questo motivo qualunque stratificazione archeologica ribaltata darà SEMPRE come risultato la formazione di una nuova stratificazione.
► Sono 3 i fattori principali che determinano l’accumulo involontario di resti culturali mediante il processo di stratificazione archeologica:
■ le superfici di terreno già esistenti
■ le forze della natura
■ le attività umane
La storia dell’umanità è in larga misura storia di costituzione di nuovi bacini di deposito o, per così dire, di limiti di proprietà stratigrafici.
Antonia Falcone