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The incredible tide

Se non vi è rimasto un briciolo di incoscienza, di audacia, di idealismo nonché di ottimismo non leggete questo post.
Passate oltre.

 

Nelle ultime settimane è successa una cosa bellissima. E come quasi tutti gli accadimenti più sorprendenti è nata da un piccolo pretesto, post di poche righe sul profilo del MIBAC. Così è iniziata la protesta di #no18maggio, da un fitto scambio di articoli sui blog di professionisti che non si sono mai visti in faccia, ma la faccia ce l’hanno messa, e dalla cagnara di tanti cinguettii è emerso #generazionepro.

 

Con tanta incoscienza, un po’ di fretta e qualche perplessità è stata lanciata l’iniziativo di #nottedeiprofessionisti.

 

L’invito alla partecipazione è stato diffuso su Facebook e Twitter e così sabato ci siamo ritrovati a Roma, non al Colosseo, non al Pantheon, ma a Castel S. Angelo ,forse anche più consono, come luogo simbolico, ad una protesta che apparteneva a tutti i professionisti dei BBCC e non solo agli archeologi.

 

Superando le consuete problematiche di traffico e parcheggio, muniti di cartelli coloratissimi e pieni di hashtag, siamo arrivati, sotto il sole che sembrava essere scomparso dal maggio romano, nel triangolo compreso tra il poderoso mausoleo, il Tevere e via della Conciliazione: lì, in mezzo a tanti simboli della nostra storia, della società e della cultura italiana abbiamo portato fuori dalla rete la protesta, ribadendo, a caratteri cubitali “#VolontariAChi ?”

 

Chi è abituato a contare centinaia di migliaia di persone in piazza ci avrà guardato con tenerezza.

 

Il successo della protesta è stato in rete, nella rapida comunicazione e nel passaparola. Anche i media tradizionali sono stati costretti ad accorgersi di noi. Alcuni hanno detto che il pretesto per rivendicare un nuovo modo di gestire, valorizzare e narrare i nostri Beni Culturali era sbagliato. E’ così? In questo mi ritengo piuttosto machiavellica: se la protesta è giusta, il casus belli non è troppo importante.

 

Ma tutto ciò è stato già detto, e meglio. Mi sembra invece che nei prodromi di questa iniziativa si siano accumulate tante idee, anzi, tanta voglia di proporre un radicale cambiamento nell’archeologia italiana. Sui social network i cinguettii e i post di autentica e sincera buona volontà, ma anche gli interventi di maggiore impegno si sono accumulati, come tante gocce.
Da qui l’idea di una prossima ventura alta marea.  Ricordate Conan, il ragazzo del futuro? Nato da un libello di scarsa qualità e spessore è diventato un cartoon pieno di ottimismo, speranza e voglia di ricostruire, senza pregiudizi, il proprio mondo.

 

Così mi auguro sarà l’esperienza che nascerà dai recenti accadimenti. Questo vorrei che fosse il nostro tentativo di costruire un’archeologia… “post-moderna”? Non mi sembra molto felice come etichetta, e so che i miei colleghi ne troveranno di certo una più adatta. L’importante, però, è che fondamentale sia il radicamento della nostra professione nella società. E’ necessario che i nostri concittadini riconoscano le nostre esigenze perché noi riconosciamo le loro.  E’ fondamentale che ritroviamo la capacità ed il gusto di coinvolgere e raccontare.

 

Dai #generazionepro, il mondo (dell’archeologia, ma non solo) deve ripartire. Ripartirà?

 

L’autrice di questo post, Paola Romi è su Twitter: @OpusPaulicium

 

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RASSEGNA STAMPA

Comunicato di sostegno dell’On. Ileana Piazzoni

Foto tratta da SkyTg24 (se qualcuno riesce a recuperare il video del servizio ce lo comunichi, grazie!)

Grr.rai.it

Roma Oggi Notizie

Nuovo Paese Sera

Roma Today

– E spazio anche a chi la pensa diversamente, da Vita.it

E presto in arrivo anche uno Storify con la storia di Notte dei Professionisti.

 

Maggiori info e notizie le trovate sull’evento Facebook del fashmob. Inoltre, come promesso, abbiamo caricato tutte le foto di chi ha aderito all’iniziativa, di persona o tramite la rete, in un album Flickr. Non è tardi per partecipare alla protesta, siete ancora in tempo per metterci la faccia e caricare la vostra foto. Continueremo a raccoglierle, come continueremo a seguire il dibattito che tutto questo ha suscitato e, speriamo, susciterà.

OpenPompei: archeologia, trasparenza e legalità

Il preambolo

 

Con il crollo della Schola Armaturarum il 6 novembre del 2010 Pompei divenne l’emblema di un Paese allo sfascio e di una regione, la Campania, strangolata dalla Camorra.

Lo stato d’emergenza in cui versava e tuttora versa il sito archeologico, lo shock al seguito dei continui crolli e tutte le polemiche che ad essi si sono susseguite, hanno favorito la genesi del Grande Progetto Pompei, frutto della collaborazione tra Governo Italiano e Commissione Europea, presentato il 5 aprile 2012 e da subito operativo.

 

 

Il Progetto, finalizzato alla riqualificazione del sito archeologico di Pompei entro il 31 dicembre 2015, prevede una serie di interventi di restauro e potenziamento dei servizi, sotto la garanzia di un Protocollo di legalità.

 

 

Un momento importante del progetto è quello legato ai temi della trasparenza e della partecipazione, per garantire ai cittadini il controllo degli interventi e il rapido loro conseguimento:

– informare costantemente i cittadini sulla ratio della policy, sui processi amministrativi, sulla filiera delle imprese appaltatrici, sullo stato di avanzamento degli interventi e sui flussi finanziari relativi.

– recepire le segnalazioni e le proposte dei cittadini che vogliano dare così il loro contributo per lo sviluppo dell’area.

 

 

Open Pompei

 

È per concretizzare questi principi che nasce OpenPompei, progetto ideato da Studiare Sviluppo (società in-house del Ministero dell’Economia) e che vede Alberto Cottica come direttore operativo.

 

 

I suoi obiettivi principali sono chiari:

1. Promuovere la cultura della trasparenza delle amministrazioni pubbliche
2. Conoscere e capire il territorio campano
3. Valorizzare i nuovi protagonisti dello sviluppo in Campania

 

 

Open Pompei vuole essere un hackerspace, luogo in cui discutere ed elaborare strategie audaci e innovative, coinvolgendo, ad un tempo, Stato Italiano e innovatori sociali, attivisti, hackers, startuppers.

La sinergia degli attori digitali e dei cittadini deve servire a facilitare il monitoraggio dei dati, favorire il dibattito e suggerire miglioramenti, in un’ottica di partecipazione collettiva.

 

 

Imprescindibile diventa quindi l’uso degli Open Data, attraverso i quali rendere pubblici i dati su politiche amministrative, gare, appalti, servizi, forniture, flussi di denaro e stato dei lavori, cominciando da quelli della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei e del Grande Progetto Pompei.

 

 

Quale futuro

 

“Il sogno dietro OpenPompei è di costruire un’alleanza tra civic hackers, impresa sana e Stato, per tenere alta l’attenzione sulla spesa pubblica e combattere la corruzione… Visto che si fa spesa pubblica sulla cultura in Campania e la si protegge contro infiltrazioni criminali, vale la pena di fare un passo in più, e pubblicare i dati di spesa del Grande Progetto Pompei in formato aperto” (link al blog di Alberto Cottica)

 

Qui è disponibile un’intervista ad Alberto Cotttica sul progetto OpenPompei

 

 

Who’s who : Alberto Cottica è un economista esperto di politiche pubbliche collaborative e partecipazione online. Si impegna per rendere l’azione di governo più aperta e intelligente, utilizzando Internet per attingere all’intelligenza collettiva dei cittadini. Appassionato di matematica delle reti per imparare a progettare dinamiche sociali emergenti. È stato (anche) musicista rock, membro fondatore dei Modena City Rambles e dei Fiamma Fumana.

Crowdfunding. Il futuro dell’archeologia?

Il crowdfunding è una tipologia di finanziamento tramite donazioni da parte di persone che decidono di investire piccole somme di denaro per sostenere un’organizzazione o un progetto. Grazie alle possibilità di incontro offerte dal web, in particolare dai social media, e grazie all’esistenza di specifiche piattaforme ad esso dedicate, il crowdfunding è stato negli ultimi anni alla base di numerose iniziative, dalla campagna elettorale di Obama, alla realizazzione di film indipendenti o album musicali, al finanziamento di progetti di carattere culturale o umanitario.

 

Concetti essenziali del crowdfunding sono quelli di microfinanza e di comunità, veicolate dal web, la cui viralità permette di raggiungere pubblici e quindi donatori prima inaccessibili.

 

Cosa c’entra l’archeologia?  C’entra perchè nel Regno Unito hanno deciso di applicare il crowdfunding alla ricerca archeologica.

 

DigVentures, nata nel 2012, ha proprio lo scopo di costruire “una comunità che ha l’archeologia come cuore, e la partecipazione pubblica nel DNA”.

 

L’associazione, composta da archeologi con diversi curricula e specializzazioni, con anni di esperienza nel campo della divulgazione, si pone come obiettivo quello di avvicinare il grande pubblico alla pratica archeologica, coinvolgendo gli appassionati  in diverse fasi della ricerca, con un occhio alla sostenibilità sia ambientale che finanziaria dei progetti, avendo in mente la successiva fruizione turistica dei siti indagati.

 

La community dei “venturers” viene poi tenuta sempre aggiornata per mezzo di video, foto, articoli e degli immancabili social network, e può prendere parte, dietro acquisto di un determinato pacchetto, allo scavo, provando in prima persona cosa significa essere un archeologo sul campo.

 

Ed è questa una delle particolarità di quest’idea: le donazioni sono definite in “pacchetti”, che vanno da un minimo di 10 sterline, per le donazioni di base, e salgono via via, fino ad un massimo di 875 sterline per la partecipazione all’intera feel school (della durata di due settimane), e con un pacchetto “speciale” di 2,000 sterline.

 

In questo modo DigVentures ha raccolto lo scorso anno oltre 30.000 euro, mentre quest’anno l’obbiettivo è lo scavo dell’abbazia medievale di Leiston, per cui è in corso la raccolta dei quasi 20.000 euro necessari.

 

Visto il successo di queste prime campagne di crowdfunding, DigVentures mette a disposizione la propria piattaforma per tutti coloro che abbiano bisogno di raccogliere fondi per finanziare i propri progetti di ricerca archeologica.

 

Al di là del successo di questa tipologia di finanziamento, la cosa che ci sembra più interessante è che il team di DigVetures è formato da archeologi imprenditori e manager di sè stessi, che si occupano di tutti i passaggi della ricerca, facendo del coinvolgimento del pubblico degli appassionati non solo la propria fonte di finanziamento, ma anche la comunità verso la quale e per la quale il loro lavoro viene svolto.

 

Ecco le parole di Lisa Westcott Wilkins, manager dell’associazione:

 

“Crediamo che offrire un servizio di nicchia sia assolutamente la strada giusta: dopo tutto noi capiamo il prodotto, abbiamo anni di esperienza nel campo noi stessi, oltre alla necessaria expertise strategica per aiutare altri progetti a realizzarsi e a vendere meglio loro stessi, con un’occhio alla sostenibilità. Abbiamo scoperto attraverso il nostro lavoro che crowdfunding e crowdsourcing sono potenti mezzi di coinvolgimento e costruzione di comunità, il che per quel che facciamo è importante tanto quanto il finanziamento in sé.”

 

Per saperne di più:

DigVentures: crowdfunding, come funziona

Saints & Secrets: the Lost History of Leiston Abbey (il progetto di finanziamento e scavo)

Crowdfunding the past: is this the future of archaeology? articolo su DigVentures in Past Horizon, con l’intervista citata a Lisa Wescott Wilkins.

Il crowdfunding in Italia, un blog

I musei nell’era di Facebook e Twitter (da Museums Newspaper)

Oggi vi segnaliamo un interessante articolo di Caterina Pisu sul rapporto tra musei e social network.
Partendo da un pezzo pubblicato sul The Guardian, l’autrice fa il punto sulla situazione, ponendosi una domanda fondamentale: “I musei moderni sono necessariamente obbligati a confrontarsi e ad adattarsi alla circolazione sempre più intensa di informazioni e di immagini attraverso il web?”

 
Le tecnologie legate alle web communication possono certamente contribuire ad ampliare il pubblico dei fruitori dei musei e oggi diventa quanto mai urgente cercare nuove forme di marketing culturale che trasmettano un’idea diversa e più moderna di fruizione museale.

 
La rivoluzione del social media marketing può presentare però anche aspetti insidiosi, riconoscibili soprattutto nel rischio di autoreferenzialità o in quello di restare vittime di strategie persuasive svuotate di contenuti.
La risposta va quindi cercata nel tentativo di sostenere la qualità dell’informazione di pari passo con la libera partecipazione della collettività.

 
Ci piace sottolineare la riflessione finale dell’articolo, dedicata all’utilizzo degli Open Data come superamento dei limiti imposti dalla proprietà intellettuale alla libera circolazione delle immagini.

 

 

Rimandiamo qui all’articolo integrale

L’autrice Caterina Pisu è attualmente Community Manager dell’Associazione Nazionale Piccoli Musei. L’Associazione ha collaborato al progetto #invasionidigitali