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La paghetta dell’archeologo (o una storia come tante)

Oggi parliamo di soldi, e partiamo da un assunto imprescindibile: il lavoro va pagato. Sempre. Anche quando è mascherato da “gavetta” necessaria o quando da più parti ci si sente dire che il nostro è più che altro un “hobby”. E quanto guadagna un archeologo oggi? Ecco, ci piacerebbe un confronto con voi.

 

Io posso raccontarvi la mia esperienza da archeologa, iniziata nel 2007 e conclusasi qualche mese fa.
Maggio 2007: laurea e invio curricula.  Settimana successiva, due colloqui. Colloquio 1: cooperativa, 42 euro netti al giorno, primo pagamento dopo 5-6 mesi, poi assicurata regolarità nei tempi di pagamento.  Colloquio 2: Società, 50 euro netti al giorno, primo pagamento dopo 3 mesi, poi garantita regolarità nei tempi di pagamento. Forme contrattuali: non me lo ricordo, ma certamente collaborazione occasionale e simili.
Accetto la seconda offerta.
Lavoro per circa un anno con continuità, tutti i giorni, facendo la nomade per tutte le zone della capitale. Ovviamente niente rimborso spese, ovviamente anche due cantieri in un giorno solo. Ovviamente non puoi rifiutare, sennò “ce ne sono altri che accetterebbero subito”. Prima paga dopo tre mesi, seconda paga due mesi dopo e così via, vivendo di circa 1000 euro pagati ogni due mesi.

 

“Ma tanto è inutile che li chiedi, a noi non pagano le fatture”, e nel frattempo la società prende lavori in tutta Roma. Tanti lavori.

 

Collaborazione occasionale per il primo anno (non chiedetemi altri particolari perché non lo so, prima esperienza lavorativa e conoscenza nulla di diritti e doveri di un datore di lavoro e di un lavoratore. Queste cose non le insegnano all’università) e ogni mese la promessa di un contratto a tempo determinato, “perché vogliamo investire in chi lavora con noi.”

 
Dopo un anno arriva la fatidica richiesta, camuffata da proposta a tuo vantaggio: “Perché non apri la partita iva?”

 

La pillola amara viene mandata giù con lo zuccherino: ci fatturi 1400 euro netti al mese e in cambio, oltre alle 8 ore di cantiere, ti occuperai anche dell’editing delle documentazioni archeologiche in ufficio. Si sta fuori casa dalle 6 del mattino alle 19 di sera. Ok, accetto, ignara del trucchetto.

 

Masochismo, speranza di fare carriera, possibilità di avere un futuro facendo il lavoro per cui ho studiato.  Stupidità.

 
1400 euro al mese. Wow.  1400 euro al mese pagati ogni 2-3 mesi.  1400 euro, praticamente morire di fame. E nel frattempo la società prende lavori, tanti lavori e a noi viene assicurata continuità lavorativa, mai un giorno fermi.

 
2010: nulla di nuovo sotto il sole.  Nessun progresso. Nessuna pubblicazione. Trincee e trincee.

 

Basta.

 

Lascio tutto e decido di specializzarmi, di tornare a studiare.
Cambio di scena: Puglia meridionale.  E per pagarmi gli studi comincia l’invio forsennato di curricula a società e cooperative. Ne risponde solo una. Cooperativa. Colloquio: 50 euro netti al giorno, pagamento a venti giorni. Nella testa solo un’idea: non si transige più a 30 anni suonati, senza garanzia di pagamento con tempi certi non accetto. Garanzia fornita.
E si ricomincia, però… pochi lavori, per lo più a molti chilometri di distanza, nessun rimborso benzina. Primi pagamenti puntuali, poi ricomincia la via crucis. Telefonate per sollecitare, toni gentili, ma tempi di attesa che si allungano.

 

Fino a 2 mesi fa: ci spiace, ma a noi le fatture le pagano a 6-8 mesi, quindi non possiamo dirti con certezza quando ti pagheremo il prossimo lavoro. E poi sai com’è, bisogna farla un po’ di gavetta, tutti abbiamo cominciato così, si mettono i soldi da parte e poi il circolo diventa virtuoso.

 

Eh no.

 

Sono cinque anni che faccio gavetta, da Roma alla Puglia, tra società e cooperative, tra partite iva e collaborazioni occasionali, tempi determinati e chissà quale altra diavoleria – leggi, precariato – e da parte non ho messo un euro.  Smetto.

 

Grazie, ma non faccio la morta di fame con una laurea e una specializzazione. Forse riprenderò, chissà, ma per ora mi piacerebbe poter rispondere ad una domanda: chi ha la responsabilità di questo scempio?  Mi hanno detto tante volte che la colpa è mia, è di tutti noi che accettiamo di lavorare per poco, ma  sarebbe bello andare a fondo per capire cosa c’è sotto il pulpito di chi parla.

 

Io so che dietro chi accetta di lavorare a 40-50 euro c’è l’idea che è bello svegliarsi la mattina per fare il lavoro per cui hai studiato tanti anni, che magari poi le cose cambiano, che appena uscita dall’università non si può mica pretendere chissà che cosa, che magari riuscirai prima o poi a lavorare per le società che pagano bene e non perchè conosci qualcuno, ma solo perché hanno letto il tuo curriculum, che magari se tu fai il brutto muso poi non ti chiamano più.

 

E che se non ti chiamano, poi ti toccherà il call center. Alla stessa cifra, ma con un sogno distrutto dal “Pronto, abbiamo un’offerta telefonica per lei”.

 

Ho deciso di scrivere questo post perché sto seguendo come tutti voi la vicenda Italgas, perché le nostre associazioni di categoria stanno dando un supporto importante a chi ha deciso di denunciare, perché anche i giornali si occupano di noi (link in fondo al post).

 

E perchè è più facile essere in tanti a dire no, che rimanere soli.  Le responsabilità non sono mai dei più deboli.

 

 

@antoniafalcone

 

Articolo di Gian Antonio Stella, sul Corriere della Sera

Nota della Confederazione Italiana Archeologi

Nota dell’Associazione Nazionale Archeologi