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Perché Alberto Angela piace. A differenza vostra

Questo è un post volutamente provocatorio e di parte.

 

Provocatorio perché tenta di rispondere in modo caustico alle polemiche che inevitabilmente accompagnano la messa in onda di una trasmissione di successo a firma Alberto Angela.

 

Di parte perché nel 2016 ho fondato il più grande gruppo Facebook dedicato ai fan di Mister Divulgazione, che ad oggi conta 23.300 iscritti.

 

Iniziamo con il politically correct, che va tanto di moda negli ultimi tempi, e quindi diciamo che chiaramente ognuno può avere le proprie idee e punti di vista sulle cose. Dunque ognuno pensasse ciò che vuole di Alberto Angela, io non vengo pagata da lui e le mie esternazioni sono frutto di libero pensiero.

 

Quello che mi interessa approfondire in questa sede sono due aspetti: come mai a molti addetti ai lavori sta stretta la divulgazione Made In Angela e qual è l’alternativa a questo modello.

 

Sabato 22 settembre su Rai Uno è andato in onda lo speciale Stanotte a Pompei, una serie inaugurata nel 2015 con Stanotte al Museo Egizio e proseguita con Stanotte a Firenze, Stanotte a San Pietro e Stanotte a Venezia.

 

Il format è quanto mai innovativo: scoprire città e luoghi della cultura in orario notturno, quando non ci sono frotte di visitatori e le luci creano effetti suggestivi.

 

Forse la motivazione principale alla base di questa scelta è mostrare a tutti come un sito archeologico o una città si presentano al calare della luce del giorno e nel silenzio, opportunità concessa praticamente a nessuno di noi, se non, appunto, davanti allo schermo di una televisione. Così con Alberto Angela abbiamo visto Piazza San Marco vuota, le Cappelle Medicee di notte e così via.

 

Per il divulgatore e il suo team questo significa trascorrere intere nottate di veglia con temperature spesso proibitive (come ha detto lo stesso Alberto Angela nel suo ultimo post): poco male, è il loro lavoro e ci sono mestieri decisamente  più faticosi.

 

Carissimi, sono felicissimo per il risultato di ieri di "Stanotte a Pompei": 24.3% con oltre 4,2 milioni di spettatori….

Publiée par Alberto Angela – Pagina Fan Ufficiale sur Dimanche 23 septembre 2018

 

Però succede una cosa: ogni volta che la televisione trasmette uno speciale di Stanotte A.., l’auditel si impenna e lo share schizza, i social impazziscono e i giornali dedicano pagine e pagine all’incredibile exploit di Angela junior.

 

Siamo davvero sicuri che questi risultati siano “incredibili”, intesi come inaspettati? A dare retta ai palinsesti televisivi sembrerebbe che l’italiano medio non possa vivere senza reality, partite o serie tv mediocri.

 

Poi arriva Alberto Angela e capovolge i pronostici. Usa parole come termopolio, archeologi, corrente piroclastica e si porta a casa la prima serata. Di sabato. Contro Laura Pausini.

 

È a questo punto che si scatena il dramma, proprio quando una grossa fetta di italiani si appassiona a tematiche culturali.

 

Gli addetti ai lavori, invece di stappare champagne e plaudire al fatto che in TV quattro o cinque milioni di persone si entusiasmano per le vicende storiche di Pompei o di Leonardo da Vinci, iniziano con la sequela delle lamentationes, o meglio, delle precisazioni (che fa più figo).

 

Nell’ordine le elenchiamo:

 

  • Alberto Angela ha stufato, solo di lui si parla ormai
  • Alberto Angela non approfondisce niente
  • Alberto Angela usa un linguaggio ammiccante
  • Alberto Angela svilisce il nostro patrimonio
  • Alberto Angela fa l’occhiolino al grande pubblico
  • Alberto Angela ha fan troppo esagitati
  • Alberto Angela non è un archeologo, uno storico dell’arte o un esperto di codici miniati
  • Albero Angela fa degli errori

 

Il senso è più o meno questo: Alberto Angela fa grossi numeri perché utilizza un linguaggio semplice, senza approfondire a dovere le problematiche  scientifiche, spattacolarizzando il patrimonio culturale e mostrandosi eccessivamente entusiasta.

 

La mia faccia in genere è questa.

 

 

Seguita dall’esclamazione, spesso fatta a voce alta:

 

Ma cribbio, non siamo in un’aula universitaria.

Siamo in TELEVISIONE.

 

Se voglio conoscere tutta la storia degli studi su Pompei non lo imparerò certo guardando un programma televisivo, ma magari studiando in biblioteca.

 

E mi chiedo quindi come mai, per noi del settore, sia sempre più facile demonizzare le uniche trasmissioni culturali in onda in prima serata, piuttosto che imparare a distinguere i piani (televisione ≠ convegno). Mi domando anche perché non riusciamo a capire che ciò che allontana il pubblico dalle nostre “quattro pietre” sia proprio il nostro metterci instancabilmente su un piedistallo.

 

Forse è masochismo, chissà.

 

L’idea che milioni di persone possano appassionarsi a Pompei senza necessariamente conoscere tutte le US venute alla luce durante gli ultimi scavi o tutte le problematiche scientifiche intorno alla suddivisione degli stili pittorici, evidentemente fa ribrezzo.

 

Se vendi migliaia di libri, se tieni incollati gli spettatori davanti a Christian Greco che legge i geroglifici, se insomma porti un po’ di cultura alle masse allora non sei degno di essere chiamato divulgatore. Per accreditarti nel “cerchio magico” dei veri archeologi devi essere noioso il giusto, sciorinare bibliografia che nessuno leggerà mai, parlare in archeologhese quel tanto da non farti capire.

 

Il fatto invece che Alberto Angela sia diventato un fenomeno popolare, che ai suoi firmacopie ci siano file infinite, che i giovani facciano a gara per assistere alle sue conferenze dovrebbe interrogarci su quanto riusciamo noi addetti ai lavori ad appassionare il pubblico. E la risposta è ZERO.

 

Perché non basta fare critiche a mezzo social, sui blog o sui giornali, poi devi essere in grado di trasformare le tue obiezioni in costruzioni.

 

Portatemi i numeri di un canale Youtube dedicato alla DIVULGAZIONE come la intendete voi, portate la gente nei musei, siate riconoscibili per la fascia d’età che senza Alberto Angela non saprebbe neanche dov’è Pompei e poi ne riparliamo.

 

Mi tornano alla mente quelli che anni fa non sapevano far altro che criticare chi raccontava l’archeologia sui social e oggi fanno a gara per accreditarsi come esperti di comunicazione digitale.

 

L’archeologia una cosa mi ha insegnato: di chiacchiere se ne possono fare sempre tante, spesso troppe e in molti casi sono anche utili davanti a una birra. Ma senza i fatti a corroborare le ipotesi, rimangono solo farneticazioni.

 

E a forza di guardare con snobismo ai milioni di spettatori che “si accontentano” di ammirare Pompei per una sera in tv, facendosi ammaliare da un eloquio pieno di “meraviglioso, straordinario, incredibile”, rimarremo da soli sul piedistallo: di fronte a noi ci sarà solo il vuoto di chi guarderà da un’altra parte invece di chiederci come mai noi archeologi studiamo anche i frammenti di anfore.

 

Forse sotto sotto preferite Giacobbo. Chè a un  certo punto il dubbio ti viene.

 

Antonia Falcone

(@antoniafalcone)