Diario da #archeofest15: cosa abbiamo fatto ad Aquileia, giorno per giorno

È arrivato il momento di raccontarvi cosa abbiamo fatto ad Aquileia in occasione dell’Archeofest, l’evento dedicato ad archeologia, libri e cinema di cui Professione Archeologo e Civetta di Atena sono stati social media partner esterni.

 

Il nostro ruolo è stato di raccontare on line quello che accadeva, con un duplice scopo: da un lato coinvolgere la nostra community e dare quanta più risonanza possibile all’evento sui social network, dall’altra sperimentare la divulgazione dell’archeologia in 140 caratteri o giù di lì.

 

La prima cosa che abbiamo fatto, quindi, è stata tenere in carica gli smartphone: power bank, batterie di riserva, prese assaltate in ogni dove tra bar e ristoranti, non ci siamo fermate davanti a niente.

 

La seconda è stata twittare live tutti gli eventi della festa, dei luoghi meravigliosi che abbiamo visto, caricare le foto su Instragram e Facebook: visite a musei e siti archeologici, talk con gli autori, presentazioni di libri e proiezioni dei documentari, ce n’è stato davvero per tutti i gusti.

 

Infine, abbiamo monitorato il flusso di tweet, condivisioni e hashtag per intercettare chi, da vicino o da lontano, interagiva con noi, scoprendo in qualche caso che chi twittava o instagrammava ce l’avevamo di fianco durante la visita in museo. Il bello della diretta!

 

Abbiamo raccolto un po’ di foto e impressioni delle giornate di Aquileia in un ‘diario di bordo’ che vi proponiamo qui di seguito, eh sì, quello nell’ultima foto è proprio Alberto Angela 😉

 

*

 

Day 1

Partenza da Roma Tiburtina alle 7, con Antonia che arriva sulla banchina alle 6:59, te pareva. Comunque ce la facciamo e alle 13 siamo ad Aquileia.

 

La prima visita è alla Basilica dei patriarchi con una guida d’eccezione: Cristiano Tiussi, direttore della Fondazione Aquileia.

Aquileia, Basilica di IV secolo Archeofest

Aquileia, Basilica di IV secolo Archeofest

La Basilica ci accoglie con i suoi magnifici mosaici pavimentali, databili al IV secolo d.C., i più estesi di tutto il mondo cristiano occidentale: Giona nel ventre della balena, tanti tantissimi pesci, i medaglioni con i mecenati, le quattro stagioni. Un tripudio di tessere colorate e di soggetti variegati.

Aquileia, Basilica di IV secolo Archeofest

Aquileia, Basilica di IV secolo Archeofest

Aquileia, Basilica di IV secolo Archeofest

Ci spostiamo quindi nel Battistero con al centro la vasca battesimale di forma esagonale. Suggestiva l’illuminazione della struttura.

Aquileia battistero - Archeofest

Aquileia battistero - Archeofest

Ultime tappe della giornata: il Porto Fluviale e il Foro Romano.


Delle strutture portuali restano le tracce delle banchine e degli attracchi e così immaginiamo il brulicare di vita che doveva esserci all’arrivo delle navi commerciali con le banchine affollate e le merci che sbarcavano. Il viale che affianca le strutture del porto è punteggiato da decorazioni architettoniche su colonne, da rilievi e iscrizioni.

 

Nell’area del Foro invece rimangono le vestigia del colonnato sui cui plinti si alternano le protomi di Giove Ammon e Medusa.

 

Al termine delle visite, arriva il momento dei talk, il primo è un dialogo tra Lorenzo Salvia, Marina Valsenise, Paolo Verri che presentano il libro Resort Italia. Come diventare il villaggio turistico del mondo e uscire dalla crisi. L’incontro si trasforma in un’occasione per parlare di economia della cultura e delle nuove possibilità da creare e sfruttare per valorizzare il nostro patrimonio culturale. Dall’Istituto Italiano di Cultura di Parigi a Matera capitale europea della cultura 2019: le best practices che funzionano.

 

Il post cena coincide con l’inizio del festival vero e proprio, dedicato alla visione dei film in concorso per l’Aquileia Film Festival: Pavlopetri. Un tuffo nel passato e I dominatori delle gelide steppe. A seguire l’incontro-intervista di Pietro Pruneti con Simona Rafanelli e Stefano Cantini.

 

A fine serata sopraggiunge la pioggia (e noi, per la verità, abbiamo un po’ pensato agli amici romani costretti a boccheggiare nell’afa della capitale!), ma la giornata è ormai conclusa. Ritiro in albergo, controllo delle mille notifiche social e poi a nanna, mentre lo smartphone sta in carica tutta la notte.

 

 

Day 2

 

Alle 8.15 il social media team di Professione Archeologo si divide, Paola segue il gruppo in visita a Cividale e Zuglio, Antonia rimane ad Aquileia.

 

Per Antonia la mattinata è a tutta archeologia, con la visita ai Fondi Cossar e Cal, dove si conservano le tracce dell’antico abitato della colonia romana. Resta ben poco, per la  verità, muri di abitazioni retrospicenti le botteghe, colonne e pozzi delle domus ad atrio e peristilio, lacerti di mosaico.

Archeofest, Aquileia area archeologica

La grande sorpresa è quella di ritrovarsi nel Museo Archeologico di Aquileia, guidati dalla direttrice, la dott.ssa Ventura.

 

Raccontare tutti i tesori custoditi nel Museo meriterebbe un post a parte e il consiglio è di visitarlo appena ne avrete l’occasione. Dalla statuaria, ai bronzi, agli oggetti in ambra fino alla ceramica è una sorpresa continua. Il chiosco interno poi è allestito con mosaici, epigrafi, urne cinerarie, decorazioni architettoniche.

 

Lasciate le meraviglie custodite nel Museo Archeologico, ci dirigiamo nel Museo Paleocristiano. Nel recente allestimento spiccano, tra l’altro, le tante epigrafi funerarie, impreziosite da figure di oranti e con le formule di saluto ai defunti.

Aquileia, Musei archeologici, Archeofest

Aquileia, Musei archeologici, Archeofest

Aquileia, Musei archeologici, Archeofest

Aquileia, Musei archeologici, Archeofest

Aquileia, Musei archeologici, Archeofest

Aquileia, Musei archeologici, Archeofest

Aquileia, Musei archeologici, Archeofest

Mentre Antonia rischia di non voler più andar via dai musei di Aquileia, Paola arriva con il resto del gruppo a Cividale del Friuli. Guidati dall’entusiasmo del grande archeologo Luca Villa andiamo alla scoperta dei tesori del Monastero di S. Maria in Valle. Il tempietto longobardo, nonostante sia straconosciuto, ci riempie di meraviglia.

 

Successivamente facciamo rotta verso il controverso ipogeo celtico. Il giro per la cittadina si conclude con la visita al Museo Archeologico Nazionale e, perdendoci fra i corredi delle necropoli longobarde, arriviamo all’ora di pranzo. Ancora pieni di meraviglia ripartiamo alla volta di Zuglio, l’antica Iulium Carnicum. Accompagnati stavolta, dalla  dott.ssa Flaviana Oriolo che ci fa scoprire il foro della piccola cittadina a due passi dal confine austriaco e successivamente il piccolo, nuovo Antiquarium che ne conserva i tesori.

Cividale, Archeofest

Cividale, Archeofest

Zuglio, Archeofest

Zuglio, Archeofest

Zuglio, Archeofest

Finite le visite, ci aspetta un talk per la presentazione del libro di Giuliano da Empoli con la partecipazione di Gian Mario Villalta e Mariano Maugeri.

 

Serata dedicata alla proiezione di altri due film: Il Perù millenario: una storia inesplorata e Lo scriba che dipinge. A conversare con Pruneti, stavolta, è Luciano Canfora che tra Augusto, Grecia antica e moderna, Tsipras e Varoufakis da prova delle sue capacità di divulgatore della storia antica e moderna.

 

Dopo una birretta al bar in piazza, corriamo a dormire!

 

 

Day 3

 

Per l’ultimo giorno l’ordine degli eventi è invertito: si inizia dai talk durante la mattinata, mentre il pomeriggio viene dedicato alle gite fuori porta.

 

Nello spazio talk si alternano Ermete Realacci e Guido Guerzoni per parlare di Art Bonus e investimenti.

 

Dopo pranzo decidiamo di seguire il gruppo che fa rotta su Duino e Trieste. Dopo una lunga e impervia passeggiata nel Carso per visitare il Mitreo di Duino (uno dei pochissimi in grotta) ci dirigiamo a Trieste dove visitiamo il Teatro romano e l’Arco di Riccardo.

Mitreo in grotta di Duino

Trieste

Teatro romano di Trieste

Arco di Riccardo a Trieste

L’avventura aquileiese si conclude con un’affollatissima serata in cui alla proiezione del documentario Punta Linke, vincitore della kermesse e dedicato alla Prima Guerra Mondiale, segue l’intervista di Pruneti ad un incontenibile Alberto Angela, che chiude il suo intervento con un coinvolgente monologo sugli ultimi tre giorni di Pompei.

 

E noi stiamo in fila fino alle 2 di notte per una dedica e una foto con Alberto Angela (potevamo ritornare a Roma senza?)

Alberto Angela Archeofest

Archeofest

L’avventura dell’Archeofest si è conclusa, ma se volete scoprire di più su queste meravigliose giornate e sui tesori dei luoghi che abbiamo visitato, non ci resta che rimandarvi alla nostra Pagina Facebook e all’hashtag #Archeofest15 su Twitter.

 

 

Post e foto di

Antonia Falcone & Paola Romi

 

Palazzo Massimo alle Terme, Rome

Una giornata al museo: #archeoblogger alla scoperta delle nuove sale di Palazzo Massimo alle Terme di Roma

Una cosa di cui spesso rimproveriamo i nostri musei, o almeno quelli italiani, è che raramente si rinnovano e che in molti casi presentano criteri espositivi di sapore ancora ottocentesco, fatto che ha certamente un suo fascino intrinseco, ma finisce con il non valorizzare appieno i tesori che fanno parte delle loro collezioni. Cio è tanto più vero per i musei archeologici, che spesso ricordano Wunderkammer di passata memoria, piccole o grandi “stanze delle meraviglie” concepite come piccoli universi in sé chiusi, poco inclini alle sperimentazioni.

 

Fortunatamente, non è sempre così.

 

Palazzo Massimo alle Terme è una delle quattro sedi del Museo Nazionale Romano, diretto dalla dottoressa Rita Paris. È stato inaugurato nel 1995, il che permette di annoverarlo tra i musei “giovani” della capitale, ma già dal 2005 gli allestimenti della sale sono oggetto costante di progressivo rinnovamento per aggiornarle agli standard espositivi più moderni.

 

La scorsa settimana le sale 2, 3 e 4 del primo piano, dedicate alla scultura di epoca Traianea e Antonina (inizio-prima metà II secolo d.C.) sono state riaperte al pubblico e noi siamo state invitate a vederle in anteprima e a confrontarci con alcuni dei curatori dei nuovi spazi espositivi.

 

 

Naturalmente, abbiamo accettato entusiaste e così ci siamo ritrovate a girovagare nelle stanze appena inaugurate tra le opere immortali della ritrattistica imperiale.

 

Siamo rimaste abbagliate, tra l’altro, dalla bellezza di capolavori come i rilievi con le personificazioni delle province dell’impero romano che un tempo decoravano l’Hadrianeum o Tempio di Adriano, che sorge non molto lontano dal museo, e abbiamo potuto osservare in ogni suo dettaglio il rilievo del monumento funerario di Apthonetus, qui esposto per la prima volta, con il lungo epitaffio che la figlia Quadratilla dedica al compianto padre.

 

 

 

 

Abbiamo potuto ammirare le superfici levigate dei volti, i dettagli dell’abbigliamento e delle armature e siamo state piacevolmente stupite dal bel contrasto tra il candore dei marmi e il colore scuro dei supporti.

 

Come al solito ci siamo armate di smartphone e abbiamo provato a fissare in tweet e scatti fotografici l’eterno fascino che ancora oggi l’antico esercita su di noi.

 

 

 

Abbiamo poi avuto il piacere di incontrare l’architetto Carolina De Camillis, consulente esterna del museo e responsabile dell’illuminazione delle sale.

 

Proprio l’illuminazione è una componente essenziale del nuovo allestimento: le lampade alogene fino a pochi anni fa comunemente usate nei musei, infatti, tendono a dare una sorta di “patina” uniformante alle opere, appiattendole e facendo sparire le difformità delle superfici. Il nuovo apparato di illuminazione, ottenuto con specifiche luci a led, permette invece di apprezzare pienamente le tracce di lavorazione lasciate dagli antichi artigiani, le molteplici venature colorate dei marmi e addirittura i singoli macrocristalli del materiale impiegato.

 

Sembra evidente, insomma, che l’allestimento di nuove sale in un museo comporta la sinergia di diversi professionisti dei beni culturali, archeologi, architetti, lightening designer, operai specializzati, tutto impegnati a lavorare dietro le quinte per offrire ai visitatori l’emozione dell’antico.

 

*

 

Una versione di questo post, in inglese, è stata pubblicata in occasione del #DayOfArchaeologyA day at the museum: #archaeobloggers explore the new rooms of Palazzo Massimo alle Terme, in Rome.

 

 

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Antonia Falcone (@antoniafalcone)
Paola Romi (@OpusPaulicium)
Domenica Pate (@domenica_pate)

[credit immagine @ Paola Romi]

Day of Archaeology al Foro della Pace di Roma

Com’è l’archeologia che vorresti?

 

Il nostro Day of Archaeology è partito da questa semplice domanda, rivolta agli studenti dell’Università Roma Tre e dell’American University of Rome che scavano nel Foro della Pace, a Roma.

 

 

Quest’anno, infatti, per la prima volta uno scavo archeologico su Via dei Fori Imperiali ha aperto le porte al pubblico.

 

Così, mentre alcuni dei ragazzi interagivano lungo la strada con turisti e passanti spiegando loro cosa fa un archeologo sotto il solleone estivo, giornalisti e blogger, armati rispettivamente di telecamera e taccuini e di smartphone e caricabatterie, hanno avuto il privilegio di gironzolare liberamente nell’area del cantiere e di confrontarsi con gli studenti e i responsabili dello scavo.

 

Abbiamo puntato sulla divulgazione ed abbiamo chiesto ai ragazzi di raccontarci le diverse fasi di uno scavo e quali sono le varie attività che gli archeologi svolgono sul campo. Abbiamo trasmesso le loro risposte in diretta su Twitter e su Periscope, su Instagram e con brevi post su Facebook, usando l’hashtag #ForumPacis.

 

E’ così che un cantiere di scavo, per una mattinata, è diventato social.

 

 

 

 

Ma abbiamo anche voluto guardare al futuro: il DoA è un’occasione per confrontarsi sul presente dell’archeologia attraverso la condivisione di tutto quello che si muove tra una trowel e un giornale di scavo, ma è anche un momento in cui riappropriarsi della nostra identità di archeologi, provando a pensare quali ulteriori passi in avanti potrebbe fare la disciplina.

 

E così abbiamo chiesto a loro, alle nuove leve, agli archeologi del futuro, cosa vorrebbero dall’archeologia, cosa manca e quale dovrebbe essere la strada da percorrere.

 

Un Day of Archaeology all’insegna della voglia di guardare avanti.

 

Qua sotto trovate le loro facce e i loro sorrisi, la convinzione che l’archeologia guarda al passato per costruire il futuro.

 

*

 

Com’è l’archeologia che vorresti?

 

 

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Una versione di questo post, in inglese, è stata pubblicata in occasione del #DayOfArchaeology: The Day of Archaeology at Templum Pacis in Rome.

Post di Antonia Falcone (@antoniafalcone) e Paola Romi (@OpusPaulicium)

Grafiche di Antonia Falcone

#Archeoweek (20-24 Luglio 2015 ): quando la promozione dell’archeologia passa per le idee semplici

Inizia oggi la settimana di #Archeoweek.

 

 

Cosa è?

 

 

Un’iniziativa ideata dal Ministère de la Culture et de la Communication, dall’Inrap e dal Musée d’Archéologie nazionale et Domaine national de Saint Germain en Laye per promuovere il patrimonio archeologico francese.

 

 

L’evento segue in qualche modo dal falsa riga di #MuseumWeek e si svolgerà sia su Twitter che su Facebook.

 

 

Ogni giorno sarà dedicato ad un diverso tema.

 

Il calendario dell’#archeoweek si svilupperà secondo questi temi:

 

Lunedì 20 luglio: preistoria

Martedì 21 luglio: protostoria

Mercoledì 22 luglio: archeologia preventiva

Giovedì 23 luglio: archeologia contemporanea

Venerdì 24 luglio: i mestieri dell’archeologia

 

Venerdì inoltre è la giornata del Day of Archaeology: e così i social network in questa settimana diventeranno terreno privilegiato per parlare e far parlare l’archeologia.

 

 

Quali saranno i contenuti?

 

 

Gli organizzatori hanno annunciato quiz, immagini e interventi di professionisti ma, al solito, saranno i partecipanti “esterni” a decidere la vera direzione che prenderà #Archeoweek.

Invitati a fare domande a mezzo Twitter i comuni cittadini diventeranno i veri protagonisti di questa festosa operazione.

 

 

Gli account twitter ufficiali sui quali seguire l’#archeoweek francese sono:

@jna_officiel

@InrapOfficiel

@Archeonationale

 

 

Idea semplice ed efficace insomma quella avuta dai cugini d’oltralpe. Resta solo una domanda: perché non ci abbiamo pensato anche noi?

 

Paola Romi (@opuspaulicium)

 

 

#Archeofest15 di Aquileia: Professione Archeologo va in trasferta

Professione Archeologo fa le valigie e parte per Aquileia per seguire, dal 29 al 31 luglio, sia ArcheoFest che Aquileia Film Festival.

 

 

Il nostro blog insieme a quello di Civetta di Atena sarà Social Media Partner delle manifestazioni promosse da Fondazione Aquileia, Archeologia Viva e Venezie Post.

 

 

A seguire gli eventi che animeranno la famosa località del Friuli Venezia Giulia ci saranno le blogger Antonia Falcone e Paola Romi insieme ad Astrid D’Eredità, fondatrice di Civetta di Atena.

 

 

Cosa vi racconteremo? Tutto quello che accadrà in questi tre giorni di “festa” dell’archeologia.
Durante la giornata, per Archeo Fest, seguiremo i convegni organizzati e viaggeremo alla scoperta dei tesori della regione, visitando non solo Aquileia ma anche Trieste, Cividale del Friuli, Zuglio e Grado. Dalle 21 invece protagoniste saranno le proiezioni dell’ Aquileia Film Festival. Dulcis in fundo le notti aquileiesi si animeranno grazie alle conversazioni-intervista di Piero Pruneti. Ospiti dell’evento saranno Simona Rafanelli, Stefano Cantini, Luciano Canfora e Alberto Angela.

 

 

Da brave “social media cose”, quindi, abbiamo messo su un bel calendario editoriale e da qui al 29 luglio vi accompagneremo alla scoperta delle località protagoniste dell’Archeo Fest con focus su Aquileia, Cividale del Friuli, Trieste, Grado e Iulium Carnicum per farvi entrare nel mood giusto.

 

 

Se volete stare sul pezzo vi consigliamo di tenere d’occhio i canali social di Professione Archeologo e di Civetta di Atena.

 

 

Dal 29 al 31 luglio, poi, saremo live dal Friuli attraverso blogpost, livetwitting e Periscope. Preparate smartphone e tablet perché potrete interagire con noi in tempo reale e commentare gli eventi che seguiremo per voi.

 

 

Proveremo a spiegare perché secondo noi l’archeologia deve essere condivisa, pubblica e narrata e perchè la valorizzazione del nostro patrimonio deve passare necessariamente dal fare rete, partendo proprio da questo evento-festa che ha voluto scommettere sulla capacità dell’archeologia di raccontarsi.

 

 

A chi pensa che l’archeologia non possa essere smart rispondiamo perciò: “Si può fare!!”. Gli archeoblogger sono sulla strada giusta e vogliono arrivare fino in fondo.

 

 

Noi di Professione Archeologo e Civetta di Atena ci stiamo provando: toccherà a voi lasciarci un feedback per farci sapere se l’esperimento ha avuto buon esito.

 

 

Ringraziamo gli organizzatori per la disponibilità mostrata nell’accettare questa sfida e ci auguriamo che questo sia solo l’inizio perché… il meglio deve ancora venire!

 

 

Di seguito vi ricapitoliamo gli account da seguire:

 

 

Professione Archeologo

 

Sitohttps://www.professionearcheologo.it/
FB: Professione Archeologo
 https://www.facebook.com/ProfessioneArcheologo
Twitter: @ProfessionArcheologo
https://twitter.com/pr_archeologo
G+: Professione Archeologo
https://plus.google.com/113380721491092517300
YouTube: Professione Archeologo
 https://www.youtube.com/user/ArcheologiInRete

 

 

Civetta di Atena

 

Sito: http://www.civettadiatena.it/
FB: Civetta di Atena
https://www.facebook.com/CivettadiAtena
Twitter: @CivettadiAtena
 https://twitter.com/civettadiatena
G+: Civetta di Atena
https://plus.google.com/100383377322985445744/
Instagram: @CivettadiAtena
https://instagram.com/civettadiatena/
Pinterest: Civetta di Atena
https://www.pinterest.com/civettadiatena/

 

 

Account personali

 

 

Astrid D’Eredità
Twitter: @astridrome
Instagram: @astridrome

Antonia Falcone
Twitter: @antoniafalcone
Instagram: @archeoantonia

Paola Romi
Twitter: @OpusPaulicium
Instagram: @paola_romi

Pompei città aperta: #scriptorivm e dintorni

A volte gli esperimenti più arditi vengono realizzati dove meno te lo aspetti.
E così la banalità dei luoghi comuni e la parzialità di una certa informazione appaiono d’improvviso quasi comiche.

 

 

Pompei non è solo una città che crolla.
Pompei non è solo un sito archeologico con enormi problemi e con a capo, in veste di commissario straordinario, un generale.
Pompei non è solo il Grande Progetto.
Pompei è anche #scriptorivm

 

 

Di cosa sto parlando? Di una fantastica esperienza che io, con molti altri, ho vissuto il 19 ed il 20 giugno. A Pompei appunto.
Inutile spiegare come è nata l’iniziativa, vi basta navigare sul sito dell’evento per scoprirlo.

 

 

Io invece vi racconterò cosa e come l’abbiamo fatto ma, soprattutto, con quale spirito.

 

 
Riuniti all’interno dell’Auditorium nell’area archeologica, per due giorni, ci siamo tutti impegnati a produrre, sistemare e trasformare dati aperti utili alla fruizione e allo studio dell’antica città vesuviana.

 
Io per esempio ho lavorato nel gruppo che ha realizzato un “database bibliografico georeferenziato”. Sicuramente questa definizione farà rabbrividire i miei compagni di avventura ma, per capirci, il prodotto della due giorni è stata una pianta digitale della città in cui, cliccando sulle domus o sulle insulae, appare la bibliografia relativa. L’inserimento dati ovviamente è stato solo parziale ma il sistema ormai c’è e “riempirlo” richiederà un lavoro lungo e non certo complicato.

 

 

Altri hanno lavorato alla base cartografica, quella su cui noi abbiamo inserito successivamente i nostri dati e, credetemi, hanno fatto un gran lavoraccio.

 

 

Altri ancora hanno girato Pompei sotto il sole cocente per mappare la città da un punto di vista fotografico. E gli ultimi, che in realtà erano il gruppo I, hanno anche realizzato un bel sito internet sulla Pompei antica e moderna. Con grande attenzione a temi prettamente storico-archeologici, come la mappatura di graffiti ed iscrizioni, ma anche alle tematiche dell’accessibilità.

 

 
Tutto questo è stato possibile non solo grazie all’entusiasmo e alle attitudini dei partecipanti, ma anche alla generosità di chi, in primis il Prof.  Eric Poehler del Pompeii Bibliography & Mapping Project, ha messo volentieri a disposizione di tutti i dati cartografici e bibliografici.

 

 

 

Molto ci sarebbe da dire sugli strumenti e le metodologie usate e io, sinceramente, non è che sia la persona più adatta a farlo.

 

 

 

Posso però raccontarvi l’atmosfera: frizzante, allegra, seria ma spensierata.
Gravida di codici, quote e caffè.
Appesantita, magari a sera, dopo una giornata di lavoro, da meritati fritti e pizza.

 

 

Posso anche raccontarvi chi c’era e ha contribuito con impegno e dedizione alla riuscita dell’evento: archeologi, ingegneri, geomatici, comuni cittadini, economisti, giornalisti, tutti intenti a discutere con la verve e leggerezza di un gruppo di amici, quasi che stessero decidendo la meta delle vacanze, non certo lavorando.

 

 

Posso infine scrivere due righe di riflessione.

 

 
Ma sarà poi vero che le diverse categorie professionali non possono lavorare in sintonia?

Sarà vero che realizzare sistemi innovativi e open è complicato, difficile e dispendioso?

Sarà vero che in archeologia non si può fare innovazione perché i soggetti coinvolti sono sempre troppo legati al “vecchio”?
Sarà vero che per Pompei, per l’Italia e per certe generazioni non c’è speranza di riscatto?

 

 

La risposta a tutte queste ed altre domande è “No, non è vero.

 

 

Bisogna smettere di guardare solo il pezzo di muro che cade e guardare i progetti che, più o meno silenziosamente, crescono.

 

 

E magari anche dare una mano, se si è nella condizione di farlo.

 

Per altri racconti sullo #scriptorium clicca qui

Di piramidi, tirocini e tweet: beni culturali e la politica dello spot

Sono strani questi giorni tra maggio e giugno per i beni culturali italiani, strani e pieni di notizie e annunci.

 

Provo a fare un riassunto e a proporre qualche riflessione.

 

Il 26 maggio viene inaugurata la mostra “Pompei e l’Europa. 1748-1943”, articolata in due sedi, al Museo Archeologico Nazionale di Napoli e agli scavi di Pompei, e per la quale è stato creato un apposito (e non particolarmente bello, ma questi son gusti personali) sito internet, nonostante la Soprintendenza Speciale per Pompei, Ercolano e Stabia abbia già un bel portale ricco di notizie e approfondimenti. A Pompei la sede scelta è l’anfiteatro, dove più o meno dalla sera alla mattina è comparsa una strana piramide che dovrebbe rappresentare il Vesuvio, ma che lascia perplessa persino la stampa inglese. All’interno, sospesi a mezz’aria su sostegni in metallo quasi fossero opere d’arte contemporanee, venti degli 86 calchi restaurati delle vittime dell’eruzione del 79 d.C., in una scelta espositiva quanto meno di dubbio gusto, figuriamoci definirne il valore storico-scientifico.

 

Il 30 maggio il Ministro Dario Franceschini scrive su Twitter:

 

 

Pochi giorni e viene rivelato che i tirocini, finanziati dal Fondo 1000 giovani, saranno rivolti a laureati di età inferiore ai 29 anni e avranno un compenso lordo di 1000 Euro al mese, che in tempo di crisi non sono male. E poi sono sei mesi a Pompei. Come esperienza dopo la laurea, vuoi mettere?

 

Il 2 giugno in occasione della Festa della Repubblica, viene ufficialmente annunciata una notizia che circolava già da qualche giorno: dal 23 giugno il Quirinale sarà aperto cinque giorni su sette e non più solo la domenica, con due percorsi di visita da prenotare online con almeno sei giorni di anticipo e la possibilità di usufruire di una guida, che sarà affidata a volontari del Touring Club e studenti de La Sapienza, anche loro volontari. Oltre a prevedere il divieto di introduzione di oggetti contundenti, zaini ingombranti e apparecchi fotografici (come la mettiamo con gli smartphone? ), le nuove regole escludono le guide abilitate, che non potranno più accompagnare gruppi di visitatori, ma entrare solo come privati cittadini. Naturalmente, la protesta, su Twitter, non si è fatta aspettare.

 

Lo scorso mercoledì 3 giugno, l’ANSA fa sapere che dopo i Pink Floyd saranno i ragazzi de Il Volo, fenomeno mondiale e vincitori dell’ultimo Festival di Sanremo, il secondo gruppo musicale ad esibirsi negli scavi Pompei, dove la prossima settimana registreranno uno speciale per la TV americana PBS, perché si sa, i luoghi comuni sull’Italia e l’italianità son duri a morire e ogni tanto è il caso di riproporli.

 

Lo stesso giorno, ma in serata, così c’è stato tempo di digerire meglio la prima notizia, arriva un altro annuncio via Twitter del Ministro Franceschini e per un momento, lo confesso, ho pensato (e forse sperato) che fosse il risultato di una violazione di account.

 


L’ironia è davvero troppo facile, e del resto, se c’è qualcosa che noi italiani abbiamo in sovrabbondanza, è proprio quella (questa è la mia risposta preferita).

 

Infine venerdì (il 5 giugno), il Ministro ha fatto sapere che l’idea di cui si era molto parlato quest’autunno, quella di ricostruire l’arena del Colosseo, ispirata da Daniele Manacorda, diventerà realtà: il bando sarà internazionale e secondo le previsioni i lavori dureranno 5 anni e saranno finanziati per circa 20 milioni di euro, la gran parte dei quali fondi pubblici. Nel frattempo, quasi a dare un’assaggio di quel che verrà, è stato ricostruito e verrà presto inserito nel percorso di visita al pubblico, uno dei 28 montacarichi che trasportavano gli animali feroci nell’arena. Una bella storia di archeologia sperimentale questa, nata quasi per caso due anni fa, quando la Providence Pictures, casa di produzione americana, propose la ricostruzione del montacarichi per il documentario Colosseum-Roman death trap del regista Gary Glassman, assumendosi i costi dell’intera operazione (qui il comunicato stampa del MiBACT).

 

Tante notizie, insomma, in questi giorni che scivolano lentamente verso l’estate, che toccano alcuni dei luoghi più rappresentativi del patrimonio culturale italiano, e che, al di là dei contenuti specifici, mettono in luce, se mai ce ne fosse bisogno, che la politica culturale in Italia si fonda ormai su due linee d’azione.

 

Da un lato “grandi eventi spot”, su cui riversare tanti bei soldi, spesso pubblici, ma anche, sempre più di frequente, privati, il che non è affatto una cattiva notizia, almeno a mio modo di vedere, purché i termini siano chiari e si tenga presente il valore intrinseco del bene su cui si va ad intervenire. Essendo “spot”, però, tali interventi tendono spesso a riguardare pochi monumenti ben noti, assurti a simbolo del nostro paese (“il Colosseo nella sua grandiosità è simbolo non soltanto di Roma ma di tutta l’Italia”, dice Franceschini nell’annunciare il progetto dell’arena), mentre tanti luoghi storici e aree archeologiche versano nelle condizioni che tutti conosciamo. A volte, come la futura Biblioteca Nazionale degli Inediti (Sarà un luogo fisico? Dove nascerà? Chi deciderà quali libri conservarci? I miei diari di adolescente saranno accettati?) o la strana mostra dell’anfiteatro di Pompei, i risultati di certe operazioni sono talmente fuori dal mondo e dalla logica che l’unica reazione è questa qua.

 

La logica dei grandi eventi, è anche la logica dei grandi numeri, e così, sempre il ministro Franceschini e sempre su Twitter, sbandiera, ad esempio, “i numeri da capogiro”, dei visitatori degli scavi di Pompei, della Reggia di Caserta e del Colosseo durante l’appuntamento mensile della #DomenicalMuseo, tanto numerosi da mettere a rischio persino l’integrità stessa dei luoghi, letteralmente assaliti da migliaia di persone. Ma siamo sicuri che grandi folle siano sinonimi di “successo”? E che sia questo tipo di successo quello di cui il nostro patrimonio culturale e noi italiani abbiamo bisogno?

 

Dall’altro lato, e sembra quasi un controsenso ma non lo è se la logica che ti guida è lo “spot”, si punta chiaramente al risparmio sulle professionalità.

 

Così il volontario sostituisce il professionista e i fondi a disposizione sono usati per assunzioni anch’esse, in fondo, un po’ “spot”, perché un tirocinio di sei mesi, benché retribuito, non è lavoro, e perché con la frequenza con cui queste forme di lavoro vengono proposte esse diventano a tutti gli effetti una soluzione reiterata di reclutamento a basso costo.

 

Niente di nuovo sotto il sole, davvero, ma il tutto si tinge di un po’ di amarezza, se, alla fine di una nuova presentazione del libro Archeostorie (giovedì scorso a Cosenza, in una bella mattinata piena di spunti e di sano ottimismo), ti ritrovi a parlare con un piccolo gruppo di archeologi che ti rivelano di “aver mollato” o che ricordano colleghi, validi e preparati, che “non ce la facevano più”, che hanno “ripiegato” su altro e ora non fanno più gli archeologi.

 

Quante storie così conosciamo?

 

La domanda, alla fine, è sempre la stessa.

 

Cosa vogliamo farci, noi, con i nostri beni culturali?

 

Vogliamo che siano petrolio, che mette in moto e brucia e si consuma (e inquina)? Perché politica dello spot per me significa questo: è l’inseguire una visibilità che si spera si traduca in ricaduta e sviluppo economico ma che non lo farà perché dietro manca una progettualità coerente.

 

Oppure vogliamo che il nostro patrimonio culturale sia humus, da proteggere e conservare, sì, ma anche da studiare e conoscere, da valorizzare e grazie al quale costruire nuova cultura, nuovo sviluppo sostenibile, comunità vere radicate nel territorio? 

 

E su cosa vogliamo puntare se non sulle persone, sulle competenze, sull’innovazione, sulla creatività, sulla loro passione?

 

Io la mia risposta ce l’ho, ma devo dirlo, certe volte, non è per niente facile.

 

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Il marketing culturale nell’era del web 2.0. Due chiacchiere con Nicolette Mandarano

Vi siete mai chiesti cosa pensi un visitatore dell’esperienza appena fatta in un museo o in un’area archeologica?

 

Ce lo siamo domandati tutti prima o poi: sia gli addetti ai lavori che chiunque si appassioni alle sorti del patrimonio culturale.

 

Che impressione danno i nostri musei ai visitatori, soprattutto stranieri? Siamo all’altezza del compito? Riusciamo cioè a fornire tutti quei servizi indispensabili per l’accoglienza, la didattica e la fruizione?

 

Se a noi queste domande ronzano in testa, girovagando magari qua e là fra commenti, tweet e blog, c’è chi ha pensato bene di farne uno studio sul rapporto tra Musei e Pubblico.

 

Come?

 

A partire da una delle piattaforme più note quando parliamo di feedback.

 

Lei è Nicolette Mandarano, la piattaforma è TripAdvisor. 

 

I musei sono quelli di Roma e l’analisi dei commenti degli utenti è confluita in un volume dal titolo “Il marketing culturale nell’era del web 2.0. Come la comunità virtuale valuta i musei” (ed. Guaraldi).

 

Il lavoro fatto da Nicolette Mandarano parte dalla constatazione che “le statistiche evidenziano che un utente su tre consulta il web e i social media per pianificare una vacanza e che fra i social media più utilizzati TripAdvisor è quello che a livello turistico influenza di più le scelte rispetto a Facebook e Twitter”.

 

Incuriositi dall’indagine svolta abbiamo incontrato l’autrice e le abbiamo fatto qualche domanda.

 

Ciao Nicolette, da cosa nasce l’idea di analizzare il rapporto tra musei e TripAdvisor? Esisteva già in Italia qualche studio su questo argomento?

 

 

Ciao e grazie per l’ospitalità.

 

L’idea per questa ricerca è nata vedendo che su TripAdvisor, insieme ai consueti feedback su ristoranti ed esercizi commerciali, iniziavano a comparire recensioni anche su musei, monumenti e aree archeologiche. Iniziando a leggere le opinioni del pubblico ho trovato diverse cose interessanti sul rapporto fra i visitatori con le loro aspettative e le istituzioni culturali, ed ho deciso di farne uno studio più sistematico.

 

In Italia, ma anche all’estero, niente del genere era stato ancora fatto. C’erano articoli sulla presenza dei musei sui social media quali Twitter e Facebook, ma nulla era stato fatto su TA.

 

 

Nei feedback rilasciati su TripAdvisor hai rilevato una qualche differenza tra visitatori italiani e stranieri? Utilizzano gli stessi parametri per valutare l’esperienza di visita?

 

 

Indubbiamente esiste una differenza fra visitatori italiani e stranieri. Le aspettative sono diverse. La conoscenza, anche solo scolastica, dei visitatori italiani aiuta a riconoscere più facilmente i capolavori, gli stranieri invece trovano maggiori difficoltà e si chiedono perché le nostre istituzioni non si impegnino di più nella comunicazione. Vorrebbero mappe, che qualcuno segnalasse loro i capolavori da non perdere, maggiori spiegazioni e, generalmente, un’accoglienza diversa.

 

Sulla diversità delle aspettative trovo sia emblematico il caso delle Domus romane di Palazzo Valentini. I visitatori italiani sono generalmente entusiasti dell’esperienza di visita, che trovano coinvolgente grazie alla voce narrante e alle proiezioni, i visitatori stranieri invece , soprattutto di provenienza statunitense, rimangono delusi perché ritengono migliori i documentari di Discovery Channel rispetto a quanto proposto durante il percorso di visita.

 

 

Cosa ne pensi dei visitor studies basati esclusivamente sulle opinioni on-line degli utenti? Si possono ritenere attendibili?

 

 

Bisogna saper mantenere un certo equilibrio nell’analisi – come deve accadere però anche quando si affronta l’analisi dei questionari anonimi – ma sostanzialmente le opinioni on-line che ho avuto modo di analizzare si possono ritenere attendibili. La decisione di lavorare su musei che conosco molto bene è stata presa proprio per capire se fossero presenti recensioni false o poco attendibili, e questo non è mai accaduto. Del resto TA è stato accusato più volte di accogliere recensioni false, ma se questo vale per gli esercizi commerciali dove c’è un forte interesse economico e concorrenziale in ballo, questo non accade, o almeno ancora non è accaduto per i musei.

 

 

Hai analizzato i commenti lasciati sul portale da ottobre 2013 a febbraio 2014. E’ cambiato qualcosa da allora?

 

 

No. Inizialmente temevo che la ricerca sarebbe invecchiata in fretta, invece devo dire che ad oggi i risultati emersi dall’analisi sono rimasti praticamente invariati. Questo è un bene per me, ma non evidentemente per i musei che in tutto questo tempo non sembrano aver cambiato nulla sotto nessun punto di vista.

 

 

Di questo ed altro si parlerà venerdì 22 maggio 2015 nel corso della presentazione “Ti lascio un feedback. Musei e pubblico nel web 2.0.” che si terrà a Roma presso la libreria Offline Books in via dei Marrucini 12a (vicino a l’Università La Sapienza). Interverranno oltre a Nicolette Mandarano, autrice del testo citato, Cinzia Dal Maso, Astrid D’Eredità, Giulia Facchin, Giorgia Meschini e Rita Paris.

 

 

Per seguire ed interagire sui socialmedia l’hashtag sarà #dilloalmuseo.

 

 

#bronziFirenze: impressioni di una #archeoblogger

Lo ammetto, entrando a Palazzo Strozzi ero piuttosto prevenuta.

 

Amo i musei ma le mostre, qualunque sia il loro tema, invece finiscono per suscitare in me più fastidio e interrogativi che gioie. Stavolta invece è andata diversamente.

 

Non solo per la piacevole ospitalità riservata al nostro gruppo di archeoblogger e non tanto perché vedere insieme tanti capolavori è comunque un enorme arricchimento, ma soprattutto perchè ho visto messa in pratica, per una volta, l’idea di archeologia pubblica in ambito museale.

 

Lo dico meglio: ascoltando le nostre gentili ospiti e percorrendo l’esposizione e le sue pertinenze, ho potuto apprezzare finalmente una mostra archeologica che si distingue nell’avere chiaramente un occhio di riguardo per la pubblica utilità dell’evento.

 

Rapita dagli sguardi vuoti degli atleti, stregata dalla morbidezza di tanti bronzei capelli, ipnotizzata dal nitrito del cavallo Medici Ricciardi e dal broncio del Pugilatore, tra un tweet e l’altro, ho cercato di raccontare a chi non era presente, la bellezza che mi si parava davanti in ogni nuova sala.

 

Ma è stato durante il viaggio di ritorno che ho messo ordine tra i pensieri e ho realizzato il perché delle sensazioni positive suscitate dalla mostra. Mettendo in fila i ricordi, le informazioni ricevute e i dati della cartella stampa ho infatti capito l’origine della mia soddisfazione: avevo visitato due mostre, Potere e Pathos a Palazzo Strozzi e Piccoli Grandi Bronzi ai MAF in cui i fondi erano stati impiegati, almeno in parte, per fare veramente, almeno secondo la visione che ho io, archeologia pubblica, cioè per il pubblico.

 

Quello messo in piedi dallo staff della fondazione di Piazza degli Strozzi non è solo un evento espositivo di altissimo livello e una complessa macchina organizzativa e comunicativa, ma è soprattutto un’esposizione pensata per essere letteralmente al servizio del pubblico e non solo per entrare in relazione col pubblico.

 

Come?

 

Sperimentando molteplici ed eterogenee iniziative, dedicate ai più diversi target di visitatori, tali da fare in modo che ognuno possa trovare il suo personale modo di entrare in relazione con le opere d’arte esposte, apprendere ed arricchirsi.

 

Ma non si sono fermati qui.

 

Hanno fatto di meglio, hanno ideato anche iniziative dedicate ai malati di Alzheimer e ai loro familiari.

 

E a questo punto la mostra e le opere sono diventate, per assurdo, proprio perdendo la loro centralità, veramente archeologia pubblica. Usate come spunto per facilitare canali comunicativi ormai compromessi, tanto i reperti esposti quanto lo staff tentano infatti di essere veicolo di una percorso per così dire “terapeutico”: e da fine ultimo dell’evento il contatto con l’antico diventa strumento per tentare di vivere meglio.

 

Sicuramente si è già capito. Per me è stata una folgorazione. Ho trovato una delle tante risposte, ma forse la più commovente, alla ricorrente domanda che come professionista del settore spesso subisco: ma a cosa serve l’archeologia? Serve anche a fare terapie per i malati.

 

Ecco questa in assoluto è stata la cosa più emozionante dell’esperienza fiorentina del gruppo degli #archeoblogger.

 

Per chiudere, last but not least, voglio raccontare qualcosa della mostra sui Piccoli Grandi Bronzi dei Musei Archeologici Fiorentini.

 

Frutto di uno “scavo” nei magazzini contenenti le collezioni Lorenesi e Medicee, l’esposizione di piazza dell’Annunziata è veramente un raffinato gioiello.

 

Piccola per superficie espositiva e per tipologia di opere esposte, la mostra introduce con semplicità il visitatore nel mondo di una classe di reperti di solito apprezzati solo dagli specialisti.

 

Quale sarebbe qui la componente di “archeologia pubblica” che riconosco a questa operazione? Ce ne sono molte.

 

Restituire ai cittadini un patrimonio di solito chiuso in vecchie casse, tentare di risvegliare in loro la curiosità verso l’antico attraverso le rappresentazione delle divinità, ma anche fornire spunti per collegare la moderna storia con gli orizzonti dell’antica koinè culturale ellenistica.

 

Sicuramente ce ne sono molte altre. Non resta che andarci o ritornarci e scoprirle.

 

Paola Romi (@opuspaulicium)

 

Credit photo: @PalazzoStrozzi

 

 

precariato archeologia partita IVA

Dell’IVA e della solidarietà. Storie di straordinaria attualità #2

Logos – 24 aprile

 

Da due mesi di intenso e condiviso lavoro che ha visto insieme moltissime associazioni, non solo di categoria, sono scaturiti una serie di punti confluiti in una lettera  indirizzata al presidente dell’INPS, Tito Boeri, e a lui esposti questo scorso venerdì 24 aprile.

 

È stato il 24 aprile, un’altra bellissima giornata di sole, calda come ci si aspetta in primavera, e ventosa, come gli animi di quasi 200 lavoratori autonomi delle più disparate categorie, che ancora una volta si sono riuniti per manifestare e attendere speranzosi un dialogo con le istituzioni, che è avvenuto. Tante esperienze sono state coraggiosamente raccontate davanti a tutti, rendendoci consapevoli dei problemi comuni e facendoci forse sentire un po’ meno soli.

 
Ho ritrovato le persone conosciute al primo speakers’ corner, in primis Cosimo Matteucci, avvocato fiero e appassionato tanto da ispirare questa “battaglia”, e i due fantastici ispiratori di ArchiM, Angelo Restaino e Sara Vian, archivisti di ieri e di oggi dall’incredibile professionalità e umanità. Ho incontrato vecchi e cari amici e colleghi, soprattutto architetti, fatto nuove conoscenze e sono stata istruita di quali realtà associative già si occupano di questo mondo lavorativo, come ad esempio Acta.

 

È stata una mattinata lunga che si è conclusa con tanta soddisfazione nel primo pomeriggio, quando i 6 rappresentanti del movimento sono usciti visibilmente emozionati, come tutti noi nell’ascoltare da loro le prime dichiarazioni a caldo, da un lungo incontro con Tito Boeri.

 

Parole d’ordine: equità fiscale e previdenziale, reddito e welfare universale. E non perché debbano arrivare così, dall’alto, ma perché paghiamo anche noi per averle e perché per costruire e pianificare il lavoro sono sacrosanti dei “cuscinetti” sociali e economici, erogati in base a reddito e disponibilità.

 

Solo allora sono ripartita dall’EUR, sempre sul sellino della mia inseparabile bicicletta, per tornare al lavoro. E per tornarci con più grinta e convinzione, consapevole che il lavoro non si subisce, ma si costruisce. E che ho doveri, ma anche diritti da chiedere che mi vengano riconosciuti, in quanto parte, e parte fondante di questa economia e di questa società, per la quale lavoro con le mani, con la testa, e, per mia fortuna, anche con il cuore.

 

Grata, inoltre, di aver conosciuto realtà così consapevoli della loro unità e funzione, qualcosa che tra gli archeologi mi pare ancora un po’  lontana da realizzare.

 

E concentrata. Concentrata a trovare una nuova chiave di lettura per questa crisi e questa dimensione del lavoro precario, che ormai sembra essere la nuova tipologia di contratto a nostra disposizione.

 

Sì, forse utopicamente, ma sono fermamente convinta che la precarietà, che esiste e per ora non cambia, sia una realtà che vada affrontata e non subita, in modo tale da renderla una risorsa e non una condanna.

 

Prossima fermata di questa carovana? Il prossimo sabato 9 maggio, h. 10, all’ESC Atelier di San Lorenzo, per continuare a pensare, elaborare proposte, scambiare e condividere dubbi, esperienze, idee e progettare il prossimo speakers’ corner, che questa volta sarà di fronte a una Cassa professionale.

 

Che fai? Vieni anche tu, no?

 

Perché ora tocca a tutti noi. E tu, ti sei domandato chi sei? Noi archeologi chi siamo?

 

#sonoarcheologoperchè

#sonoarcheologoe

#sonounIVAesto

 

 

Giulia Facchin