Arrivano i nostri! E si chiamano Monuments Men

C’era una volta un movimento nato da cittadini che volevano liberare la cultura, avevano deciso di chiamarsi Invasori, ma non Invasori qualunque, bensì Invasori Digitali.

 

Sembra passato un secolo, ma la prima iniziativa dei protagonisti di oggi risale solo alla primavera 2013. Da allora lo spirito non è cambiato, ma il successo delle loro iniziative è stato tanto inarrestabile e indiscutibile da incassare, in occasione dell’edizione 2014 delle Invasioni Digitali , anche il plauso del Ministro Dario Franceschini.

 

Ma si sa, le orde di tal fatta non stanno mai tranquille e, in attesa di altri interessanti progetti che potete scoprire sul loro sito, hanno deciso di regalarci, insieme all’Associazione Nazionale Piccoli Musei, il Monuments Men Week End.

 

Al grido di Fotografa-Condividi-Salva dal 6 all’8 giugno la squadra  degli Invasori invita  tutti ad emulare i Monuments Men protagonisti dell’ultimo, omonimo film diretto e interpretato da George Clooney.

 

Lo scopo é, come nelle iniziative precedenti, contribuire alla tutela e alla valorizzazione dei beni artistici italiani, promuovendo una concezione aperta, diffusa e condivisa della nostra cultura.

 

Gli obiettivi da salvare, armati di smartphone e tablet, sono:

 

– Musei o siti d’interesse storico chiusi o a rischio chiusura
– Piccoli Musei e/o luoghi poco conosciuti
– Situazioni difficili legate ai beni culturali
– Luoghi dove si trovano le opere salvate dai Monuments Men

 

Le segnalazioni dei singoli sono già in corso e, per tutta la penisola, proliferano i “salvataggi organizzati” contraddistinti in modo inequivocabile dall’hashtag #MonumentsMenWE.

 

Non siate pigri dunque! Quando vi ricapita di poter emulare George e la sua squadra?

 

Tra gli eventi organizzati a Roma e dintorni vi segnaliamo il  “salvataggio” digitale della Necropoli di Porto, lanciata dal Comitato Promotore  Parco Archeologico Fiumicino Ostia Antica nell’ambito delle attività di sensibilizzazione della cittadinanza e delle autorità locali per la realizzazione di un grande Parco Archeologico.

 

@opuspaulicium (Paola Romi)

 

 

Opening the Past 2014

Opening the Past 2014 (Pisa, 23 maggio)

 

“Aprire il passato significa raccontarlo”

 

Con questa filosofia si svolge oggi a Pisa la seconda edizione di Opening the Past, il convegno di Mappa Project dedicato all’archeologia che parla agli altri e fa parlare di sé.

 

Il tema di quest’anno è immersive archaeology ed ha al centro la riflessione sulle diverse tecniche narrative che le moderne tecnologie mettono a disposizione degli odierni archeologi-narratori.

 

Seguendo le esperienze di archeologi che sono anche blogger, video maker, esperti di social network e di gamification, Opening the Past racconta l’archeologia che ci piace, che indaga il passato ma è immersa nel presente e in questo tempo crea relazioni forti con il grande pubblico, con le comunità locali, con l’affollata platea della rete.

 

Quattro sessioni per condividere esperienze e lanciare nuove idee, all’insegna della partecipazione, degli open data e di una divulgazione sì scientifica, ma anche innovativa nei modi, che non ha paura di imboccare nuove strade.

 

Come lo scorso anno, anche quest’edizione presenta un video contest, con sei video in gara per raccontare le diverse facce dell’archeologia, dal lavoro sul campo, alla divulgazione fino alla protesta. I video sono elencati in questa pagina e per qualche ora (fino alle 12 di oggi) sarà ancora possibile votarli cliccando ‘mi piace’ su You Tube.

 

Qui il ricco programma dell’evento dell’evento, mentre a questo link sono disponibili i pre-atti dell’evento, liberamente scaricabili in formato .pdf.

 

Mappa Project ha anche una Pagina FB ed un account Twitter.

 

Sarà possibile seguire gli aggiornamenti da Opening The Past attraverso l’hashtag #op14.

 

@domenica_pate

 

 

Notte dei Musei 2014

La notte è piccola per noi

Il mese delle rose è tornato e con lui la Notte dei Musei.

 

Un anno è trascorso e stavolta il MiBACT non sembra essere incorso nella convocazione di volontari a mezzo social che aveva scatenato, nel 2013, la protesta del #no18maggio, sfociata poi ne “la Notte dei Professionisti“.

 

Tutto bene quindi?

 

Ni. Anzi no.

 

In questo 2014 nelle istituzioni museali sia grandi che piccole, un po’ a macchia di leopardo, qualcosa si sta muovendo nella direzione di una maggiore apertura verso l’esterno. Almeno sul lato della promozione social. La #museumweek e da ultimo lo #smallmuseumtour dimostrano infatti l’esistenza di volontà ed energie utili e prontamente disponibili ad un rinnovato rapporto con i visitatori reali e virtuali, ma c’è un ma.

 

Ora, da solito “bastiancontrario”, mi chiedo per quale motivo di fronte alla scelta di promuovere due iniziative che cadono nello stesso weekend, ovvero la  Notte dei Musei  (il 17 maggio) e l’International Museum Day (18 Maggio), organizzata dall’ICOM, si sia scelto, a livello ministeriale, di incentivare soprattutto la prima.

 

Prescindendo dalla polemica #ColosseoChiuso, che peraltro, oltre ad essere meramente strumentale, non riguarda nemmeno propriamente un museo, e sebbene sarebbe stato senza dubbio più facile gestire le presenze del personale per la seconda iniziativa citata, visto che le istituzioni museali la domenica sono generalmente già aperte, sono preoccupanti, rispetto a questa scelta, il ragionamento sottinteso e  l’opportunità mancata.

 

Il vero punto dolente della questione è infatti la straordinaria occasione comunicativa persa: il tema della Giornata Internazionale dei Musei 2014 (GIM 2014), Make CONNECTIONS with COLLECTIONS Creare CONNESSIONI  con le COLLEZIONI, è infatti quanto mai interessante ed attuale. A riguardo, se ce ne fosse bisogno,  ICOM efficacemente ricorda che “i musei sono istituzioni vive, che aiutano a creare legami con visitatori, tra generazioni e culture del mondo e dare una possibile risposta alle questioni contemporanee del mondo.”

 

Ecco, non ho nulla contro la Notte dei Musei, anche perché mi fa sentire meno orfana delle Notti Bianche a cui velocemente mi ero affezionata, ma credo che le energie spese in questa operazione sarebbero state meglio investite in un’iniziativa di più ampio respiro concettuale, oltre che aperta a successivi sviluppi, quale quella proposta per la Giornata Internazionale dei Musei.

 

Rischio di essere sommamente impopolare, ma sono persuasa che i musei italiani prima che di un maggior numero di visitatori, diurni e/o notturni, abbiano bisogno di migliorare il rapporto coi visitatori e, secondo quest’ottica, privilegiare un’occasionale Notte dei Musei, appuntamento di gran lustro, certamente, ma per le sue stesse caratteristiche straordinario, nel senso di “non ordinario”, a scapito di una giornata internazionale nella quale è il museo al centro della sua rete di connessioni, a parer mio, non va esattamente nella direzione giusta.

 

Concludo questa riflessione con una precisazione che mi sembra necessaria: tutto quanto rilevato non mi preoccupa quest’anno come archeologa e professionista. Mi delude come cittadina.

 

Nel 2015, forse, troveremo la quadratura del cerchio.

 

O almeno lo spero.

 

 

Paola Romi (@OpusPaulicium)

 

 

Primo Maggio 2014 Professione Archeologo

Buon Primo Maggio da Professione Archeologo

Buon 1 Maggio a tutti gli archeologi ed aspiranti tali da Professione Archeologo!

Nel post la bellissima grafica di Davide Arnesano (@DavArnesano).

Soggetto di Antonia Falcone (@antoniafalcone).

Primo Maggio 2014 Professione Archeologo

Convegno “Stati generali dell’archeologia. Un aggiornamento sul tema”. Intervista ad Alessandro De Rosa, presidente CNAP

Il 30 aprile si terrà a Sant’Agata dei Goti il Convegno “Stati generali dell’archeologia. Un aggiornamento sul tema”.

 

 

Uno degli argomenti all’ordine del giorno è quello del riconoscimento dei professionisti dei beni culturali. Oltre al neopresidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali e Paesaggistici Giuliano Volpe, interverranno rappresentanti delle Soprintendenze per i Beni Archeologici di Basilicata e Campania nonché delle associazioni di categoria ANA, FAP e CNAP.

 

 

In attesa di conoscere quali saranno i contenuti del documento che verrà redatto al termine dell’ incontro abbiamo parlato con Alessandro De Rosa, presidente della Confederazione Nazionale Archeologi Professionisti (CNAP), di quelle che saranno probabilmente, insieme alla riforma del MiBACT, le tematiche salienti della discussione.

 

 

Il mondo dei professionisti che operano nel settore dei beni culturali è piuttosto variegato e comprende diverse figure professionali (dai liberi professionisti ai dipendenti Mibact a titolari e dipendenti di imprese archeologiche), ognuna con specificità proprie e problemi differenti. Secondo te, pur in questa complessità del settore, qual è la problematica più urgente all’ordine del giorno?

 

 

Direi la definizione della figura professionale: requisiti, competenze, e ambiti di intervento, considerando che il riconoscimento si sta realizzando attraverso la Pdl362. Questo riguarda soprattutto i professionisti che operano al di fuori del ministero. Una definizione della figura professionale, garantita da una forte associazione professionale, tutelerebbe gli archeologi, sia dal punto di vista professionale che nei rapporti lavorativi. Questo avrebbe effetti positivi sull’intero contesto professionale e scientifico. Gli archeologi che operano sul campo sono l’avanguardia della tutela, operano secondo criteri scientifici, spesso in situazioni estreme. Migliorare le condizioni lavorative, avere delle tutele professionali equivarrebbe a tutelare il nostro patrimonio. Dunque avrebbe un positivo effetto sulla tutela dei beni archeologici del Paese. In questo senso la figura dell’archeologo acquisisce una dimensione pubblica notevole ed è paradossale che nel 2014 non esista un documento che ne delinei la figura professionale. Da qui dovrebbe nascere una forte coscienza di categoria e una maggiore e più importante collaborazione con i colleghi del MiBACT.

 

 

Negli ultimi tempi si è evidenziata una maggiore attenzione da parte delle diverse parti in campo (politica, associazioni professionali, mondo accademico, singoli professionisti) verso i problemi delle professioni culturali. Ad oggi però, al di là dell’approvazione alla Camera della pdl 362, non si sono visti ancora interventi decisivi per migliorare le condizioni lavorative dei professionisti del settore. Quali sono, secondo te, le battaglie da portare avanti oggi per noi professionisti? (es volontariato, codice appalti, norma Uni, etc.)

 

 

Una struttura che rappresenti la nostra professione risulta indispensabile, ovvero un’associazione di categoria. In questo, un grosso aiuto ci è stato fornito dalla legge 4/2013 sulle professioni non regolamentate da ordine od albo. Questa ne prevede la definizione attraverso una norma UNI, e associazioni di categoria che se ne facciano garanti. In tal senso la CNAP, insieme a CIA e FAP, sta perseguendo il percorso realizzando una norma UNI (che corrisponde alla definizione della professione e dei suoi ambiti di intervento) strutturata secondo i livelli dell’European Qualification Framework (EQF) in base a requisiti di titoli, competenze e abilità. Con una struttura del genere, definita secondo termini di legge, potremmo affrontare il gravoso problema dei contratti, la tutela professionale, interloquire col MiBACT per una maggiore capacità di intervento, col MIUR per integrare e aggiornare la formazione dei professionisti.

 

Sono contrario al volontariato, in particolare se utilizzato per sostituire i professionisti: l’archeologia è una scienza che richiede un’alta professionalità da parte di chi vi opera e questa va riconosciuta. Operiamo su beni culturali, beni pubblici, e la mia idea è che gli interventi sui beni archeologici debbano essere regolamentati diversamente, rispetto all’attuale codice dei contratti. Penso che quando si stanziano fondi per un’opera pubblica, una percentuale fissa, l’1-2%, debba essere destinata alle attività relative ai beni culturali, scavi, restauri, etc, senza la mannaia dei ribassi. In tal modo avremmo anche numerosi fondi da destinare alla tutela.
Oggi ci si trova spesso di fronte ad una bassissima qualità scientifica e a condizioni contrattuali al limite della dignità per chi opera: e le due cose sono strettamente interdipendenti.

 

 

È innegabile che ci siano tre anime da conciliare nell’archeologia italiana: università, ministero e professionisti. La quadratura del cerchio ti sembra più o meno vicina che in passato?

 

 

Rispetto al passato il ventaglio di archeologi delle tre anime aperte ad una conciliazione è molto più ampio. In questo ha aiutato il cambio generazionale che sta avvenendo nel MiBACT e nel MIUR. Tra i professionisti c’è stata sempre una chiara apertura in questo senso, anche se inficiata da una altissima “mortalità” professionale. Penso che i tempi siano maturi, anche perché c’è il rischio di perdere un’occasione quasi unica, agevolata da una classe di professionisti di altissima qualità, costituita dalle generazioni dei nati fra la seconda metà degli anni ’60 e gli anni ’70, operanti in tutti e tre i contesti. Dobbiamo impegnarci a ridurre i tempi, proprio per salvaguardare la nostra professionalità e la nostra esperienza.

 

 

Nota dolente: la formazione universitaria. I laureati o specializzati in discipline archeologiche hanno, a tuo parere, gli strumenti per entrare nel mondo del lavoro? Dove bisognerebbe intervenire? Cosa manca e cosa invece ci rende eccellenza?

 

 

Al momento, la formazione universitaria risulta piuttosto carente riguardo alla parte pratica. In particolare è poco formativa nel settore dell’archeologia pubblica, ovvero la parte preventiva, preliminare e di scavo d’emergenza. Purtroppo il contesto lavorativo richiede tempi e modi diversi. In questo l’università dovrebbe, a mio avviso, aprirsi ad una stretta collaborazione col mondo dei professionisti. Un esempio classico è la fase preliminare: far fare l’assistenza ad un giovane collega neolaureato senza esperienza significa mandarlo allo sbaraglio. Ritengo comunque che la formazione offerta dalle università italiane costituisca tuttora un’eccellenza, da integrare e rendere ancora più di qualità attraverso maggiore attività pratica, rispondente alle esigenze del mondo del lavoro: per esempio un contratto di apprendistato potrebbe integrare le fasi finali del percorso formativo.

 

 

Ultima domanda: chi può definirsi secondo te “archeologo”?

 

L’archeologo è un professionista, con un’adeguata formazione universitaria, integrata dall’esperienza acquisita, che opera sui beni culturali in maniera scientifica. Che abbia una forte cognizione del suo ruolo pubblico, perché i beni culturali sono beni comuni, perché indaga il passato e lo rende fruibile, stimolando e cementando il senso di appartenenza ad una comunità di tutti gli individui che vi appartengono.

 

Paola Romi (@opuspaulicium)

Antonia Falcone (@antoniafalcone)