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Di piramidi, tirocini e tweet: beni culturali e la politica dello spot

Sono strani questi giorni tra maggio e giugno per i beni culturali italiani, strani e pieni di notizie e annunci.

 

Provo a fare un riassunto e a proporre qualche riflessione.

 

Il 26 maggio viene inaugurata la mostra “Pompei e l’Europa. 1748-1943”, articolata in due sedi, al Museo Archeologico Nazionale di Napoli e agli scavi di Pompei, e per la quale è stato creato un apposito (e non particolarmente bello, ma questi son gusti personali) sito internet, nonostante la Soprintendenza Speciale per Pompei, Ercolano e Stabia abbia già un bel portale ricco di notizie e approfondimenti. A Pompei la sede scelta è l’anfiteatro, dove più o meno dalla sera alla mattina è comparsa una strana piramide che dovrebbe rappresentare il Vesuvio, ma che lascia perplessa persino la stampa inglese. All’interno, sospesi a mezz’aria su sostegni in metallo quasi fossero opere d’arte contemporanee, venti degli 86 calchi restaurati delle vittime dell’eruzione del 79 d.C., in una scelta espositiva quanto meno di dubbio gusto, figuriamoci definirne il valore storico-scientifico.

 

Il 30 maggio il Ministro Dario Franceschini scrive su Twitter:

 

 

Pochi giorni e viene rivelato che i tirocini, finanziati dal Fondo 1000 giovani, saranno rivolti a laureati di età inferiore ai 29 anni e avranno un compenso lordo di 1000 Euro al mese, che in tempo di crisi non sono male. E poi sono sei mesi a Pompei. Come esperienza dopo la laurea, vuoi mettere?

 

Il 2 giugno in occasione della Festa della Repubblica, viene ufficialmente annunciata una notizia che circolava già da qualche giorno: dal 23 giugno il Quirinale sarà aperto cinque giorni su sette e non più solo la domenica, con due percorsi di visita da prenotare online con almeno sei giorni di anticipo e la possibilità di usufruire di una guida, che sarà affidata a volontari del Touring Club e studenti de La Sapienza, anche loro volontari. Oltre a prevedere il divieto di introduzione di oggetti contundenti, zaini ingombranti e apparecchi fotografici (come la mettiamo con gli smartphone? ), le nuove regole escludono le guide abilitate, che non potranno più accompagnare gruppi di visitatori, ma entrare solo come privati cittadini. Naturalmente, la protesta, su Twitter, non si è fatta aspettare.

 

Lo scorso mercoledì 3 giugno, l’ANSA fa sapere che dopo i Pink Floyd saranno i ragazzi de Il Volo, fenomeno mondiale e vincitori dell’ultimo Festival di Sanremo, il secondo gruppo musicale ad esibirsi negli scavi Pompei, dove la prossima settimana registreranno uno speciale per la TV americana PBS, perché si sa, i luoghi comuni sull’Italia e l’italianità son duri a morire e ogni tanto è il caso di riproporli.

 

Lo stesso giorno, ma in serata, così c’è stato tempo di digerire meglio la prima notizia, arriva un altro annuncio via Twitter del Ministro Franceschini e per un momento, lo confesso, ho pensato (e forse sperato) che fosse il risultato di una violazione di account.

 


L’ironia è davvero troppo facile, e del resto, se c’è qualcosa che noi italiani abbiamo in sovrabbondanza, è proprio quella (questa è la mia risposta preferita).

 

Infine venerdì (il 5 giugno), il Ministro ha fatto sapere che l’idea di cui si era molto parlato quest’autunno, quella di ricostruire l’arena del Colosseo, ispirata da Daniele Manacorda, diventerà realtà: il bando sarà internazionale e secondo le previsioni i lavori dureranno 5 anni e saranno finanziati per circa 20 milioni di euro, la gran parte dei quali fondi pubblici. Nel frattempo, quasi a dare un’assaggio di quel che verrà, è stato ricostruito e verrà presto inserito nel percorso di visita al pubblico, uno dei 28 montacarichi che trasportavano gli animali feroci nell’arena. Una bella storia di archeologia sperimentale questa, nata quasi per caso due anni fa, quando la Providence Pictures, casa di produzione americana, propose la ricostruzione del montacarichi per il documentario Colosseum-Roman death trap del regista Gary Glassman, assumendosi i costi dell’intera operazione (qui il comunicato stampa del MiBACT).

 

Tante notizie, insomma, in questi giorni che scivolano lentamente verso l’estate, che toccano alcuni dei luoghi più rappresentativi del patrimonio culturale italiano, e che, al di là dei contenuti specifici, mettono in luce, se mai ce ne fosse bisogno, che la politica culturale in Italia si fonda ormai su due linee d’azione.

 

Da un lato “grandi eventi spot”, su cui riversare tanti bei soldi, spesso pubblici, ma anche, sempre più di frequente, privati, il che non è affatto una cattiva notizia, almeno a mio modo di vedere, purché i termini siano chiari e si tenga presente il valore intrinseco del bene su cui si va ad intervenire. Essendo “spot”, però, tali interventi tendono spesso a riguardare pochi monumenti ben noti, assurti a simbolo del nostro paese (“il Colosseo nella sua grandiosità è simbolo non soltanto di Roma ma di tutta l’Italia”, dice Franceschini nell’annunciare il progetto dell’arena), mentre tanti luoghi storici e aree archeologiche versano nelle condizioni che tutti conosciamo. A volte, come la futura Biblioteca Nazionale degli Inediti (Sarà un luogo fisico? Dove nascerà? Chi deciderà quali libri conservarci? I miei diari di adolescente saranno accettati?) o la strana mostra dell’anfiteatro di Pompei, i risultati di certe operazioni sono talmente fuori dal mondo e dalla logica che l’unica reazione è questa qua.

 

La logica dei grandi eventi, è anche la logica dei grandi numeri, e così, sempre il ministro Franceschini e sempre su Twitter, sbandiera, ad esempio, “i numeri da capogiro”, dei visitatori degli scavi di Pompei, della Reggia di Caserta e del Colosseo durante l’appuntamento mensile della #DomenicalMuseo, tanto numerosi da mettere a rischio persino l’integrità stessa dei luoghi, letteralmente assaliti da migliaia di persone. Ma siamo sicuri che grandi folle siano sinonimi di “successo”? E che sia questo tipo di successo quello di cui il nostro patrimonio culturale e noi italiani abbiamo bisogno?

 

Dall’altro lato, e sembra quasi un controsenso ma non lo è se la logica che ti guida è lo “spot”, si punta chiaramente al risparmio sulle professionalità.

 

Così il volontario sostituisce il professionista e i fondi a disposizione sono usati per assunzioni anch’esse, in fondo, un po’ “spot”, perché un tirocinio di sei mesi, benché retribuito, non è lavoro, e perché con la frequenza con cui queste forme di lavoro vengono proposte esse diventano a tutti gli effetti una soluzione reiterata di reclutamento a basso costo.

 

Niente di nuovo sotto il sole, davvero, ma il tutto si tinge di un po’ di amarezza, se, alla fine di una nuova presentazione del libro Archeostorie (giovedì scorso a Cosenza, in una bella mattinata piena di spunti e di sano ottimismo), ti ritrovi a parlare con un piccolo gruppo di archeologi che ti rivelano di “aver mollato” o che ricordano colleghi, validi e preparati, che “non ce la facevano più”, che hanno “ripiegato” su altro e ora non fanno più gli archeologi.

 

Quante storie così conosciamo?

 

La domanda, alla fine, è sempre la stessa.

 

Cosa vogliamo farci, noi, con i nostri beni culturali?

 

Vogliamo che siano petrolio, che mette in moto e brucia e si consuma (e inquina)? Perché politica dello spot per me significa questo: è l’inseguire una visibilità che si spera si traduca in ricaduta e sviluppo economico ma che non lo farà perché dietro manca una progettualità coerente.

 

Oppure vogliamo che il nostro patrimonio culturale sia humus, da proteggere e conservare, sì, ma anche da studiare e conoscere, da valorizzare e grazie al quale costruire nuova cultura, nuovo sviluppo sostenibile, comunità vere radicate nel territorio? 

 

E su cosa vogliamo puntare se non sulle persone, sulle competenze, sull’innovazione, sulla creatività, sulla loro passione?

 

Io la mia risposta ce l’ho, ma devo dirlo, certe volte, non è per niente facile.

 

domenica_pate

Giano bifronte: #verybello e la comunicazione culturale made in Italy

Comunicazione culturale, comunicazione museale, comunicazione turistica, comunicazione istituzionale.

 

Lo abbiamo detto tante volte. La cultura va comunicata e va fatto seriamente e consapevolmente.

 

Eppure, non tutti l’hanno capito.

 

È sabato pomeriggio e STUMP! Arriva una sorpresa: www.verybello.it. Un nome, una garanzia.

 

Uno schiaffo in faccia a tutti quelli, e sono tanti, che da tempo sottolineano l’importanza di una strategia di comunicazione dei beni culturali (per esempio, ne abbiamo parlato diffusamente a Paestum durante la Borsa Internazionale del Turismo Archeologico: qui i video dell’incontro degli archeoblogger che parlano di comunicazione in archeologia).

 

Le porte del tempio di Giano si sono spalancate di nuovo.

 

La nuova faccia della bellicosa divinità bifronte, dall’alto di #Expo2015, ci ricorda quanta strada ci sia ancora da fare nel nostro Paese.

 

O meglio, in alcune realtà del nostro Paese: perché in molte altre la comunicazione museale e culturale funziona. Eccome.

 

Funziona e cresce, grazie al lavoro per lo più volontario di professionisti inquadrati nell’organico con altre mansioni nei non molto reconditi meandri del MiBACT. Facciamo i nomi?

 

Sì, facciamoli.

 

I Musei Archeologici Fiorentini, le Soprintendenze per i Beni Archeologici di Liguria e Toscana, lo scavo della Terramara di Pilastri, tra molti altri.

 

Funziona e cresce nelle università, come anche grazie all’impegno e alla cura delle associazioni e o per merito di private iniziative: si vedano, ad esempio, il sito dello scavo di Vignale, l’attività dell’Associazione Piccoli Musei, #svegliamuseo.

 

La comunicazione della cultura ha già raggiunto livelli degni degli standard mondiali più alti in alcuni casi, pensiamo ai musei torinesi ed in particolare al museo Egizio. Descrivere la qualità, la diversificazione e la fantasia delle attività di una struttura, che tra l’altro è in corso di ristrutturazione, risulterebbe di certo riduttivo, quindi vi invitiamo a visitare il sito www.museoegizio.it e vedrete come quest’istituzione, affidata alle cure del Direttore Christian Greco, non solo comunica, ma è anche capace di raccontarsi. Hanno persino promosso la campagna #egizio2015 che lancia la riapertura dopo un corposo “restyling” e riesce in pieno negli obbiettivi di incuriosire ed attrarre.

 

Insomma, quando vogliamo, in piccolo o in grande, quasi “aggratis” o con ampi finanziamenti, produciamo ottime campagne di comunicazione.

 

Ma certe volte…

 

Certe volte escono cose come Very Bello, che sembrerebbe una battuta di un vecchio film di Verdone o l’inglese arrancante e un po’ comico di Fantozzi, e invece è il titolo di un portale del MiBACT che ben due ministri hanno presentato sabato in pompa magna a tutta la stampa: “VeryBello! Tutta la ricchezza dell’offerta culturale italiana da maggio a ottobre 2015.”

 

Ma, ahinoi, il nome è solo l’inizio.

 

Lo facciamo un attimo il punto su questo portale, nato come aggregatore di eventi culturali in giro per l’Italia per la durata di Expo2015?

 

•   Al lancio l’immagine di copertina comprendeva Francia meridionale e stati dell’ex Jugoslavia, ma non parte della Calabria e la Sicilia. Da ieri è cambiata e ci sono anche Calabria e Sicilia. Mmm… grazie?

•   Il sito è lento, si blocca spesso e non funziona o non funziona bene da smartphone, almeno alle sottoscritte.

•   È solo in italiano, cosa quanto meno bislacca visto che il sito dovrebbe servire a promuovere la cultura italiana in vista dell’Expo2015, evento internazionale. L’inglese, pare, is coming soon (Nel frattempo potete dare un’occhiata a questo link). Sabato leggevamo di almeno altre 7 lingue, che saranno disponibili da febbraio. Sarà vero?

 

Andiamo ai contenuti.

 

Il sito è un aggregatore, dicevamo. Come avvenga l’aggregazione dei contenuti non si capisce. C’è chi si spulcia internet e carica i contenuti di volta in volta? Su segnalazione? Ci saranno tutti gli eventi? O forse c’è un sistema di raccolta automatica? (Ok, questa forse è fantascienza).

 

•   Gli eventi sono divisi in categorie che è possibile selezionare da un menù a scaletta. Però è difficile trovare una logica a queste categorie. Per esempio, perché il jazz non sta nella categoria musica e concerti? E perché l’opera è divisa dal teatro? La categoria bambini riunisce un po’ di tutto, da contenuti effettivamente dedicati ai più piccoli, agli acquari e bioparchi, ad eventi legati al cibo.

•   Essendo una lista di “eventi” non esiste una categoria musei o aree archeologiche, il che vuol dire, quindi, che le aree archeologiche sono escluse dalla lista dell’offerta culturale italiana nell’anno dell’Expo2015 a meno che non ospitino una mostra o un festival? Se non fai un evento non fai cultura?

•   Si può effettuare una ricerca per luogo: nella barra in alto si inserisce il nome di una città (o provincia) ed ecco la lista degli eventi, ma attenzione: non esiste la possibilità di fare una ricerca per regione, cosa utile visto che magari uno straniero, già che c’è in Italia, visita più città, o si sposta sul territorio (ma tanto la lingua è l’italiano, quindi al momento il problema non si pone, no?)

•   E a proposito di ricerca per luogo, non posso farne due di seguito senza passare dal via, ovvero, se consulto gli eventi di Lecce e poi voglio vedere quelli di Taranto (perché non posso cercare quelli di tutta la Puglia, vedi sopra), devo prima tornare in homepage e poi inserire la nuova città.

•   Se usate la ricerca per luogo, state attenti: si tratta di una ricerca per parola nuda e cruda, e non, ad esempio per tag o su base geografica, per cui, ad esempio, se volete sapere che fanno in ad Asti nel corso dell’anno avrete tra i risultati anche la Mostra storica per i 70 anni dalla Liberazione al Museo del Territorio Biellese, nel Chiostro di San SebASTIano, a Biella. Vabbè, direte, in fondo sempre in Piemonte stiamo.

•   A meno che, ovviamente, la mappa di Google Maps che sta accanto ad ogni evento non rimandi al continente sbagliato, come accade appunto ad Asti, che almeno in un caso è collocato in India (rimando ad Ashti Nagar, be’ dai, era facile sbagliarsi, più o meno).

 

Cosa c’è nelle schede dei singoli eventi?

 

Poco, pochissimo.

 

Il nome dell’iniziativa, il luogo, la mappa di Google di cui dicevamo, una sagomina dell’Italia, ma grigia, che dovessimo fare che coloriamo la regione di pertinenza dell’evento. Diventa tutto troppo user-friendly.

 

Non c’è un recapito telefonico, ma solo il rinvio alle pagine web ufficiali degli eventi.

 

E i contenuti? Copincollati, ovviamente, perché non è che ci sforziamo di scrivere ex-novo (Alex D’Amore, qui, porta un esempio che fa riflettere).

 

Ci sono poi i button dei social network (Facebook e Twitter, non esageriamo) che però non rimandano agli account ufficiali degli eventi (che magari, lo concediamo, non esistono), ma ti consentono di pubblicare sui tuoi profili social il link all’evento sul sito, il che, sarà ottimo per pubblicizzare gli eventi stessi, ma è di poca utilità a chi cerca di reperire informazioni.

 

Ci sarebbe altro da dire, ma francamente, non ne abbiamo voglia. Altri, più bravi di noi, stanno trovando ulteriori problemi, dalla navigabilità, alle foto sbagliate, al server usato, al fatto che un sito che dovrebbe attirare grandi volumi di traffico non ha retto il colpo nelle prime ore dalla messa online (alcuni link di approfondimento in fondo al post).

 

Tante cose saranno pian piano sistemate e sostituite (si spera) come è stato per l’immagine iniziale, ma quello che emerge è che il sito è una versione poco più che beta, perfezionabile, non finita.

 

E allora che senso ha lanciare una cosa non finita? Perché non aspettare di controllare tutto per bene, di inserire almeno l’inglese, di evitare certi errori quanto meno imbarazzanti?

 

E chi è il genio che ha partorito questo nome allucinante? E chi è il genio che ha detto ‘ok’?

 

Ecco, allora cerchiamo di capire, che cos’è la comunicazione culturale in Italia.
Giano dicevamo, perché è così. Qui da noi ha due facce.

 

Da un lato il colorato laboratorio pieno di iniziative, alcune migliori di altre, ma sicuramente vivo, autocritico e pieno di idee. Una fucina da cui iniziano, anche in ambito archeologico, ad uscire prodotti di pregio, come succede al Museo Egizio di Torino.

 

L’altra faccia del bellicoso Giano, invece, è una polverosa Wunderkammer dove si aggirano direttori, ministri e personalità di vario genere che magnificano contenuti che non sembrano capire, anzi, contenuti che certe volte, a dirla tutta, non ci sono.

 

Capiamolo, per favore, una volta per tutta, signori politici e dirigenti e ministri di casa nostra.

 

Le politiche culturali vanno prese sul serio.

 

La valorizzazione non è un “di più”, ma un bisogno strutturale di questo Paese.

 

E ribadiamo, anche, che non è vero che le forze per cambiare marcia vanno prese solo all’estero, perché le capacità, le buone pratiche e le energie ci sono. Basta mettersi in testa che la cultura non è un passatempo per signori e signore annoiate, guardarsi intorno e confrontarsi con chi, forse, ne capisce un po’ di più.

 

 

Domenica Pate (@domenica_pate)

Paola Romi (@OpusPaulicium)

 

 [articolo finito di editare alle ore 23.00 del 25 gennaio 2015]

 

*

 

Per saperne di più:

 

VeryBello, come trasformare una disfatta in opportunità

#VeryBello: le mie considerazioni tecniche

Ci vorrebbe il napalm

verybello.it: presto e bene non vanno insieme

 

 

Ma ci prendete in giro?

Era tutto un bluff. Il grande bluff.

 

Certo, anche noi che ci volevamo credere!

 

Ma davvero il neo ministro appena nominato poteva uscirsene con una dichiarazione che non fosse aria fritta?

 

“Il Ministero dei Beni Culturali è il più importante ministero economico del Paese” e bla bla bla bla.

 

E così in tutte le interviste e gli interventi pubblici. A farci credere che i momenti bui erano al capolinea, che adesso sì che si investirà in cultura, che il punto di svolta era ad un passo.

 

Dopo la vicenda #500schiavi nella quale era rimasto imbrigliato il predecessore Massimo Bray, confidavamo tutti in maggiore attenzione ai proclami.

 

Non che proprio ci dovessero dire la verità del tipo “Non ci sono i soldi, non c’è neanche la volontà, fosse per noi italiani estiqaatsi dei beni culturali ma è l’Europa che ce lo chiede, sennò ci vengono a commissariare per palese inadempienza”.

 

Voglio dire, siamo capaci di tenere chiuso il Mausoleo di Augusto in occasione del bimillenario della morte e di non fare uno straccio di politica turistica che aiuterebbe a riempire le casse del comune di Roma, figuriamoci se davvero pensiamo di investire nei beni culturali. Suvvia, sono cose che si dicono, tipo le frasi fatte sul tempo “che bella giornata, oggi fa freddino, domani sarà umido”.

 

Ecco, io non dico che ce la dovevano dire proprio così la verità.

 

Però neanche prenderci per sprovveduti. Tutto sommato abbiamo lauree, specializzazioni, dottorati che non servono a nulla quando cerchi lavoro, ma sono abbastanza per capire certe cose. E poi siamo anche abituati.

 

Perché ad oggi, di politiche per i beni culturali che possano creare posti di lavoro non se ne sono viste. Al contrario si è visto che l’unica direzione verso cui si stanno rivolgendo tutti gli sforzi di enti locali e governo centrale è una sola: il volontariato.

 

E’ di ieri la notizia che “il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini e il Sottosegretario di Stato del Ministero del Lavoro, Luigi Bobba hanno stipulato un protocollo di intesa che prevede la realizzazione di progetti di servizio civile nazionale per promuovere lo svolgimento di attività di tutela, fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale”.

 

Cioè la promozione delle attività di tutela, fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale la facciamo fare a giovani tra 18 e 28 anni in cambio di pochi spicci.

 

Giusto per il biglietto del cinema e per pizza e birra nel weekend.

 

 

@antoniafalcone