#AmoriDivini: quando il mito racconta l’amore
Iniziamo da Pollon. Sì proprio lei, protagonista del cartone animato degli anni 80 che tutti ricordiamo con un misto di affetto e nostalgia. Quanti di noi da bambini si sono avvicinati al mito seguendo le avventure della piccola Pollon e della sua sgangherata famiglia, scoprendo le storie di Apollo e Dafne o di Zeus ed Europa? E quanto ci sembravano umane queste divinità sempre pronte a cacciarsi nei guai e a bisticciare tra di loro?
Perché il bello della mitologia classica è proprio questo: avvicinarci agli dei, sentirli vicini con i loro difetti, le loro debolezze, i loro sentimenti. Metà uomini, metà divinità. Il riflesso delle umane passioni trasfigurate nel divino, nell’immortalità, nelle “magie” e metamorfosi, impossibili per gli esseri umani. Una sovrapposizione che alla fine diventa partecipazione. Ma soprattutto la mitologia con le sue storie serve a spiegare le origini, i cambiamenti, tutto quello che apparentemente sembra inspiegabile.
Il mito non si è fermato con la fine del paganesimo, anzi. È mutato nei secoli, è diventato materia fertile per la letteratura e per l’arte, è arrivato fino a noi che ancora oggi, guardando una pianta di alloro, pensiamo alla triste vicenda di Dafne, costretta a restare per sempre imprigionata alla terra con le sue radici per fuggire ai capricci del dio Apollo. La mitologia suggerisce, evoca, ricorda e soprattutto racconta.
Conosciamo tutti le rappresentazioni di Europa seduta sul toro o di Leda che abbraccia il cigno o di Narciso che si specchia nelle acque, sono parte del nostro immaginario. Eppure sono suggestioni che vengono da un tempo lontano e che sono arrivate fino a noi trasformandosi nei secoli.
La trasformazione è proprio al centro della mostra Amori Divini, in corso al Museo Archeologico Nazionale di Napoli fino al 16 ottobre 2017, curata da Anna Anguissola e Carmela Capaldi con l’organizzazione di Electa e l’allestimento di stARTT .
Un viaggio negli amori mitologici, dalla tradizione greca al mondo romano fino all’arte di età moderna, in un continuo rimando di immagini e storie che raccontano l’amore: improvviso e rapito, concesso o negato, con il suo corollario di seduzione, fascino e follia.
Il percorso è articolato in quattro sezioni: La materia del mito, Il dio muta forma, Il dio trasforma, Corpo e spirito con il fil rouge delle Metamorfosi di Ovidio, opera omnia in cui l’autore latino ci ha tramandato origini e sviluppo dei miti dell’antichità greco-romana.
L’esposizione si concentra da una parte sull’approfondimento delle iconografie meno note dei racconti mitologici e dall’altra suggerisce quanto fosse pervasiva l’arte del racconto in antico. La vita quotidiana dei greci e dei romani era costantemente accompagnata dalla rappresentazione delle storie: in mostra ci sono pitture pompeiane che adornavano le domus della città vesuviana e che scandivano i momenti di socialità nei triclini o nei cubicoli; specchi e gemme intagliate con immagini iconiche di episodi del mito. Una narrazione onnipresente, un linguaggio non verbale perfettamente comprensibile da tutti in grado di richiamare sentimenti, religiosità, passioni, modelli di comportamento e moniti.
Il racconto per immagini tende a catturare alcuni momenti topici delle storie che spesso sono raccontati in registri sovrapposti sulle superfici dei vasi a figure rosse, come in questo esempio dal Getty Museum, attribuita al Pittore del Louvre dove troviamo la rappresentazione del mito di Leda e il Cigno.
Molti dei miti antichi hanno una forte componente di pathos e tragicità che difficilmente troviamo raffigurati in tutta la loro enfasi. Ecco perché non si può che rimanere allibiti di fronte a questo capolavoro pittorico su un piccolo vaso di un ceramografo di scuola tarantina che cristallizza il terrore di Callisto nel momento esatto in cui scopre, guardandosi le mani, che ha inizio la sua trasformazione in orsa: “le braccia cominciarono a farsi ispide di nero pelo, le mani a curvarsi, a crescere diventando unghie adunche”, proprio come ce lo racconta Ovidio.
Le scene mitologiche hanno inoltre una caratterizzazione paesaggistica che immerge i protagonisti in scenari boschivi, bucolici. A volte basta l’accenno di un albero o del fogliame a richiamare lo scenario in cui si svolgono i fatti narrati, come vediamo nelle pitture pompeiane.
Questo stesso stile si ritrova nelle rappresentazioni pittoriche di età moderna, dove i protagonisti del mito sono isolati in quadretti di genere e dunque è la natura a fare da fondale alle avventure di ninfe e divinità, esprimendo anch’essa con la sua presenza sentimenti e passioni.
Il percorso non poteva chiudersi che con gli emblemi dell’amore negato: Narciso ed Ermafrodito, entrambi vittime di passioni trascinanti. L’uno sarà costretto a contemplare per sempre se stesso, l’altro si unirà in un abbraccio eterno con Salmacide, diventando metà uomo e metà donna. Miti che hanno avuto estrema fortuna in età romana e in età moderna (chi non ha associato all’immagine di Narciso il quadro di Caravaggio alzi la mano) perché emblemi della negazione dell’amore, uomini che si sono sottratti all’amore carnale delle ninfe e che per questo sono stati puniti dalla divinità.
Passeggiare tra le sale della mostra è un continuo viaggio tra passato e presente, perché è vero che i vasi a figure rosse, le opere di statuaria, le suppellettili, le gemme ci parlano di epici racconti del passato, ma inevitabilmente fanno correre il nostro pensiero agli impulsi umani che quelle storie evocano e che fanno parte della nostra vita di tutti i giorni: l’amore, l’invidia, il tradimento, la sofferenza, il rifiuto.
Il senso dell’arte è proprio questo, ritrovare il presente nel linguaggio del passato.
Sul blog Archeokids trovate la recensione, a misura di bambino, della mostra.
Qui invece trovate l’analisi delle interazioni Twitter sull’hashtag #AmoriDivini sviluppate durante il blogtour al Museo 👉 https://www.tweetbinder.com/rsm/LGaRf3ew1Pi
Antonia Falcone
(@antoniafalcone)
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