#ColtiNellaRete: l’innovazione culturale passa dal digitale
Un invito inaspettato per un evento ai confini della realtà. Eh sì perché trovarsi insieme ad altri nove relatori a discutere di condivisione, partecipazione, engagement e istituzioni culturali nel mondo digitale fino a qualche anno fa sembrava cosa da visionari. Oggi per fortuna i visionari sono tra noi e organizzano appuntamenti in grado di raccogliere consensi e attenzione.
A Trieste, il 16 maggio al Museo Revoltella si è tenuto #ColtiNellarete, un evento in cui a raccontare le eccellenze del digitale in ambito culturale sono stati chiamati a raccolta innovatori, community manager, social media manager, storyteller.
Cioè coloro che l’innovazione la fanno quotidianamente e la sperimentano sulla propria pelle, che, ogni giorno, armati di tablet, smarphone e pc raccontano la cultura in rete, subiscono gli attacchi degli hater, inventano nuove forme di comunicazione e si divertono nel farlo.
Spesso professionalità ibride, nate sulla traiettoria di percorsi accademici standard, poi abbandonati per ritrovarsi nel mezzo di un cammino tortuoso fatto di aggiornamento e confronto continuo.
“Per indagare tutti questi aspetti e offrire agli operatori culturali della regione la possibilità di confrontarsi con esperienze di eccellenza a livello nazionale, l’Istituto regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia (IPAC), insieme al progetto di racconto territoriale Trieste Social e in collaborazione con Accademia digitale fvg (INSIEL) e il Comune di Trieste, promuove una giornata di approfondimento su progetti innovativi di comunicazione digitale che sono stati realizzati in Italia per valorizzare comunicare il patrimonio culturale”.
Questo il disclaimer di Colti Nella Rete, una giornata che si inserisce all’interno del percorso di formazione sulle competenze digitali degli operatori culturali del Friuli Venezia Giulia #culturavivafvg. FVGRaccontare i beni comuni attraverso la rete, promosso dall’IPAC.
A interrogarsi sulle nuove sfide che attendono i musei è Carlotta Margarone, communication manager alla Fondazione Torino Musei. Carlotta punta in alto, guarda all’universo di definizioni approssimative, parziali di museo e rivendica la necessità di superarle, di rivedere drasticamente la nostra idea di museo, di elaborare una nuova identità di luoghi che sono prima di tutto esperienza sociale. E ci conduce a Palazzo Madama, agli esperimenti di social eating, al crowdfunding del servizio D’Azeglio in cui la raccolta fondi si è rivelata organica rispetto all’attività social (esempio da utilizzare con chi vi chiede: a cosa servono i social per la cultura?).
“Forse è il momento di dare per scontato il digitale e pensare strategicamente”: se cercate l’innovazione la trovate in queste parole di Carlotta.
Quando si parla di gamification il nome da fare è quello di Fabio Viola, nato archeologo, diventato guru della comunicazione culturale attraverso il gaming. Platea in religioso silenzio che vede scorrere davanti agli occhi i tristemente noti dati sulla presenza digitale dei musei italiani: 50% dei luoghi della cultura senza sito web; un misero 3% dotato di app mobile e solo un 5% che dispone di servizi di acquisto online di biglietti/merchandising/visite guidate. Ma questo non è il luogo giusto per le lamentationes e Fabio va oltre il dato statistico: propone soluzioni, idee, nuove (per noi) metodologie di ingaggio per target di pubblico in crescita (ragazzi, famiglie, bambini, millennials). Reinventarsi è il segreto del successo, scommettere, osare quello che fino a un decennio fa era impensabile. È così che l’innovazione smette di essere un mantra e diventa pratica quotidiana.
Dal nord al sud il museo come luogo di partecipazione e co-creazione è il Museo Salinas di Palermo con la sua strategia digitale presentata da Sandro Garrubbo, dilettante di professione. E l’attenzione è rapita subito dalle premesse inusuali: museo chiuso, senza telefono e senza connessione internet, un comunicatore di professione alle prese con l’archeologia e i suoi mondi immaginifici. Il risultato è #socialmedita: riflessioni e buone pratiche per comunicare un museo Aperto per Vocazione. La comunicazione con il pubblico diventa mission insostituibile, ricerca continua di filoni di storytellig insoliti. Battere nuove strade per umanizzare ciò che è frutto dell’uomo, arrivato fino a noi dopo secoli sotto forma di terracotta e bronzo, divinità e mitologia.
Invasioni Digitali, conferenze, contenuti visual tutto si interseca per rendere tangibile il lascito intellettuale di Antonino Salinas “Secondo il mio concetto, il museo ha da essere scuola; se ne vogliono fare un carcere di monumenti, allora comprino chiavistelli e chiamino un buon carceriere”.
Il sistema dei Musei in Comune raccontato da Silvia Bendinelli non ha bisogno di presentazioni: una presenza capillare in rete fatta di account, contest, eventi pensati in modo specifico per utenti virtuali che si trasformano in visitatori reali. Da Twitter a Facebook passando per Instagram e Youtube, la strategia digitale diversifica e coinvolge attraverso la narrazione di ben ventuno musei molto diversi tra loro. Elementi vincenti la programmazione dei contenuti e una brand identity consolidata. E stare in rete significa saper fare community management: rispondere a tutti i commenti, anche quelli più critici, aiuta il museo e gli utenti a creare un fil rouge e una connessione che non è solo di autopromozione, ma di interazione.
Cultura non è solo musei, ci sono anche le biblioteche, luoghi tradizionalmente deputati alla conservazione e diffusione di conoscenza che oggi si scoprono creatori di comunità virtuali. Liù Palmieri porta sul palco l’esperienza di Sala Borsa, storica biblioteca bolognese che ha dovuto inventare nuovi linguaggi e nuovi spazi narrativi. Per esempio con la social tv: c’è Coliandro su Rai2 e allora perché non commentare la puntata su Twitter attraverso consigli di lettura e interazione in real time? La biblioteca che non ti aspetti è un orizzonte dove guardare come best practice del connubio contenuti-veicolo di diffusione.
Qual è la reputazione online dei musei italiani? E soprattutto è possibile misurarla? Questa la sfida lanciata da Mirko Lalli con Travel Appeal, basato su un algoritmo proprietario che ambisce a valutare la percezione dei visitatori rispetto ai musei. Un sistema sperimentato in ambito di accoglienza turistica che approda al sistema culturale nostrano con la misurazione dell’appeal digitale dei 20 grandi musei nazionali. E a rendere attraenti i musei ci devono essere i contenuti, sia online che offline: contenuti utili, fruibili, originali, coerenti, identitari e autentici.
La valorizzazione dei beni culturali passa anche attraverso i grandi player internazionali al servizio della cultura ed Elisa Bonacini illustra i progetti di Google e izi.Travel. Arrivare dentro i luoghi d’arte da remoto, ascoltare racconti immersivi, partecipare alla generazione di contenuti (User Generated Content), queste le nuove sfide che gli operatori del settore devono saper cogliere. Così come Google Art Project consente di ammirare in alta risoluzione direttamente da casa i capolavori dell’arte, la piattaforma di Izi.Travel permette di avere tutte le guide del mondo su un unico device mobile. La cultura che diventa un sistema diffuso e pervasivo ci interroga sulla necessità di riportare al centro della narrazione culturale parole, immagini ed emozioni attraverso gli strumenti digitali.
L’innovazione si applica anche al mondo delle professioni, quelle che negli ultimi tempi hanno provato con successo a scrollarsi di dosso stereotipi consolidati e polverosi. Cosa hanno in comune linguisti e archeologi? La rispettabilità di professioni che vengono da lontano, che raccontano l’evoluzione della lingua e della storia, che portano con sé immagini in bianco e nero con parole vetuste in filigrana.
Cogliere le opportunità della rete per creare un racconto rispondente all’attualità sta alla base degli esperimenti social dell’Accademia della Crusca, di Professione Archeologo e di Archeopop.
Vera Gheno, Dottore di ricerca in linguistica e a tutt’oggi ricercatrice per la Crusca, è il volto dietro l’account twitter più cool del momento, la social media manager che ha contribuito all’apertura al pubblico di un’istituzione da sempre sinonimo di autorevolezza. È possibile curare un account con migliaia di followers, molti dei quali polemici, interagire e non perdere prestigio? Fare cioè in modo che anche nella gestione delle crisi digitali il tone of voice, i contenuti e il rapporto con gli utenti sia finalizzato a costruire e rafforzare il valore dell’istituzione? Se questo risulta più semplice per i brand commerciali, settore nel quale la comunicazione digitale è ormai sistematizzata, per le istituzioni culturali il segreto sta nell’”autorevole leggerezza” come modus operandi.
E la leggerezza è il mood che contraddistingue l’archeologia che sbarca in rete.
Professione Archeologo nasce come risposta alla domanda: si può raccontare l’archeologia e gli archeologi senza passare per forza da luoghi comuni che ci vedono come Indiana Jones a caccia di nazisti o tristi topi da biblioteca chini su carte polverose? Restituire valore ad una professione tanto osannata e omaggiata ma spesso non compresa è la mission alla base del progetto che si muove tra online e offline come gli archeologi si barcamenano tra un cantiere e l’altro. Stabilire una connessione con un target ben definito di utenti, realizzare contenuti educativi e smart, veicolarli attraverso i social, stimolare la community ad diventare co-creatrice dei contenuti stessi, formare all’uso del digitale per la comunicazione e la divulgazione archeologica, analizzare le best practice e fare networking (dal progetto Archeostickers a Jack e Matrix) sono solo alcuni degli obiettivi centrati fino ad oggi.
Accreditarsi come archeologi che raccontano chi sono gli archeologi in questo millennio, comporta non solo la conoscenza dei new media ma anche piena padronanza della materia, dal vaglio delle fonti al costante aggiornamento.
Stesso tema, approccio diverso: l’archeologia vista da Archeopop, portale fondato da Astrid D’Eredità e dedicato al lato pop della materia. Non solo archeologi, ma archeologia tout court: eventi, mostre, bandi, contenuti originali con un occhio sempre attento alla sperimentazione digitale, dalle Gif alle Infografiche fino al visual storytelling. E allora via con la playlist Spotify dedicata alla musica da ascoltare durante le interminabili ore in cantiere o con la raccolta delle torte a tema archeologico realizzate con la sopraffina arte del cake design. E le rubriche tematiche dedicate al patrimonio archeologico, il tutto condito da un’interazione costante con il pubblico. Perché “If content is King, the Archaeology is Queen”.
Al termine di questa lunga disamina della giornata che ci ha visto coprotagonisti un ringraziamento speciale va a Rita Auriemma dell’IPAC, Giovanna Tinunin e Rosy Russo di Trieste Social e a Gabriella Taddeo di INSIEL.
Donne che, ci piace dirlo, l’innovazione la fanno ogni giorno a colpi di concretezza.
Antonia Falcone
(@antoniafalcone)
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