Who’s who: nuove questioni, vecchi interrogativi, lucide analisi

Grandi domande nella blogosfera, sia sui social che fuori, sulla direzione che l’archeologia deve prendere nel nostro paese. Nuovi e meno nuovi interrogativi nascono dall’analisi delle meritorie iniziative delle Soprintendenze.

 

Ma procediamo con ordine.

 

Ieri Professione Archeologo ha dato spazio all’avviso pubblico “Archivio collaboratori – Banca dati professionisti ed esperti per l’affidamento di incarichi tecnici e di collaborazione tecnica per importi fino a 100,000 euro” della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma. Ottima iniziativa, sintomo della trasparenza e lungimiranza di chi si trova a gestire la tutela in un contesto non esattamente semplice e scevro di problematiche, spesso anche solo squisitamente politiche.

 

La lettura della circolare, tuttavia, ha subito scatenato un vivace e quantomeno doveroso dibattito. Il maggiore vulnus subito rilevato dai colleghi, è stato quello dell’impossibitá, per un archeologo, di iscriversi alle categorie riguardanti progettazione e rilievi. Riservate a professionisti di altra natura, come ingegneri ed architetti, a meno di smentite e cambiamenti futuri, tali attività sembra non possano essere in nessun modo affidate a chi, fra noi, magari al rilievo e all’analisi  tecnica degli edifici antichi ha dedicato la sua formazione nonché la sua vita lavorativa.

 

Riemergono quindi le domande di sempre: chi è Archeologo? Ma soprattutto cosa fa e può fare un Archeologo?

 

Interrogativi chiari ormai, come chiara è la necessità di definire il posto di questo strano professionista nella nostra società.

 

Fatalmente chiarissimo ed illuminante a riguardo il punto fatto sul blog Passato e Futuro, che vi segnaliamo. Ponendo la giusta enfasi sulla necessità di una riforma dell’iter formativo l’autore si chiede infatti, forse con un po’ di scoramento comune ormai a molti di noi, chi debba fare cosa, come debba farlo ed anche perché, ma ci fornisce subito dopo, in nuce, una soluzione: il superamento dell’idealismo che permea tutte le questioni archeologiche in Italia. L’uovo di Colombo? Non siamo scettici, a volte le soluzioni geniali sono quelle semplici.

 

Buona lettura…

Commenti

7 commenti
  1. giuliano
    giuliano dice:

    Grazie per la citazione (il link è questo: http://www.passatoefuturo.com/2013/04/il-giorno-piu-lungo.html)! Il superamento della matrice idealistica del nostro mestiere è una grande opera incompiuta. L’idealismo è stato smantellato in maniera sistematica nello statuto scientifico dell’archeologia con l’avvento della cultura materiale, delle nuove metodologie e delle tante archeologie ‘oltre lo scavo’; e poi? Poi ci si è fermati.
    Non si spiega altrimenti l’incapacità di promuovere una professione. Dal punto di vista della formazione poi, è paradossale. Insegniamo metodologie che sono inapplicabili nella realtà, perché sono insostenibili economicamente: richiedono manodopera, specializzata e numerosa, ma non producono lavoro. Generano risultati scientifici di prim’ordine, ma non producono ricchezza.
    La matrice idealista è evidentissima; non è stata debellata nemmeno nel passaggio alla didattica ‘specialistica’; l’affrancamento dai corsi di laurea in lettere classiche non ha significato un cambio di rotta verso una formazione professionalizzante. D’altronde, l’aggettivo “professionale” nel lessico scolastico italiano è poco meno che un insulto.
    Ed in definitiva, ed è la cosa più grave, è rimasta intatto nella percezione che la società ha del nostro mestiere. Una folle passione votata al sacrificio.

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    • Caterina Ottomano
      Caterina Ottomano dice:

      Come sono in tutto e per tutto con te, Giuliano! Molti dei padri della paletnologia italiana venivano dalle scienze naturali, erano figli del positivismo, e hanno mirabilmente operato secondo un’ottica multidisciplinare di grande modernità. L’idealismo ha spazzato via tutto e ancora oggi, dopo più di 30 anni di archeologia professionale, la professione non solo non è riconoscita, ma è disprezzata ed umiliata. Come saltarne fuori? Solo riformando il sistema universitario, altra strada non la vedo.

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  2. Paola
    Paola dice:

    Giuliano Il tuo post era talmente attuale che non potevamo non rilanciarlo. Siamo quelli delle mezze rivoluzioni noi archeologi. A volte penso che stare in questa sorta di riserva indiana un po’ ci piaccia, ci deresponsabilizzi. Una sorta di sindrome di Peter Pan. Per il resto, hai detto tutto tu. Cosa posso aggiungere? ( il link del tuo articolo è su “buona lettura”. )

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  3. Alessandro
    Alessandro dice:

    Priorità imprescindibile per il nostro ambito professionale è quella di far ripartire il meccanismo che si è inceppato tempo fa. Superare l’idealismo, ascoltare il mercato del lavoro e re-agire di conseguenza, far diventare l’archeologo un professionista degno di questo nome.
    Nelle aule universitarie – e nei cantieri – ci sono più studenti o laureati che sanno come funziona un laser scanner che persone che saprebbero disegnare una planimetria con livello ottico e fettucce metriche.
    L’ho detta grossa e ho esagerato (spero!), ma il rischio è questo.
    Mi vengono i brividi a pensare che potremmo bearci della nostra condizione “tra color che son sospesi”, senza responsabilità ma comunque arrabbiati perché niente cambia; però non ti nego, Paola, che a volte ci penso anche io.
    Tutti quelli che vogliono e cercano questo cambiamento con le proprie azioni ogni giorno dovrebbero nel loro piccolo o grande mondo cominciare a fare qualcosa. Io ci sto: http://leparoleinarcheologia.wordpress.com/2013/04/15/archeologia-e-contaminazione-una-via-duscita/
    Che dite, cominciamo?

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  4. Caterina Ottomano
    Caterina Ottomano dice:

    Cosa pu fare un archeologo? Scavare, su stretto controllo del funzionario di zona; studiare e pubblicare dati e materiali a titolo gratuito ma solo in ‘collaborazione’ con il suddetto funzionario, che scrive l’introduzione come se fosse una circolare ministeriale e ci mette il nome. Non fare capricci ‘perchè guardate che non ci metto niente a cancellarvi dalla lista delle ditte’, accompagnare il suddetto funzionario in lungo e in largo per il suo territorio mettendoci benzina e autostrada ‘perchè noi non possiamo chiedere il rimborso’, distruggere la propria macchina su ignobili tratturi. Ascoltare passivamente ore di pipponi etici, farsi fare le pulci sulla documentezione da un sadico/a che non vede l’ora di beccarti in fallo. E poi tornare a case e ingoiare flaconi di Maalox

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