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Archeologhe in shorts e con pistola: parliamone (vedi alla voce stereotipi)

Oggi parliamo di stereotipi e in particolare di stereotipi femminili legati al mondo dell’archeologia.

Lo spunto per questo post viene da una notazione fatta dall’archeologa e ricercatrice Giulia Facchin sul gruppo Facebook #archeognock (questi i link ai suoi guest post scritti per Professione Archeologo).

Ok, immaginiamo già le facce a punto interrogativo quindi prima di andare avanti rispondiamo alla domana: cos’è #archeognock? È la community delle donne del mondo dei beni culturali, un gruppo (chiuso) nato lo scorso settembre da un’idea di Domenica Pate e che ha lo scopo di condividere idee, spunti e fare rete, in tutto in un clima da aperitivo con le amiche. Vi abbiamo fatto venire voglia di iscrivervi? Bene. Potete farlo qui.

Facciamo un passo indietro allora. Dicevamo, stereotipi.

Immaginate la protagonista della nostra storia, Giulia, che in una serata come tante si siede sul suo divano con in mano una tazza di tè caldo e si appresta a godersi un po’ di relax davanti alla TV, dopo l’ennesima giornata in cantere tra operai, caffè e 50 sfumature di terra.

Stasera in programma, l’ultimo episodio andato in onda di Castle, il poliziesco americano in cui il lui della coppia è un celebre (e un po’ eccentrico, ma nel senso buono) scrittore. C’è l’omicidio, inizia l’indagine, tutto normale, finché  i due detective della Omicidi visionano lo spezzone di un vecchio film di azione, una cosa alla Arma Letale, se vogliamo.

La scena è piena di suspance. Il cattivo del film ha rapito una giovane archeologa per… boh, non lo sappiamo bene il motivo, ma quello che colpisce Giulia (e quindi poi anche noi che ci siamo andate a guardare la scena) è come diavolo era conciata quest’archeologa: rossa di capelli, in shorts che più short non si può, e top aderente, con una piega talmente ben fatta che altro che appena uscita dal parrucchiere e trucco, ovviamente, perfetto. Ah, aveva anche la frusta attaccata alla cintura. Infine, particolare da non sottovalutare, bella, così bella che i due detective di Castle… non credono che sia un’archeologa!

“Non è per niente credibile” esclamano, con tono che lascia intendere che, ragazzi, non scherziamo, mica sono così belle le archeologhe!

Vabbè, dopo esserci fatte una risata dell’insolenza dei due detective, sorgono delle domande:  per essere prese sul serio come archeologhe bisogna essere brutte o quantomeno socialmente improponibili? E in modo antitetico perchè invece lo stereotipo dell’archeologa bella e svestita (o vestita con abitini aderenti) è duro a morire?

A Lara Croft hanno dedicato una serie di film al cinema, mentre pochi anni fa c’era una serie TV dedicata ad un personaggio femminile che era una sorta di incrocio tra Lara Croft e Indiana Jones.

Se torniamo alla televisione italiana c’è un altro esempio che negli ultimi anni è stato più volte segnalato: la puntata della serie dedicata all’Ispettore Coliandro di RaiDue, bello e canaglia che va in giro per Roma credendo di essere Callaghan. In una puntata si imbatte in una escort dai gusti raffinati, nel senso che tra i suoi DVD annovera addirittura Fellini, Kurosawa e Antonioni. Il mistero è presto svelato: la ragazza disillusa, appassionata di cinema d’autore, è un’archeologa che per tirare a campare, ha abbracciato la professione di peripatetica al grido di “Hai idea di quanto prende un’archeologa se lavora?”

E non è mica finita qui!

Per passare dal piccolo al grande schermo, Anna Marras ci informa che nel film La fame e la sete di Antonio Albanese, alla ragazza che studia archeologia il protagonista Ivo, industriale emigrato al Nord, risponde “Archeologia? Bella prospettiva rompere i coglioni ai morti!”

E lascia stare che non tutti gli archeologi “scavano i morti”, ma almeno non si parla di fossili, ed è già un passo avanti, rispetto, per esempio, al recente Blue Jasmine, di Woody Allen in cui la protagonista, interpretata da Cate Blanchett, riflette sul suo futuro. Tra le varie opzioni c’è quella di tornare all’università, perché si è sempre pentita di non aver preso la laurea.

 

“Che dovevi diventare?” le chiedono.

“Antropologa” risponde.
“Tipo scavare vecchi fossili?”
“Quella è un’archeologa” risponde lei lapidaria.

 

Ok, forse a ben pensarci, tornare all’università non è una cattiva idea (grazie a Daniela Costanzo per la segnalazione!).

Allora, ricapitoliamo brevemente. Nella narrazione cinematografica/televisiva che abbiamo esaminato la figura dell’archeologa è sostanzialmente ascrivibile ai seguenti modelli:

1. Bella, con corpo da maggiorata e possibilmente con una pistola alla cintola (o frusta, è uguale)

2. Poveraccia che per campare fa la passeggiatrice, ma d’alto bordo. Che non si dica che una laurea non serve eh.
3. Una che scava, non si sa bene cosa, se morti, dinosauri o l’orto per piantare le zucchine.

Ragazze, stiamo messe male.

Soprattutto quando poi entri in un museo e l’”archeologo” è rappresentato così:

 

 

Per fortuna che a rompere gli stereotipi non ci sono solo le ragazze di #archeognock (che sono talmente cool da avere anche un’archeostickers tutta per loro), ma anche iniziative estemporanee che prendono vita sui social media e poi diventano virali, come #inmyshoes, nato dalla lettera di una bambina britannica di otto anni che si è lamentata con un’azienda produttrice di scarpe che non faceva scarpe per bambine con i dinosauri (perché, a loro dire, alle bambine dinosauri e fossili non interessano).

Andate a scorrervi l’hashtag su Twitter, e magari date anche un’occhiata anche a #girlswithtoys, la risposta ad un’infelice battuta di un professore di scienza: troverete tante foto di archeologhe in cantiere, geologhe al lavoro sul campo, ma anche scienziate di tutti i tipi, che indossano scarpe da lavoro o da ginnastica o ballerine o scarpe col tacco perché magari, quel giorno, sono in ufficio e gira così.

L’archeologia, così come tutte le professioni legate al mondo della conoscenza, della ricerca, della cultura, è fatta di donne diverse tra loro, acomunate dalla passione e dal duro lavoro. E questo da sempre, come dimostra lo splendido lavoro portato avanti dal gruppo Trowelblazers, “women in archaeology, geology, and palaeontology”, che racconta il contributo che le donne hanno apportato a queste discipline fin dalla loro nascita, anche se poi pochi lo sanno.

Gli stereotipi, insomma, talvolta da ridere, ma troppo spesso ancora sessisti, reiterati e francamente vecchi, ci stanno davvero tanto tanto stretti.

Ma li smonteremo, uno ad uno, tra un tweet e un post di Facebooke soprattutto con tanta ironia.

 

@antoniafalcone

@domenica_pate