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Impressioni di una archeoblogger a Rovereto per #Rica16

Sono trascorsi alcuni giorni dal rientro da Rovereto. Anche quest’anno gli organizzatori della Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico hanno invitato una delegazione di archeoblogger a prendere parte al grande festival del documentario archeologico che ormai da 27 edizioni anima la piccola cittadina trentina.

 

Adagiata nella Vallagrina, Rovereto per il secondo anno ci ha accolti tra le sue stradine e i suoi musei, facendoci immergere per qualche giorno nelle immagini girate ai quattro angoli del globo: dall’Europa, all’Africa, passando per l’America e l’Oriente.

 

Un tuffo tra storia e storie: la storia dei grandi condottieri, delle civiltà e dei protagonisti del passato e le storie di chi quelle vicende ha voluto raccontarle armato di telecamera e di creatività.

 

Sarebbe difficile riassumere in un blogpost le emozioni diverse provocate da un caleidoscopio di istantanee che ci hanno accompagnato a spasso nel tempo: registi e documentaristi capaci di cogliere aspetti molteplici e soggettivi del lavoro di archeologi, etnoantropologi, storici: professionisti che quotidianamente si confrontano con scoperte scientifiche, domande sull’origine dell’uomo ed esperimenti di valorizzazione territoriale.

 

Non solo film. Rovereto quest’anno è stato anche il luogo dell’incontro con i protagonisti del lavoro sul campo, un ampliamento dell’offerta che ha permesso di entrare nel vivo di temi quanto mai attuali.

 

La tavola rotonda sui nuovi orizzonti del Museo ha generato un vivace dibattito sulle prospettive future dello spazio museo, che il neo direttore del Museo Archeologico di Reggio Calabria, Carmelo Malacrino, ha efficacemente definito come “un luogo esperienziale”. Un museo che oggi andrebbe concepito come social hub, fondato cioè sul principio dell’interazione tra istituzione e cittadini, nelle parole di Valentino Nizzo, della Direzione Generale Musei del Mibact. E infine le criticità emerse nell’intervento di Daniele Jallà dell’Icom: troppo spesso i musei soffrono di “collezionite acuta”, sfuggendo così al loro ruolo sociale e di collettore di sperimentazioni.

 

Tra gli interpreti indiscussi della interdisciplinarietà della ricerca archeologica, Damiano Marchi, antropologo italiano impegnato nel team internazionale che sta studiando l’Homo Naledi, ci ha raccontato l’importanza della collaborazione e della sinergia tra professionisti diversi che ha consentito di accelerare e rendere pubblici i primi risultati delle ricerche sull’Homo Naledi, una delle scoperte più importanti degli ultimi anni.

 

E poi non poteva mancare Pompei, croce e delizia della politica culturale italiana. Un Massimo Osanna trascinante che ha ammaliato con le sue parole una vasta platea accorsa ad ascoltarlo: dal Grande progetto Pompei e dai risultati finora raggiunti con una programmazione straordinaria volta al recupero e alla manutenzione del sito vesuviano, alle ultime scoperte che gettano nuova luce delle fasi preromane della città. Pompei che si presta alla narrazione emotiva e che Osanna ha saputo interpretare e comunicare al pubblico.

 

Rovereto è anche archeologia di luoghi lontani come Cahuachi-Nazca che tutti noi conosciamo per gli imponenti geoglifi, patrimonio dell’umanità Unesco. E a Nazca ha dedicato quaranta anni di ricerche Giuseppe Orefici con i suoi fondamentali studi sui centri cerimoniali della costa meridionale del Perù.

 

Il tempo è volato e così è arrivata la serata della premiazione dei film in concorso. Tre le sezioni quest’anno: il premio “Città di Rovereto-Archeologia Viva” per il film più gradito al pubblico che ha avuto l’opportunità di votare al termine delle proiezioni; il premio “Archeoblogger” assegnato dalla nostra giuria e dedicato alle produzioni italiane e infine la menzione speciale “CinemA.Mo.Re”.

 

Il premio del pubblico e il premio CinemA.Mo.Re sono stati assegnati entrambi al documentario francese “Quand Homo sapiens faisait son cinema. Quando l’Homo sapiens fece il suo cinema” di Pascal Cuissot e Marc Azema, film che porta gli spettatori sulle prime tracce del cinematografo, attraverso 20.000 anni di arte paleolitica.

 

A chi invece è andata la nostra menzione speciale? La giuria di archeoblogger ha deciso di premiare il documentario “Alla scoperta del Trentino. Luoghi e simboli del territorio: la Preistoria”, una produzione Rai con la regia di Stefano Uccia. Il documentario è la prima puntata di una serie in nove puntate dedicata al Trentino che si snoda attraverso il racconto del patrimonio culturale della regione. Il nostro compito era quello di selezionare il film che riusciva a raggiungere maggiormente il pubblico con un messaggio di valorizzazione e conservazione.

 

La motivazione alla base della nostra selezione è riassunta in queste parole, stilate collettivamente dai 10 blogger coinvolti:

Una voce narrante autorevole, quella di un archeologo, ci guida alla scoperta di un territorio, il Trentino, e della sua storia più antica. Del documentario ci ha colpiti la capacità di rivolgersi al pubblico con un linguaggio chiaro che, senza tecnicismi, risulta comprensibile anche ai non addetti ai lavori. La regia, inoltre, sceglie di non indugiare sui primi piani di chi parla, ma dedica lo spazio necessario ai luoghi e agli oggetti raccontati. Un prodotto che, rendendo protagonisti siti e musei, riesce nell’intento di valorizzare la realtà territoriale del Trentino, regione che già si distingue per la presenza di progetti museografici focalizzati sulla comunicazione archeologica. Così, Alla scoperta del Trentino – La preistoria, è la prima tappa di un percorso più ampio che, attraverso altre nove puntate, accompagna lo spettatore nella conoscenza del patrimonio culturale regionale.

Il documentario ci ha convinti soprattutto per la presenza della voce del Dott. Franco Marzatico, Soprintendente per i Beni culturali della Provincia autonoma di Trento, in grado di sfuggire all’archeologhese tanto in voga tra gli addetti ai lavori per narrare invece con passione e coinvolgimento la storia più antica del territorio trentino, in una passeggiata tra i luoghi e i musei della regione.

 

Approfittiamo di questo spazio per i ringraziamenti ufficiali: innanzitutto a Dario di Blasi, Direttore della Rassegna che ci ha nuovamente accolti a Rovereto; a Piero Pruneti, Direttore di Archeologia Viva, a Valentina Poli e Francesca Maffei per l’organizzazione perfetta e le chiacchiere tra una diretta Facebook e l’altra e infine a tutta la community che ci ha seguito online sui social rilanciando il nostro racconto live della Rassegna.

 

[Grazie al regista Lorenzo Daniele per la gentile concessione dell’uso della foto di copertina]

 

Antonia Falcone

(@antoniafalcone)

Rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto

Tra archeologia e contemporaneità: la XXVI Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico di Rovereto

Si è conclusa lo scorso sabato 10 ottobre la XXVI Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico di Rovereto che quest’anno ha visto protagonisti, tra gli altri, un gruppo di intrepidi archeoblogger, chiamati ad assegnare una menzione speciale ad uno dei film in concorso per la XII edizione del premio Paolo Orsi.

 

Le blogger di Professione Archeologo hanno avuto l’onore di far parte di questa giuria e la nostra Antonia Falcone ha viaggiato alla volta di Rovereto per essere presente alla premiazione finale ed assegnare personalmente la menzione speciale (e sì, ha proprio detto “And the winner is…”).

 

La scelta di includere una giuria fatta di archeologi che più o meno quotidianamente si occupano di comunicazione ci è piaciuta fin da subito e ci è sembrato un segno importante.

 

“Una manifestazione di ampio respiro come la Rassegna non può non comprendere che in questi ultimi anni è cambiato il modo di comunicare e di vivere l’archeologia,” ci ha confermato Valentina Poli, della Fondazione Museo Civico di Rovereto, che in queste settimane ha seguito i lavori della giuria degli archeoblogger. “In questi anni il mondo dei blog e dei social media si è affiancato al modello tradizionale della comunicazione culturale riuscendo a coinvolgere, in maniera entusiasmante e meno formale, un pubblico vasto ed appassionato. Quest’anno ci è sembrato il momento opportuno per contattarvi e proporvi di partecipare per assegnare una menzione speciale al film che maggiormente si presta alla fruizione e alla divulgazione. E non possiamo che essere soddisfatti visto l’entusiasmo con cui avete accettato il compito di giurati!”

 

E non poteva essere altrimenti, visto che, per dirla con le parole di Marina Lo Blundo, il dovere di giurati ci ha permesso di fare il giro del mondo direttamente dal divano di casa, alla scoperta di angoli di mondo vicini e lontani.

 

La Rassegna è ormai finita e sabato sera sono stati annunciati i vincitori, ma l’edizione di quest’anno è stata anche segnata dalla forte rivendicazione, da parte degli organizzatori, dell’unicità dell’evento di Rovereto, un festival di riconosciuto prestigio internazionale, che però non ha sempre avuto il supporto che si merita , nonostante quest’anno siano anche arrivati gli auguri del Presidente della Repubblica Mattarella a pochi giorni dall’inizio.

 

“Esistono nel mondo, in Europa e Stati Uniti, altri 8 o 9 festival di cinema dedicato all’archeologia o al patrimonio culturale,” ci ha detto Dario di Blasi, Conservatore Onorario del Museo Civico di Rovereto e Direttore della Rassegna, che ha gentilmente risposto ad alcune nostre domande. “Alcuni sono ai limiti della sopravvivenza, altri hanno limitato la raccolta e selezione di film alle versioni linguistiche del territorio, inglese o francese per ridurre i costi delle traduzioni e doppiaggi. Questo è avvenuto sicuramente per effetto della crisi economica e sociale, ma anche e soprattutto perché la classe politica e dirigente, sia pure con atteggiamenti diversi, ritiene che l’investimento in cultura sia residuale rispetto all’economia ed anche purtroppo alla guerra.”

 

Il tema degli investimenti seri nel campo culturale ritorna quindi prepotentemente anche nel caso di un evento così importante come la Rassegna di Rovereto. Quando gli chiediamo come immagina il futuro della manifestazione, il Direttore Di Blasi risponde:

 

Crediamo che la cultura sia una virtù che permette agli uomini di sopravvivere perché si relazionano tra di loro e con il territorio attraverso le proprie qualità più alte, come l’ingegno, la solidarietà, la fame di conoscenza, così come permette loro di mettersi in relazione con le divinità attraverso il culto.
Come festival cercheremo di resistere e ampliare la nostra caratteristica più importante e cioè rappresentare la ricerca archeologica e storica di tutto il mondo attraverso le varie lingue e linguaggi della cinematografia per mettere in relazione il Mondo Antico con il pubblico più vasto possibile e far sì che acquisti chiara coscienza del proprio passato e contribuisca a costruire un avvenire migliore.

 

Alla luce delle recenti distruzioni del patrimonio archeologico in Siria e della morte dell’archeologo Khaled-al Assad, ucciso dall’ISIS lo scorso agosto e al quale la Rassegna ha deciso di rendere omaggio, ci sembra che questa dichiarazione di intenti sia decisamente importante e degna di nota.

 

@domenica_pate

[Credit immagine: Astrid D’Eredità]

 

*

 

Ps.

 

A chi abbiamo assegnato la menzione speciale? Al film che ci è sembrato meglio incarnasse la divulgazione e la comunicazione del patrimonio culturale come lo intendiamo noi: Tà gynaikeia. Cose di donne, regia di Lorenzo Daniele, con la consulenza scientifica di Alessandra Cilio, Fine Art Produzioni Srl.
Questa la nostra motivazione:

 

Dal passato prossimo al passato remoto. Un viaggio al contrario che guarda a tutto tondo al mondo femminile. Per noi questo è Cose di Donne. Ci è piaciuto il suo sguardo innovativo sul passato, che percepisce la storia come patrimonio condiviso. I ricordi personali delle protagoniste rischiarano di una luce contemporanea, forte e capace di suscitare grande empatia, le testimonianze dei resti archeologici che si scrollano di dosso la loro polvere secolare e divengono vivi e attuali, comprensibili, segni tangibili di vite reali. Il documentario diventa così una storia corale, di ricerca e sacrificio, una continua domanda di senso, una riflessione aperta sulla donna di ieri e di oggi. Lo abbiamo molto amato: come archeologi e comunicatori crediamo che Cose di Donne rappresenti bene il senso di fare ricerca archeologica oggi ed incarni perfettamente le ragioni per cui la conservazione e la tutela del nostro patrimonio culturale sono di fondamentale importanza per la definizione stessa della nostra identità di cittadini e di società.