Dal 9 marzo l’Italia è entrata in lockdown e la Fase Due è iniziata solo da pochissimo.
Non so quanti di voi hanno già ripreso a lavorare, io non sono tra questi e non ho idea di quanto tempo ancora dovrà passare prima di tornare in cantiere. Per ora cerco di sopravvivere tra ansie, refresh sul sito dell’Inps e ricerca spasmodica di notizie sull’emissione del bonus di aprile.
E mi ritengo comunque fortunata perché immagino che prima o poi la nostra presenza sarà richiesta sui cantieri di opere pubbliche, considerati servizi essenziali per la collettività. A differenza di molti colleghi che, dopo la laurea in archeologia, hanno abbandonato cocci, trowel e matrix per cogliere le opportunità offerte dal turismo e che oggi non sanno cosa sarà del loro futuro. Sono tantissimi infatti gli archeologi che negli ultimi anni hanno lavorato prevalentemente come guide turistiche e che oggi sono fermi in attesa di tempi migliori (o di reinventarsi una vita).
Ma non sono qui per angosciarvi con lamentationes varie ed eventuali, a far salire il picco d’ansia bastano le splendide giornate che si alternano fuori dalla finestra o le notizie che leggiamo tutti i giorni online.
Voglio piuttosto raccontavi quello che avrei voluto fare in questo mese di quarantena e quello che invece ho fatto.
Preparatevi a uno scontro epico aspettative vs realtà.
Non negate, anche voi avete terabyte di documentazioni di cantieri che risalgono più o meno al Pleistocene, perché “non si sa mai che possa servirmi quella foto fatta a una trincea completamente sterile nel cantiere di Pizzo Sperduto nel lontano 1977 a.C.”.
E quindi: quale occasione migliore di una quarantena forzata per sistemare una volta per tutte file, cartelle, foto e archiviarle con un criterio cronologico – geografico – tipologico?
Che poi alla fin fine, ad essere realisti, ci potrebbero volere giusto un paio di giornate per far uscire dal caos primordiale quella cartella DOCUMENTAZIONI che giace esangue sul desktop e dalla cui vista ritraiamo terrorizzati lo sguardo.
REALTÀ
Cartella, quale cartella?
Giuro che ci ho provato. Mi sono armata di buona volontà, ho fatto una lista delle cose da fare, del criterio da utilizzare, e poi…
…ho preso la cartella, l’ho copiata sull’hard disk (per mettere a tacere la coscienza) e mi sono dedicata alla lettura di un interessantissimo articolo su “Perché il magico potere del riordino con gli archeologi non funziona”.
Sarà per la prossima pandemia.
Saranno passati forse due anni dal leggendario giorno in cui ho detto (e anche scritto sui social): “ho un’idea rivoluzionaria per un libro, ma – mannaggia mannaggetta – non trovo mai il tempo per sedermi alla scrivania per più di un’ora al giorno e dare libero sfogo alla mia inesauribile vena creativa. Ecco, avrei giusto bisogno di un mese senza impegni e senza preoccupazioni lavorative per dare finalmente alle stampe il nuovo Premio Pulitzer dell’archeologia”.
Quale momento migliore, per la miseria, di quasi due mesi di lockdown per scrivere QUEL libro?
Voglio dire: non sto lavorando, le giornate non passano mai, non posso andare in giro, i week end sono tutti uguali.
Non capiterà mai più un momento più propizio di questo.
E invece…
REALTÀ
Inizio domani.
Prometto.
Ok. Non ho messo in ordine la documentazione. Non ho scritto il libro.
Ma sicuramente il tempo e il modo per aggiornarmi sulle questioni lavorative lo troverò.
Ho la cartella “Elementi salvati” su Facebook piena di link a:
Corsi
Webinar
Manuali
Durante i mesi lavorativi è praticamente impossibile mettersi a studiare o a seguire corsi dopo 8 ore di cantiere e con la sveglia all’alba, e poi i week end sono spesso dedicati a scrivere le documentazioni o, banalmente, ad avere una vita oltre l’archeologia.
Quindi alla fine i link ai corsi e ai libri da leggere si accumulano, creando una condizione perenne di frustrazione per non riuscire mai a incrementare le già molteplici competenze che abbiamo.
In questi giorni di lockdown credo di aver messo millemilamilioni di “parteciperò” a dirette e webinar sui social, con l’ottimismo della volontà di chi ci crede fino in fondo.
REALTÀ
Sì va bene tutto, ma mi dite voi COME FACCIO A NON VEDERE L’ULTIMA SERIE NETFLIX della quale tutti parlano sui social?
Cioè anche io ho il diritto, peraltro chiaramente sancito dalla Costituzione, di commentare e litigare con chiunque su Facebook, soprattutto con la mia migliore amica che, dopo averle messo l’emoji arrabbiata, non mi guarderà più in faccia per la prossima decade.
Tutto questo post per dire che neanche una pandemia mondiale può arrestare quel tratto distintivo dell’archeologo medio che si chiama “procrastinazione”.
Se invece voi siete persone migliori di così, scrivetemi nei commenti cosa siete riusciti a combinare durante questo lockdown!
https://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/miniature-figure-1745753_1280-1.jpg7681280Antoniahttp://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/logopervideo-300x74-1-300x74.jpgAntonia2020-05-04 16:36:162020-05-14 11:00:27Archeologi in lockdown: aspettative vs realtà
Con le #PilloleMetodologiche di oggi voglio sfatare un mito duro a morire: gli archeologi che scavano con il pennellino. Non esiste servizio televisivo dedicato all’archeologia nel quale non compaia un archeologo al lavoro che impugna un pennellino. E invece tutti gli archeologi sanno che sono ben altri gli strumenti che si usano su uno scavo archeologico.
Vediamo quali.
Ci facciamo quindi aiutare da Maura Medri (Dizionario di Archeologia, pp. 265-266) e da Andrea Carandini (Storie dalla terra, pp. 178-185 ) a fare chiarezza su quali sono gli attrezzi del mestiere:
► Gli strumenti più comuni dello scavo sono pale, picconi e picconcini, zappe, carriole, secchi, palette, scopette, spazzole e cazzuole.
► L’attrezzo indispensabile è la trowel , la cazzuola inglese con lama da 10 cm, robustissima e non flessibile, l’unica con cui sia possibile ripulire e scavare in modo corretto.
► Per rimuovere strati omogenei e di notevole volume (p.e. riempimenti, depositi, crolli), si usano gli strumenti grandi: una persona – la più esperta – sta al piccone; una alla pala che raccoglie i materiali di risulta e li carica sulla carriola mantenendo pulita la superficie dello strato; una alla carriola che si occupa dell’ultima cernita dei reperti e del trasporto della terra di risulta.
► Il piccone è utile per lavori pesanti come spiombare le sezioni. Durante lo scavo la terra va lavorata con ordine e alla stessa profondità per facilitare l’intervento della pala. Ci sono due tipi di pala: quella di forma triangolare e quella di forma rettangolare: per infilarle nella terra bisogna servirsi del peso del proprio corpo, facendo forza con la mano sinistra sul ginocchio sinistro.
► Per ripulire le superfici degli strati e delle strutture e per scavare strati di piccoli o medi volumi si usano gli strumenti più di fino. Ogni scavatore deve essere dotato di un kit di attrezzi: cazzuola inglese, paletta e secchio.
► Con la trowel si raschiano le superfici degli strati per ripulirli o si incidono le superfici degli strati per scavarne il volume. Può essere usata delicatamente o con forza a seconda della pressione esercitata su di essa. Afferrandola per la lama o usandola alla rovescia si incide e si raschia con maggiore efficacia. lo scavo con la trowel consente una raccolta completa dei reperti. Si consiglia di usare la trowel associata a una paletta in modo che il movimento per asportare la terra ed esporre la superficie del nuovo strato coincida con il trasporto della terra sulla paletta.
► Altri attrezzi come bisturi, cucchiai, palette a sezione circolare, cazzuole a manico lungo, etc. possono essere utili quando gli altri strumenti sono inappropriati.
https://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/Untitled-design.png7271080Antoniahttp://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/logopervideo-300x74-1-300x74.jpgAntonia2020-04-30 09:10:002020-05-13 23:00:15#PilloleMetodologiche: gli attrezzi dell'archeologo
Per le #PilloleMetodologiche di questa settimana andiamo alla scoperta di uno dei misteri irrisolti dell’archeologia di tutti i tempi: trovare l’inclinazione e il diametro dei cocci da disegnare.
E ci facciamo aiutare in questa impresa titanica da Maria Supino con il suo volume (un po’ datato, ma pur sempre valido) “Fondamenti teorici e pratici del disegno dei reperti archeologici mobili” (pp. 52-60).
L’INCLINAZIONE
► La ricerca dell’inclinazione dei frammenti è indispensabile per la ricostruzione e l’individuazione rispettivamente del diametro e della forma di un manufatto non più intero.
► Per determinare l’esatta inclinazione del frammento, cioè la posizione da esso assunta, rispetto al presunto piano orizzontale di appoggio dell’oggetto intero, è necessario che il frammento conservi almeno in parte l’orlo, il fondo o il piede.
► L’individuazione dell’inclinazione di un frammento, ossia l’angolo che esso formava con il piano orizzontale di lavoro del vasaio, si ottiene appoggiando la parte di orlo, di fondo o di piede conservata su un piano perfettamente orizzontale in modo da farla aderire completamente, senza lasciare cioè interstizi attraverso i quali filtri luce.
► Quindi, determinato il tratto del frammento lungo il quale si vuole far passare la linea di sezione (il tratto di maggior lunghezza), si calcolano:
– L’altezza del punto C dal piano orizzontale (CC’); – La distanza (BC’) del punto C’ (proiezione di C sul piano orizzontale) dal punto B, appartenente all’orlo del frammento.
► Prima di riportare le distanze BC’ e CC’ così stabilite sul quadrante sinistro dello schema ortogonale di riferimento disegnato, è necessario determinare il diametro dell’orlo.
IL DIAMETRO
Per calcolare il diametro si possono utilizzare due metodi.
Il primo procedimento consiste nel riportare su un foglio di carta l’arco di circonferenza del frammento in oggetto.
► Si appoggia l’orlo del frammento con la giusta inclinazione direttamente sul foglio di carta e si ripassa il profilo con una matita oppure si ricalca il profilo dell’orlo preso con il profilografo a pettine
► Quindi si fa collimare l’arco di circonferenza tracciato sul foglio di carta con il corrispondente arco del cerchiometro, ottenuto tracciando una serie di circonferenze concentriche, con diametri progressivi su un cartoncino. così si ottiene l’inclinazione.
Il secondo procedimento consiste nel determinare il diametro del frammento applicando all’arco di circonferenza la regola geometrica secondo la quale “per tre punti non allineati passa una ed una sola circonferenza”.
► sia a l’arco della circonferenza dato di cui dobbiamo determinare il centro per ottenere il diametro;
► centrando il compasso nel punto 1 fissato circa a metà dell’arco, con apertura a piacere, ma minore della metà dell’arco, si descrive la circonferenza c che interseca l’arco a nei punti 2 e 3;
► centrando il compasso nel punto 2 con apertura 2 – 1 si descrive l’arco d che interseca la circonferenza c nei punti 6 e 7;
► centrando il compasso nel punto 3 con apertura 3 – 1, si descrive l’arco e che interseca la circonferenza c nei punti 4 e 5;
► il punto 0, intersezione delle rette congiungenti i punti 4-5 e 6-7, è il centro cercato.
https://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/93873289_3259273100772473_6323200227838787584_n.jpg630940Antoniahttp://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/logopervideo-300x74-1-300x74.jpgAntonia2020-04-27 15:52:202020-05-14 11:06:22#PilloleMetodologiche: il disegno dei materiali ceramici
Oggi parliamo di un dramma che almeno una volta nella vita è capitato ad ogni archeologo: tentare di fare la foto archeologica perfetta.
E lo facciamo con le parole di Maura Medri, dal “Dizionario di Archeologia” a cura di R. Francovich e D. Manacorda (p. 271).
► Sullo scavo le fotografie servono a integrare la documentazione grafica. Le foto generali documentano situazioni stratigrafiche che interessano un intero settore o più settori, ambienti o gruppi di ambienti, strutture e lo stato dell’area di scavo al termine della campagna di scavo.
► Per queste fotografie è preferibile un punto di vista elevato (i risultati migliori si ottengono stando a 8-9 m da terra), scegliendo tra visioni prospettiche o zenitali.
Esempio → una veduta prospettica rende di più per descrivere il contesto dello scavo, una zenitale mostra al meglio il dettaglio planimetrico
► Le fotografie di dettaglio servono a documentare singole unità stratigrafiche o gruppi di unità particolarmente significative. Con una fotografia si può documentare anche un insieme di reperti nel loro contesto di rinvenimento. Il maggior pregio della fotografia di dettaglio consiste nella nitidezza dei particolari.
► Il soggetto deve occupare possibilmente tutto lo spazio dell’inquadratura ed essere centrato. Tra i soggetti meno fotogenici ci sono gli strati terrosi, per i quali è difficile far risaltare in pieno colore, tessitura e componenti. Anche in questo caso è da privilegiare il punto di vista elevato (a 2-3 m di altezza).
► In tutte le fotografie vanno inseriti sempre i riferimenti metrici (palina, metro o metrino) e nelle foto di dettaglio non possono mancare una lavagnetta (su cui scrivere luogo e data, numero di Unità Stratigrafica) e la freccia del nord. La grandezza e la disposizione di questi oggetti vanno studiate in rapporto all’ampiezza dell’inquadratura e alla distanza del soggetto dalla macchina.
► Le strutture in elevato vengono documentate con fotografie d’insieme per far capire la disposizione della porzione conservata degli edifici in rapporto al contesto. Si eseguono poi fotografie di dettaglio per la stratigrafia muraria, le particolarità costruttive e le tecniche edilizie. In questo caso la macchina va collocata parallelamente alla superficie muraria.
Antonia Falcone
https://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/92225160_3233446300021820_8436211957219983360_o-1.jpg10801080Antoniahttp://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/logopervideo-300x74-1-300x74.jpgAntonia2020-04-09 14:13:542020-05-14 11:09:01#PilloleMetodologiche: la fotografia archeologica
Oggi parliamo di strati, non quelli delle lasagne (che state preparando a casa in questi giorni di quarantena), ma quelli spiegati da E. C. Harris, nel suo volume del 1979 “Principi di Stratigrafia Archeologica” (pp. 80-84)
► Tutte le forme di stratificazione archeologica sono il risultato di cicli di erosione e di deposito, e quindi possiamo definire questo processo duplice: la creazione di uno strato equivale alla creazione di una nuova interfaccia e in molti casi di più di una.
Esempio → le foglie cadute da un albero nel formare un nuovo deposito, costituiscono anche una nuova superficie o interfaccia.
► La stratificazione archeologica è dunque composta da depositi e interfacce: tutti i depositi hanno superfici di strato, ma molte superfici in sé, come le fosse, non prevedono alcun deposito.
► Questi depositi e interfacce archeologiche, una volta creati, possono essere alterati o distrutti nella prosecuzione del processo di stratificazione: pertanto il processo di stratificazione archeologica è IRREVERSIBILE. Quando un’unità stratigrafica si è formata, è soggetta, da allora in poi, SOLO ad alterazione e deperimento, per questo motivo qualunque stratificazione archeologica ribaltata darà SEMPRE come risultato la formazione di una nuova stratificazione.
► Sono 3 i fattori principali che determinano l’accumulo involontario di resti culturali mediante il processo di stratificazione archeologica:
■ le superfici di terreno già esistenti ■ le forze della natura ■ le attività umane
La storia dell’umanità è in larga misura storia di costituzione di nuovi bacini di deposito o, per così dire, di limiti di proprietà stratigrafici.
Antonia Falcone
https://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/91276502_3208202582546192_4579154617572524032_o.jpg12722048Antoniahttp://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/logopervideo-300x74-1-300x74.jpgAntonia2020-04-02 14:09:002020-05-14 11:35:48#PilloleMetodologiche: la stratificazione archeologica
Approfitto di questo periodo di quarantena totale per inaugurare le #PilloleMetodologiche, indicazioni bibliografiche utili per gli studenti di archeologia e allo stesso tempo informazioni di metodo per chi vuole approfondire alcuni aspetti della Professione dell’Archeologo.
Iniziamo dalla forma dello scavo, con le parole di Andrea Carandini, da “Storie dalla terra” (pp. 42-51).
► Le trincee sono la forma più antica dello scavo. Oggi le trincee appaiono funzionali solo nel caso di strutture lineari: mura, fossati e strade. Ma anche in questo caso i dati forniti riguardano le trincee stesse e difficilmente sono generalizzabili. Il vantaggio della trincea sta nell’impostare rapidamente un problema e nell’acquisire subito i primi dati
► I saggi possono dare indicazioni utili sulla potenzialità stratigrafica di un insediamento. Moltiplicare sistematicamente i saggi regolari separandoli con testimoni è stata un’idea di Wheeler e Kenyon. Pur avendo rappresentato una tappa fondamentale dell’archeologia sul campo questa forma di scavo mostra ormai i suoi limiti: i risparmi impediscono di cogliere le relazioni stratigrafiche al loro interno e consentono solo di stabilire ipotetiche correlazioni tra saggio e saggio.
► Lo scavo per grandi aree permette di attuare l’idea che un edificio o un complesso di edifici si comprendono indagandoli per intero anzichè sondandoli in parte e pretende allo stesso tempo di operare con un controllo stratigrafico rigoroso.
Al termine di questa evoluzione metodologica l’attenzione si sposta da ciò che si vede in sezione a quanto si vede sulla superficie dello scavo.
Antonia Falcone
https://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/professione-archeologo-metolodogia-1.png960748Antoniahttp://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/logopervideo-300x74-1-300x74.jpgAntonia2020-03-26 13:29:002020-05-14 11:32:47#PilloleMetodologiche: la forma dello scavo
Un viaggio in Grecia è
il grande sogno di ogni archeologo per ripercorrere le tracce che nel corso dei
secoli hanno portato alla nascita e sviluppo della democrazia ateniese, della
ceramografia attica, della statuaria cicladica, dell’architettura templare e
delle arti “minori”.
Non è un caso che anche la sottoscritta abbia deciso di voler fare l’archeologa da grande proprio sull’Acropoli di Atene: era il 1989, avevo 9 anni appena compiuti e i miei genitori mi portarono in viaggio in Grecia. Al cospetto dell’immensità del Partenone la mia domanda fu “chi scopre questi templi?” e alla risposta di mio padre “gli archeologi”, esclamai “da grande allora voglio fare l’archeologa!”
Tanta acqua è passata
sotto i ponti, oggi sono un’archeologa, non faccio esattamente quello che avevo
sognato da bambina (scoprire antiche civiltà o città sepolte), ma il fascino –
e anche la soggezione – che esercita l’antica Grecia è rimasto immutato.
E così, dopo
esattamente 30 anni dalla mia prima e ultima visita in Grecia, la scorsa estate
sono tornata ad Atene, superando finalmente quel blocco psicologico che mi
aveva tenuta lontana dal luogo dove ho deciso quale sarebbe stato il mio
destino.
In questo breve post vi riassumo il mio giro archeologico nella capitale greca suddiviso in tre giorni e alla fine vi chiederò qualche consiglio sui luoghi imperdibili della Grecia continentale!
Programmare il viaggio
Raggiungere Atene è comodissimo e anche economico: sono diverse le compagnie lowcost che atterrano nella capitale greca (l’aeroporto Eleftherios Venizelos si trova a circa 30 km dalla città) e prenotando il volo con un certo anticipo potrete risparmiare un bel po’. La Grecia è la meta ideale per chi ha un budget medio-basso da spendere per le vacanze.
Ad Atene ci si sposta
poi con estrema facilità, c’è un sistema di mezzi pubblici ben organizzato, in
particolare la metro funziona in modo efficiente: il biglietto vale un’ora e
mezza e consente di spostarsi anche con filobus e autobus.
Se invece decidete di uscire da Atene e continuare il vostro viaggio nella Grecia continentale, magari verso Delfi o il Peloponneso, la soluzione migliore è noleggiare un’auto. Quello che serve è la patente di guida in corso di validità e avere almeno 21 anni.
Primo giorno
Atterrati all’aeroporto
potrete facilmente raggiungere il centro di Atene con la metro (più veloce)
oppure con un autobus (servizio attivo 24h su 24h): a questo punto può iniziare
il tour archeologico della città di Pericle.
Il primo giorno può essere dedicato alla conoscenza topografica della città: vi consiglio quindi di munirvi di acqua, scarpe comode, snack e avventurarvi tra le strade del centro città.
Di Atene mi ha colpito
molto un aspetto: non è una città monolitica, ma si compone di tante città in
una sola città. Ogni quartiere ha una sua specificità che lo rende diverso
anche da quello più prossimo e proprio per poter assaporare questa
frammentarietà la soluzione migliore è camminare (con una buona guida sotto il
naso) e perdersi tra vicoli, strade trafficatissime e scorci improvvisi
sull’Acropoli.
Il punto di partenza ideale per un archeotrekking ateniese è la stazione della metropolitana Akropoli: già all’interno della stazione avrete un assaggio dell’archeologia che permea tutta la città, infatti ci sono vetrine che espongono i reperti ritrovati durante la costruzione della metro.
Potete quindi trascorrere la mattinata nel quartiere prospiciente il Nuovo Museo dell’Acropoli, fiancheggiando lo spettacolare Teatro di Dioniso, la Stoà di Eumene, riempiendovi gli occhi della bellezza dell’Odeon di Erode Attico, proseguendo poi verso l’Agorà Romana e la Biblioteca di Adriano, affacciandovi sulla Torre dei Venti e tornando poi nel quartiere Plaka (che io ho trovato troppo turistico, ma che comunque merita una visita).
A questo punto ci sta
bene una pausa pranzo per riposare un po’ prima di ascendere al Licabetto, dove
vi conviene arrivare all’ora del tramonto per godere di una delle viste più
belle e suggestive di Atene.
Nel tragitto verso il Λυκαβηττός, “collina dei lupi”, che secondo la mitologia greca sarebbe stato creato dalla dea Atena e il cui nome deriva dalla presenza in antico dei lupi, potete fare una deviazione verso l’Olympieion che svetta con le sue colonne e poi fermarvi al Museo Numismatico, ospitato nella residenza di Heinrich Schliemann!
Museo Numismatico di Atene
Ormai stanchi e provati dalla fatica di essere archeologi in una città archeologica vi aspetta l’ultimo sforzo della giornata: la salita alla collina più alta di Atene, attraversando uno dei quartieri più alla moda della capitale greca, Kolonaki. Rimarrete stupiti dalle splendide architetture degli edifici privati e pubblici, dai caffè e dalle gallerie d’arte che punteggiano il quartiere.
Ora siete pronti a godervi il tramonto: potete raggiungere la vetta del Licabetto con la funicolare o a piedi (dipende dall’acido lattico che avete accumulato durante la giornata!). Se avete programmato il vostro viaggio ad agosto aspettatevi una ressa indicibile di turisti, accalcati per vedere il sole che tramonta su Atene, ma nonostante la confusione la vista dell’Acropoli che si illumina man mano che scende il sole vi rimarrà nel cuore.
Atene dal Licabetto (Ph. Antonia Falcone)
Secondo Giorno
La seconda giornata di questo archeotour ateniese va tutto dedicato all’Acropoli e al suo museo. In estate è da veri eroi affrontare il pianoro che ospita il Partenone, non soltanto per il caldo greco, ma soprattutto per la marea umana di turisti che incontrerete. Il consiglio è quello di recarsi sull’Acropoli al mattino, poco dopo l’apertura delle 8, solo così potrete godervi tutta la monumentalità del luogo simbolo di Atene.
Il momento più emozionante per me è stato quando ho attraversato i Propilei: mi è sembrato davvero di passare in una porta spazio temporale che mi ha trasportata direttamente nell’Atene di Pericle.
Sul pianoro spicca in tutta la sua maestosità il Partenone, ancora in restauro, e passeggiando sotto l’afa agostana sembra quasi di immaginare il vociare degli ateniesi di V secolo a.C. che dovevano aggirarsi quassù.
Il Partenone (Ph. Antonia Falcone)
Poi è tutto un susseguirsi di marmi e colonne: l’Eretteo, il tempietto di Atena Nike, il santuario di Artemide Brauronia e così via, con in testa sempre l’immagine (e la canzoncina) di Pollon.
Per non perdere la connessione con il luogo più sacro dell’antica Grecia, conviene dedicare il pomeriggio alla visita del Nuovo Museo dell’Acropoli, un luogo stupefacente, inaugurato nel 2009.
Il Museo, progettato dall’architetto
svizzero Bernard Tschumi in collaborazione con Michalis Fotiadis, è
forse il più bel museo archeologico che mi è capitato di visitare finora. Nasce
in sostituzione del precedente museo situato proprio sul pianoro, per
conservare ed esporre tutti i reperti rinvenuti sull’Acropoli.
Il museo si sviluppa su tre piani: quello inferiore è dedicato ai rinvenimenti archeologici effettuati sulle pendici; il primo piano offre un excursus cronologico dell’arte greca con un’intera ala dedicata alla statuaria di età arcaica (ATTENZIONE: qui è vietato fare foto) e infine il terzo piano, orientato diversamente rispetto agli altri perché segue l’orientamento reale del Partenone, ospita metope, frontone e fregio del tempio di Atena. Ovviamente parliamo dei pezzi rimasti in Grecia, mentre di quelli conservati al British Museum sono presenti dei calchi.
Il Nuovo Museo dell’Acropoli (Ph. Antonia Falcone)
L’idea sottesa a quest’ultimo piano è di riposizionare in uno spazio specularmente uguale al Partenone, la sua decorazione scultorea.
Segnalo inoltre che nel
piano interrato sono stati musealizzati i resti delle strutture antiche venute
fuori durante i lavori di costruzione del nuovo edificio.
Infine due consigli:
Non perdetevi la ricostruzione dell’Acropoli fatta con i LEGO e dedicate un po’ del vostro tempo a osservare la riproduzione perfetta dei monumenti e a riconoscere personaggi e storie rappresentati
Affacciatevi alla terrazza del bar del museo per avere una vista magnifica dell’Acropoli e poi sbirciate le tovagliette sui tavoli
Terzo giorno
Se ancora non siete stufi di tutta questa archeologia e non volete correre a rifugiarvi su un’isola greca lontani da statue, ceramica e templi, allora il terzo giorno lo potete dedicare al Museo Archeologico Nazionale, ubicato un po’ fuori dal centro città, subito a nord del quartiere Exarchia. Potete decidere di raggiungere il museo in due modi: in metro (scendendo alla fermata Omonia) oppure a piedi dalla fermata Monastiraki. Nel primo caso potete godervi un quartiere pittoresco come Omonia passeggiando tra strade affollate, negozietti veramente greci (che poco concedono al turismo) con un pit stop a Exarchia tra i suoi murales e le tantissime librerie disseminate nel quartiere.
Se invece decidete di fare trekking urbano da Monastiraki al museo potrete approfittarne per fare un giro nel quartiere di Psiri, con i suoi locali e negozi modaioli.
In qualunque modo
deciderete di arrivarci, la tappa al Museo Archeologico vi trasporterà
direttamente dentro il Becatti, cioè il manuale di storia dell’arte greca che
molti di noi hanno studiato per preparare l’esame.
Dal minimalismo dell’arte cicladica ai tesori micenei (basta citare la maschera di Agamennone, la coppa di Nestore e gli ori delle tombe reali), fino ad arrivare al maestoso Vaso del Dipylon di età geometrica (visto dal vivo è enorme!).
I capolavori continuano poi con l’arte di età classica: come rimanere indifferenti di fronte al maestoso equilibrio compositivo del Cronide di Capo Artemisio o all’eleganza dell’Efebo di Anticitera?
Museo Archeologico Nazionale di Atene (Ph. Antonia Falcone)
Il Museo Archeologico è lo scrigno che custodisce tutta la storia di questa straordinaria civiltà, raccontando una grandezza che non è solo patrimonio greco, ma patrimonio di tutta l’umanità.
Terminato l’archeotour
di tre giorni ad Atene, noi poi abbiamo scelto di trascorrere i restanti giorni
di vacanza in un’isola greca isolata dal resto del mondo per goderci lo
splendido mare delle Cicladi, ma per i forzati dell’archeologia un viaggio in
Grecia può continuare da Atene verso Sud o verso Nord alla scoperta di altri
siti che hanno fatto la storia della civiltà.
Quali sono secondo voi i siti imperdibili da visitare in un on the road per le strade greche?
Scrivetemelo nei commenti e chissà che anche questa estate io non decida di andare nuovamente alla scoperta dell’Ελλάδα.
Antonia Falcone
(@archeoantonia)
https://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/IMG_6368-1-scaled.jpg17072560Antoniahttp://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/logopervideo-300x74-1-300x74.jpgAntonia2020-02-20 09:49:132020-05-14 11:04:48Tre giorni di archeologia ad Atene: cosa vedere
Avete tempo fino a domenica 24 maggio 2020 per farvi un giro a Bologna “la Dotta” e immergervi in secoli di storia e cultura etrusca visitando la mostra “Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna” (di cui vi ho parlato qui).
La mostra ha sede all’interno del Museo Civico Archeologico di Bologna, la cui Direttrice, Dott.ssa Paola Giovetti, ha gentilmente risposto ad alcune mie curiosità sull’esposizione e sul museo, recentemente riallestito.
Buona lettura!
Diamo un po’ di numeri. 1400 oggetti, 60 musei di tutto il mondo, 20 anni dopo le ultime grandi mostre dedicate alla civiltà etrusca.
“Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna” si preannuncia come l’evento archeologico di punta di questo scorcio del 2019.
E la mostra sarà ospitata proprio nelle sale di uno dei musei più significativi per la conoscenza della civiltà etrusca: il Museo Civico Archeologico di Bologna.
Possiamo dire che dall’Ottocento, secolo dei primi rinvenimenti etruschi a Bologna, ad oggi la passione per la civiltà nata in Etruria nel IX secolo a.C. non si è mai sopita. Qual è secondo lei la ragione di questo innegabile fascino.
Gli Etruschi sono un popolo meno conosciuto rispetto ad altri, forse perché più trascurato anche dal percorso di studi scolastico ma nella realtà rappresentano, e questa mostra lo testimonia, le nostre radici perché gli Etruschi hanno vissuto in un esteso territorio dell’Italia preromana, dalla pianura padana alla Campania. Il loro fascino forse sta proprio nel fatto che in fondo sappiamo meno di quanto invece ormai conosciamo degli Etruschi grazie al progredire della ricerca e a quanto di nuovo è emerso dagli scavi archeologici più recenti.
I musei tra tradizione e innovazione.
La tradizione conservata nel Museo Civico nel suo allestimento originario, che rappresenta uno dei rari esempi ancora esistenti di museografia ottocentesca italiana, e l’innovazione nell’allestimento della mostra Electa che si sviluppa, a inizio percorso, secondo il Tempo dei Rasna con cinque accesi colori a scandire cinque periodi storici nella storia etrusca.
Si tratta di due diverse, ma complementari, modalità di far vivere l’archeologia al pubblico.
Quali sono secondo lei le parole chiave per comunicare l’archeologia oggi nei musei?
Non è semplice comunicare l’archeologia nei musei perché non è sempre immediatamente comprensibile, perché le maggiori testimonianze che abbiamo provengono dalle necropoli, perché spesso gli oggetti non sono integri, perché la nostra conoscenza della cultura antica, penso solo alla mitologia, alla scrittura, non è immediata ed è necessario compiere alcuni processi: cercare di vivere il passato nel presente per trovarne similitudini e differenze; vivere e pensare ai popoli del mondo antico come coloro da cui abbiamo ereditato strumenti, oggetti, consuetudini, usi; comprendere che i materiali che si osservano provengono dalla ricerca archeologica e che dobbiamo osservare quel determinato oggetto in un contesto e in associazione ad altri oggetti. Se da un lato il Museo Archeologico conserva con tenacia il suo allestimento ottocentesco – oramai ne rimangono pochi esempi – cercando però di migliorare il contesto espositivo per facilitare la lettura dei reperti, dall’altro una Mostra è l’occasione per osare modalità museografiche che siano il più attrattive possibili. Proprio per questo motivo riteniamo che Museo e Mostra, in questo momento, siano un’ottima occasione di lettura del rapporto tra passato e presente.
E infine: i suoi 3 motivi per venire a Bologna a visitare la mostra!
Il primo: i visitatori scopriranno che non esiste una sola Etruria ma più Etrurie e sono certa che il viaggio che abbiamo proposto permetterà al pubblico di percepire questo aspetto anche in maniera molto chiara.
Il secondo: sono esposti materiali e rinvenimenti mai visti dal pubblico e questa è una straordinaria occasione per capire quanto la ricerca e lo scavo archeologico attuale possano aggiungere a quanto degli Etruschi già sapevamo.
Il terzo: 1440 oggetti da 60 musei, solo 4 stranieri, quindi la mostra è una straordinaria testimonianza della ricchezza e dell’importanza del patrimonio archeologico italiano, spesso esposto in piccoli musei del nostro territorio sconosciuti al grande pubblico; il tutto perfettamente inserito in un allestimento molto coinvolgente.
Antonia Falcone
@antoniafalcone
@archeoantonia
https://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/IMG_8486-01.jpeg23043456Antoniahttp://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/logopervideo-300x74-1-300x74.jpgAntonia2020-01-06 15:04:332020-01-06 15:04:33#EtruschiBologna: 3 domande alla Direttrice Paola Giovetti
Un viaggio cronologico nella storia degli Etruschi, dalle origini alla conquista romana.
Un viaggio topografico nei luoghi degli Etruschi, dall’Etruria campana a quella padana.
La mostra Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna, in programma fino al 24 maggio 2020 al Museo Civico Archeologico di Bologna, ha una missione ambiziosa: raccontare in modo esaustivo la cultura degli Etruschi.
Chiunque abbia sostenuto l’esame di etruscologia all’università sa benissimo quanto questo compito possa apparire elefantiaco: parliamo di una cultura millenaria diffusa nella cosiddetta Etruria propria (tra il nord del Lazio e la Toscana) ma presente “a macchia di leopardo” nella penisola, tanto a sud quando a nord. Faremmo meglio infatti a parlare di “culture etrusche”, ognuna con una propria specificità, ma anche con elementi comuni che fanno degli Etruschi una civiltà completa e complessa.
Tracciare una road map sia temporale che geografica, senza tralasciare le influenze che questo popolo ha fatto proprie (quella greca, quella fenicia, quella sarda) e l’ascendenza che ha avuto sui propri vicini (i romani in primis), è quindi una vera “mission impossible”!
In questo post però non voglio fare spoiler sul percorso espositivo né parlarvi di etruscologia, ma darvi tre motivi per andare a Bologna e tre consigli (da archeologa) su come visitare la mostra!
Perché visitare #EtruschiBologna?
1- Perché è un manuale completo di etruscologia.
Che però non dovete studiare in biblioteca o nella vostra camera, bevendo caffè dello studente e sgranocchiando patatine, nella noia di ore e ore di studio. Questo manuale invece lo potete studiare passeggiando per sale coloratissime, tra panelli esplicativi ben fatti, didascalie chiare e mappe geografiche utilissime.
Bologna – 06/12/2019 – preview della mostra “Etruschi – Viaggio nelle Terre dei Rasna” organizzata da Electa al Museo di Civico Archeologico di Bologna (Roberto Serra / Iguana / Electa)
Bologna – 06/12/2019 – preview della mostra “Etruschi – Viaggio nelle Terre dei Rasna” organizzata da Electa al Museo di Civico Archeologico di Bologna (Roberto Serra / Iguana / Electa)
Bologna – 06/12/2019 – preview della mostra “Etruschi – Viaggio nelle Terre dei Rasna” organizzata da Electa al Museo di Civico Archeologico di Bologna (Roberto Serra / Iguana / Electa)
Se oggi fossi ancora una studentessa di etruscologia non esiterei a partire per Bologna: nella mostra troverete esposti, in un percorso ottimamente organizzato, tutti i principali oggetti illustrati su libri, manuali e articoli.
Con una differenza: qui li potete vedere dal vivo, avere un’immagine d’insieme dei corredi funerari, dei depositi votivi, degli abitati, ammirare il percorso che, dalle origini del IX secolo a.C., ha portato alla nascita delle città, allo sviluppo dell’orientalizzante, all’emergere del potere principesco fino al collasso di questa ricchissima civiltà nel II a.C.
Vi giuro che c’è tutto!
1400 oggetti
60 istituzioni culturali, italiane e internazionali
L’elemento dirompente dell’esposizione sta nel non aver scelto un solo tema, un periodo storico definito, una singola facies culturale, ma nell’aver scommesso nella possibilità di raccontare integralmente la cultura etrusca. Si tratta di una narrazione corale e allo stesso tempo uniforme, così come doveva essere quell’antica civiltà.
Così, dopo una prima parte più didattica, che offre un excursus cronologico rapido ma completo sull’evoluzione del mondo etrusco, la parte principale del percorso espositivo ci porta davvero in viaggio, attraverso le grandi aree nelle quali la cultura dei Rasna si è sviluppata: l’Etruria meridionale in primo luogo, ma anche le aree di espansione campane, la Toscana del nord e l’Emilia Romagna.
2- Perché ci sono reperti inediti
In mostra ci sono ovviamente gli “etruscan highlights”, quelli che vi faranno rimanere a bocca aperta, che vi faranno sospirare ed esclamare “noooo c’è anche questo!” e che troverete sulla manualistica dell’esame di etruscologia (basti pensare ai corredi di Pontecagnano, alla necropoli di Veio Quattro Fontanili, ai sarcofagi di Tarquinia).
Ma soprattutto ci sono reperti esposti per la prima volta, che solitamente giacciono nei magazzini o che provengono da nuovi scavi.
In questo la mostra risponde in pieno a quello che si chiede ad un’esposizione temporanea: non soltanto attrarre il pubblico con i “pezzi forti”, ma essere strumento di studio, consentendo agli addetti ai lavori e al pubblico più generalista di accedere ai risultati della ricerca archeologica in essere.
3- Per l’horror vacui di Verucchio
È capitato a tutti di imbattersi almeno una volta nelle immagini dei maestosi corredi provenienti dalle necropoli di Verucchio e di rimanere estasiati di fronte alla ricchezza ostentata dalla classe gentilizia di questo centro affacciato sull’Adriatico.
Beh, vedere dal vivo le massicce fibule ad arco rivestito, con preziose tarsie e castoni in ambra e osso, fa un certo effetto.
In genere depositate a coppie nelle sepolture, esse testimoniano una precisa scelta dei committenti nell’indicare, attraverso i ricchi ornamenti personali dei defunti, la loro potenza e il loro alto rango sociale. Un complesso apparato di “riferimenti simbolici”), nel tentativo di decodificare il quale risiede il grande fascino della civiltà etrusca.
Bronzi, ambre, argento, oro: un horror vacui e uno sfoggio di agiatezza economica strettamente legati alle logiche degli aristocratici di Verucchio, detentori del potere economico, nonché politico, grazie ad una redditizia attività commerciale basata sullo smercio dell’ambra. Nell’VIII sec. a.C. Verucchio diventa infatti il principale centro di smistamento e di lavorazione della pietra preziosa in tutta l’Etruria e non solo.
La visione in mostra dei ricchissimi corredi delle tombe verucchiesi vi farà “toccare con gli occhi” la straordinarietà di questo avamposto etrusco sull’Adriatico, a torto meno noto di Vulci, Tarquinia, Veio, Cerveteri ai non addetti ai lavori.
E ora i miei tre consigli da archeologa per godervi al meglio la mostra #EtruschiBologna.
1- Non abbiate fretta
Siamo archeologi.
La pazienza dovrebbe essere la nostra principale virtù.
Saremmo capaci di stare ore davanti a una singola teca di un museo.
Se non leggiamo tutte le didascalie di ogni vetrina ci sembra di non aver visitato davvero una mostra.
Abbiamo la capacità di non sentirci mai sazi di cocci, vasi, suppellettili, ornamenti.
Per queste e mille altre ragioni il mio consiglio spassionato è di prendervi una giornata intera per godervi in pieno la mostra #EtruschiBologna.
Considerate che io ci ho messo 2 ore solo per le prime 4 sale.
E dopo esserci stata in tutto 5 ore sono uscita con la sensazione di non aver visto davvero tutto e la voglia di tornare di nuovo a Bologna.
La mostra infatti è super stimolante e ben organizzata, motivo per il quale il tempo vi scivolerà di mano senza che ve ne rendiate conto.
2- Foto solo con il cellulare
In mostra è possibile fare soltanto foto con lo smartphone, quindi attrezzatevi di conseguenza, è inutile caricarvi la reflex sul groppone.
Internet prende bene (almeno ho.mobile e wind), potete approfittarne per postare foto e video sui social usando l’hashtag #EtruschiBologna e taggando @electaeditore, @bolognamusei su Instagram.
3 – Comprate il catalogo
Se siete archeologi potete comprare il catalogo.
Se siete etruscologi dovete comprare il catalogo.
È vero, non è proprio economico, in mostra è in vendita a 43 euro (con il 15% di sconto sul prezzo di listino) però per chi si occupa di etruschi è un acquisto imprescindibile.
Sono 528 pagine nel formato 24 x 31.
Qui sotto vi metto l’indice per darvi un’idea di come è organizzato e dei temi trattati.
I curatori Le ragioni di una mostra
Giuseppe Sassatelli Gli Etruschi oggi
Vincenzo Bellelli Uomo e territorio nell’Etruria antica
Roberto Macellari Un popolo in viaggio. Viaggiatori etruschi della mitistoria
Marco Rendeli I “viaggi” degli Etruschi
Alain Schnapp Il viaggio e la curiosità antiquaria: un approccio comparato
Giuseppe Maria Della Fina Il viaggio alla scoperta dell’Etruria
SULLE TRACCE DEI RASNA
Anna Dore I documenti
IL TEMPO DEI RASNA
Tavola cronologica
Anna Dore Le origini. IX sec. a.C.
Anna Dore L’alba della città. Fine del IX – terzo quarto dell’VIII sec. a.C.
Anna Dore Il potere dei principi. Ultimo quarto dell’VIII – inizi del VI sec. a.C.
Maria Antonietta Rizzo Cerveteri (Roma), la necropoli del Laghetto e la tomba 608
Marinella Marchesi Una storia di città. VI – V sec. a.C.
Marinella Marchesi La fine del mondo etrusco. IV – II sec. a.C.
LE TERRE DEI RASNA. ETRURIA MERIDIONALE
Gilda Bartoloni L’Etruria meridionale
Marco Pacciarelli Tarquinia e Veio. L’alba delle città etrusche
Flavia Trucco Tarquinia (Viterbo), la necropoli di Villa Bruschi Falgari
Laura Maria Michetti Caere e Pyrgi. La città arcaica nelle sue forme sociali e politiche e la nascita degli empori
Fabio Colivicchi Cerveteri (Roma), le terrecotte architettoniche dalla Vigna Marini Vitalini
Maria Antonietta Rizzo Cerveteri (Roma), il santuario di Hercle in località Sant’Antonio
Simona Carosi, Carlo Casi Vulci. Società, identità e relazioni tra l’età orientalizzante e l’età arcaica
LE TERRE DEI RASNA. ETRURIA CAMPANA
Luca Cerchiai L’Etruria campana
Carmine Pellegrino Gli Etruschi del golfo di Salerno: scambi, relazioni, fenomeni di mobilità
e integrazione dalla fase villanoviana alla sannitizzazione
Massimo Osanna Gli Etruschi e l’urbanizzazione della Campania: il caso di Pompei
Carlo Rescigno Capua e gli artigiani campani
Ida Gennarelli Curti (Caserta), il Santuario di Fondo Patturelli
LE TERRE DEI RASNA. ETRURIA INTERNA TIBERINA
Giulio Paolucci L’Etruria interna tiberina
Simonetta Stopponi Orvieto, Etruriae caput
Simonetta Stopponi Orvieto (Terni), il Fanum Voltumnae
Giulio Paolucci Chiusi. La rappresentazione del defunto: prìncipi e società dell’Etruria interna
Ada Salvi Cortona in età orientalizzante e arcaica
Luana Cenciaioli Perugia. La società oligarchica tra Etruria e Roma
LE TERRE DEI RASNA. ETRURIA SETTENTRIONALE
Adriano Maggiani L’Etruria settentrionale costiera, da Vetulonia a Volterra
Matteo Milletti La nascita di Vetulonia: il lago Prile e il distretto minerario del massetano
Andrea Camilli Populonia e i metalli
Marisa Bonamici Il comprensorio Pisa-Volterra-Fiesole
Gabriella Poggesi Gonfienti (Prato), insediamento etrusco sul Bisenzio
LE TERRE DEI RASNA. ETRURIA PADANA
Elisabetta Govi L’Etruria padana
Laura Bentini, Patrizia von Eles Verucchio: una comunità aristocratica tra età del Ferro e Orientalizzante
Federica Guidi, Marinella Marchesi Bologna, metropoli dei Rasna
Anna Dore Bologna, il gruppo A della necropoli della Fiera
Patrizia von Eles Bologna, la necropoli di via Belle Arti
Paola Desantis, Andrea Gaucci Spina. La città portuale nelle lagune del Delta padano e il commercio nel Mediterraneo
Alberta Facchi Adria. La città etrusca che ha dato il nome al mar Adriatico
Roberto Macellari L’Emilia occidentale. Terra di frontiera, terra di incontri
Elena Maria Menotti Mantova. La città etrusca su un’isola del Mincio: gli dei e i commerci
Raffaele Carlo de Marinis Il Forcello di Bagnolo San Vito (Mantova), testa di ponte degli Etruschi a nord del Po
Elisabetta Govi Marzabotto. La città fondata
I MUSEI ETRUSCHI
Mario Iozzo Il Museo Archeologico Nazionale di Firenze e il suo ruolo nel quadro degli studi etruscologici
A cura del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia Il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia
Maurizio Sannibale Il Museo Gregoriano Etrusco: storia di luoghi e di persone
Anna Dore, Paola Giovetti, Laura Minarini Le antichità etrusche del Museo Civico Archeologico di Bologna
Luigi Malnati I musei con collezioni di antichità etrusche in Italia: quadro storico e sistema
Paolo Capponcelli – PAN Studio L’allestimento della mostra
Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna è una mostra promossa e progettata da Istituzione Bologna Musei | Museo Civico Archeologico, in collaborazione con la Cattedra di Etruscologia e Antichità Italiche dell’Università degli Studi di Bologna, e realizzata da Electa.
Il progetto scientifico è a cura di Laura Bentini, Anna Dore, Paola Giovetti, Federica Guidi, Marinella Marchesi, Laura Minarini (Istituzione Bologna Musei, Museo Civico Archeologico) e Elisabetta Govi, Giuseppe Sassatelli (Cattedra di Etruscologia e Antichità Italiche dell’Università degli Studi di Bologna).
Il progetto di allestimento è a cura di PANSTUDIO.
https://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/IMG_7914.jpg23043456Antoniahttp://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/logopervideo-300x74-1-300x74.jpgAntonia2019-12-14 11:56:522020-05-14 11:26:49Perché visitare la mostra #EtruschiBologna e tre consigli da archeologa
Non avevo mai visitato finora un museo archeologico che riuscisse a parlare a tutti senza essere solamente una mera esposizione di materiali, ma un racconto. E invece il Museo delle Navi Antiche di Pisa, non solo narra delle storie, ma le rende anche comprensibili.
Qui di seguito vi spiego perché visitare il Museo delle Navi Antiche di Pisa in 5 rapidi punti.
Non è noioso
Shhhh, tra di noi possiamo confessarcelo.
Molti musei archeologici sono oggettivamente noiosi: una serie interminabile di vetrine con oggetti tutti uguali, didascalie piccolissime e spesso incomprensibili. Per non parlare dei pannelli cosiddetti didattici che con le loro righe fitte fitte di parole in carattere 8 attraggono un visitatore quasi quanto un film giapponese muto in b/n con i sottotitoli in lingua chalcatongo mixtec.
Per questo motivo trovarmi di fronte a un museo moderno come quello delle Navi Antiche mi ha spiazzata, sia come archeologa che come utente, richiamando alla mia memoria cinematografica (per restare in tema) il Gene Wilder di Frankenstein Junior.
L’allestimento multimediale, innovativo, suggestivo (del quale vi parlo tra poco), nonché l’incantevole cornice delle maestose sale e campate degli Arsenali Medicei, sul lungarno pisano, nelle quali sono esposti i materiali archeologici, fanno sì che passeggiare tra le sale del museo sia un’esperienza piacevole e non claustrofobica. Gli ampi spazi permettono di soffermarsi sugli oggetti più interessanti e la distribuzione dei reperti per una volta non accatastati, ma ben ripartiti tra le vetrine, consente di prendere fiato tra una teca e l’altra.
L’apparato didattico
Il punto di forza del Museo è senz’altro l’apparato didattico, che è INCREDIBILE
Il Museo delle Navi Antiche di Pisa ha chiara una missione: non rivolgersi solo agli addetti ai lavori ma anche ad un pubblico più generalista e porta a termine questo compito in maniera esemplare attraverso una pannellistica da manuale.
Volete qualche esempio?
Le mappe di distribuzione. Marmi, classi ceramiche, anfore: ad ognuna di queste categorie di oggetti trovate nel corso dello scavo è dedicata una mappa che indica la loro provenienza. Un approccio comunicativo di questo tipo fa felici sia gli studiosi (o studenti) appagando il loro senso di appartenenza alla categoria e facendo loro “sbrilluccicare” gli occhi di fronte alle frecce che collegano ogni tipo di anfora alla provincia di origine e soprattutto aiuta i non addetti ai lavori a capire quali e quanti fossero i traffici commerciali che interessavano il Mediterraneo nel passato.
Ph. Credit: Antonia Falcone
Ph. Credit: Antonia Falcone
La ricostruzione di una cucina navale che visualizza immediatamente come doveva essere fatto questo ambiente di bordo. Anche in questo caso si aiutano i non esperti (tra cui la sottoscritta per esempio che non si è mai occupata di archeologia navale) a immergersi nella vita quotidiana di età romana.
Ph. Credit: Antonia Falcone
La lunga vetrina con TUTTE le classi di materiali che si rinvengono durante uno scavo: non solo ceramica, ma anche vetri, marmi, intonaco, metalli,ossa fino ad arrivare in una suggestiva sequenza crono-tipologica ai calcinacci moderni, al cemento e alle bottiglie di birra. Che dire? Occhi a cuore!
La parete di anfore
E a proposito di didattica non si può rimanere indifferenti di fronte alla super mega parete di anfore nella Sala VI dedicata ai commerci, perché come recita il sito web del Museo “si viaggia per mare anche e soprattutto per commercio: l’oggetto principe sono le anfore da trasporto, i contenitori di quasi tutti i prodotti che si vendevano nel mondo antico; diffusione, importazione ed esportazione di merci particolari: beni di lusso, marmi, ceramica fine da tavola.”
E su questa parete ci sono tutte le anfore conosciute a Pisa su un’unica parete: forme, contenuti e provenienze.
La parete che ogni archeologo vorrebbe avere a casa sua, perché consente subito l’attribuzione cronologica e tipologica delle anfore di età romana, una sorta di Tavola di Dressel sul muro.
Ph. Credit: Antonia Falcone
La suggestione di questa sala del museo è destinata a rimanere nella memoria di chiunque visiti il Museo delle Navi Antiche di Pisa!
L’allestimento
A cosa serve il Museo delle Navi Antiche di Pisa?
Ad esporre le navi antiche e i reperti scoperte nel 1998 durante i lavori per la costruzione della sede del nuovo Sistema di Comando e Controllo (SSC) presso la stazione di Pisa San Rossore. A ben 6 metri di profondità cominciarono ad emergere diversi relitti navali in straordinario stato di conservazione: ci si trovava di fronte al punto di incrocio di un canale della centuriazione pisana con il corso del fiume Serchio, dove sono affondate almeno trenta imbarcazioni a causa delle alluvioni.
Come raccontare una storia così eccezionale e come esporre reperti rarissimi come intere imbarcazioni?
Con quasi 5000 metri quadri di superficie espositiva e 47 sezioni divise in 8 aree tematiche nelle quali sono esposte ben sette imbarcazioni di epoca romana, databili tra il III secolo a.C. e il VII secolo d.C. e circa 800 reperti per un museo che racconta un millennio di commerci e marinai, rotte e naufragi, navigazioni, vita di bordo e della storia della città di Pisa.
La progettazione dell‘exhibition design si deve a Maurizio di Puolo e Anna Ranghi, il tutto sotto la direzione scientifica di Andrea Camilli, responsabile di progetto per la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Pisa e Livorno.
Il progetto espositivo vi stupirà: grandi spazi progettati per essere vissuti in pieno dal visitatore che può aggirarsi tra le diverse sale senza un percorso costrittivo, ma seguendo le proprie suggestioni e istinti.
Istinto che per esempio mi ha portata nella sala VII all’interno di un piccolo planetario dove assistere ad un filmato che racconta come si orientavano in antico con le stelle in mare aperto. Questa sala riserva però un’altra sorpresa incredibile: un tabellone elettronico delle partenze e degli arrivi, uguale a quelli che visioniamo in stazione o in aeroporto, dove però sono riportati, rigorosamente in numeri romani, i giorni di navigazione necessari a raggiungere da Pisa i principali porti del Mediterraneo.
Ph. Credit: Antonia Falcone
Non mancano le sezioni più tradizionali con vetrine che contengono gli oggetti della vita di bordo: dall’abbigliamento ai bagagli, fino alle abitudini alimentari, ai culti e alle superstizioni.
Questa vetrina
… che racconta la Professione dell’Archeologo.
Ph. Credit: Antonia Falcone
Chiudo questa lunga recensione del Museo delle Navi Antiche di Pisa con una dritta: se vi trovate a Pisa e provincia oggi sabato 30 novembre sappiate che il quotidiano «La Nazione» regalerà ai propri lettori Il libro «Le navi antiche di Pisa. Guida all’esposizione», edito da Pacini, in abbinamento gratuito con il giornale!
https://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/IMG_20190915_175200.jpg34564608Antoniahttp://www.professionearcheologo.it/wp-content/uploads/logopervideo-300x74-1-300x74.jpgAntonia2019-11-30 10:50:362020-05-14 11:18:335 validi motivi per visitare il Museo delle Navi Antiche di Pisa
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