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Art Bonus Foto libere

Se un giorno d’estate un ricercatore (o sulle limitazioni alla libertà di fotografare fonti archivistiche e bibliografiche)

Il non-sense è sempre in agguato.

 

È strano, ma proprio nei provvedimenti salutati con grande entusiasmo spesso si nasconde un vulnus assurdo ed imprevisto che invece di migliorare la situazione riesce quasi a peggiorare quella esistente.

 

Correva l’anno 2014 quando, tra scene di giubilo e applausi vari, col decreto detto Art Bonus, il Ministro Dario Franceschini decise di liberalizzare la riproduzione fotografica dei beni culturali conservati in ogni dove.

 

L’Italia era finalmente entrata nel XXI secolo! O almeno così pareva.

 

Ben presto, infatti, gli addetti ai lavori ed i più attenti esperti di open data rilevarono che il provvedimento, in effetti, aveva ben più di un problema e che a ben guardare di dati aperti non si trattava affatto.

 

“Sempre meglio di niente” commentarono gli ottimisti. “Eppur si muove” cinguettarono i sarcastici. “Tutto da rifare” dissero i soliti borbottoni. Ma nemmeno questi ultimi avevano previsto che la situazione potesse peggiorare. E invece, l’imprevedibile accadde.

 

Perché, cari lettori, come un tempo si insegnava nelle neglette lezioni di educazione civica, i decreti, come i pomodori in barattolo, hanno la scadenza. Per questo motivo, dopo un po’, vanno convertiti in legge. E nel convertire Art bonus, così amato e criticato, nella foga di migliorarlo, ci scappò il “pastrocchio”.

 

All’indomani della pubblicazione della legge, un ignaro ricercatore (se fosse studente, dottorando, professionista o professore non è dato saperlo, ma di sicuro esperto in materia di Beni Culturali) si accorse di una cosa.

 

Tutti potevano fotografare tutto, ma lui, i documenti d’archivio che gli servivano per proseguire le sue ricerche, no.

 

Quelle foto avrebbe dovuto pagarle.

 

Ohibò, era mai possibile che il legislatore ritenesse le esigenze del ricercatore meno importanti di quelle del turista che scatta un selfie con Paolina Borghese?

 

Rilesse bene tutto. No, purtroppo non si era sbagliato.

 

Sembra un racconto fantasioso e invece è tutto vero.

 

Lo scorso luglio, con la conversione in legge di Art Bonus, è stato approvato un emendamento restrittivo che esclude dalla libera riproduzione i beni archivistici e bibliografici, inizialmente prevista dal decreto.

 

Si torna quindi al regime precedente: le immagini di documenti d’archivio e libri dovranno essere pagate, anche se si è autorizzati a farle con mezzi propri, oppure commissionate al concessionario di turno.

 

Ovviamente tale norma, oltre che essere illogica, crea e creerà problemi a chi fa ricerca o a chi, per svolgere compiutamente il proprio lavoro, ha bisogno di materiale d’archivio.

 

Della sensibilizzazione e della legittima protesta sulla questione si occupa ormai da molti mesi il movimento Fotografie Libere per Beni Culturali, che si propone di favorire la fruizione libera e gratuita delle fonti documentarie in archivi e biblioteche per finalità di ricerca. Sul sito troverete approfondimenti, rassegna stampa e iniziative intraprese.

 

Anche grazie a questa mobilitazione, qualcuno dei componenti della Commissione Cultura della Camera ha ammesso, con apprezzabile sincerità, che la decisione presa è stata un errore. Di prossime rettifiche, tuttavia, per il momento non si ha nessuna notizia.

 

Nell’attesa che qualcosa cambi nel prossimo futuro, è possibile firmare la petizione lanciata da Foto Libere per i Beni Culturali, già sottoscritta da tanti ricercatori, studenti, archeologi e intellettuali fra i quali figurano anche diverse personalità illustri.

 

Foto Libere per il Beni Culturali è anche su Twitter e Facebook.

 

*

 

Paola Romi (@OpusPaulicium)

 

 

 

Online il Portale della Trasparenza del Grande Progetto Pompei

 

È online da questa mattina il Portale della Trasparenza del Grande Progetto Pompei (GPP), che rende disponibili tutti i dati finanziari relativi ai venti appalti finora banditi dalla Direzione Generale del GPP per il restauro e la manutenzione della città antica, per un totale che al momento ammonta a circa 30 milioni di Euro.

 

Il portale è ancora un prototipo, ma è un risultato importante perché offre al grande pubblico informazioni su come viene mantenuto e protetto uno dei siti archeologici più famosi e preziosi del mondo, estremamente presente nell’immaginario collettivo e patrimonio dell’umanità.

 

Ed è proprio la collettività uno degli elementi portanti di questo progetto, perché “se ci sono abbastanza occhi a guardare, tutti gli errori vengono a galla”, e non a caso i cittadini sono invitati ad inviare idee e suggerimenti sul come migliorare il portale stesso, nella prospettiva di una gestione partecipata del sito archeologico.

 

Lo scopo di OpenPompei, infatti, un progetto parallelo al GPP, è proprio quello della promozione di un nuovo modello di gestione del patrimonio culturale incentrato sulla trasparenza e sulla partecipazione.

 

Si tratta di un vero e proprio percorso che “si propone di aprire un canale di comunicazione tra i soggetti che vengono emergendo nell’era digitale – innovatori sociali, attivisti, hackers, startuppers – e lo Stato italiano” ed in virtù di questo ha voluto coinvolgere professionisti dai profili diversi aprendosi anche a contributi esterni e creando una piazza di discussione intorno al tema degli open data e della partecipata attiva dei cittadini (oltre un anno fa, anche noi di PA prendemmo parte a questa discussione con un post realizzato in collaborazione con Valeria Boi).

 

La speranza è di vedere pubblicati in futuro nuovi dati, anche di natura archeologica (piante, rilievi, ricostruzioni virtuali, foto, mappe di rischio, ecc.), che saranno spendibili non solo dalla comunità scientifica italiana ed internazionale, ma potranno dar vita anche a nuovi strumenti di promozione e valorizzazione di Pompei e del territorio campano.

 

Nel frattempo, Pompei si apre a Wiki Loves Monuments, il più grande concorso fotografico del mondo dedicato ai beni culturali, giunto quest’anno alla sua terza edizione nel nostro paese.

 

Il lavoro da fare è ancora tanto, non solo a Pompei ma più in generale nel mondo dei beni culturali, ma i risultati finora raggiunti sono davvero molto incoraggianti.

 

Ben fatto dunque al team di OpenPompei, e buon lavoro a tutti!

 

 

Opening the Past 2014

Opening the Past 2014 (Pisa, 23 maggio)

 

“Aprire il passato significa raccontarlo”

 

Con questa filosofia si svolge oggi a Pisa la seconda edizione di Opening the Past, il convegno di Mappa Project dedicato all’archeologia che parla agli altri e fa parlare di sé.

 

Il tema di quest’anno è immersive archaeology ed ha al centro la riflessione sulle diverse tecniche narrative che le moderne tecnologie mettono a disposizione degli odierni archeologi-narratori.

 

Seguendo le esperienze di archeologi che sono anche blogger, video maker, esperti di social network e di gamification, Opening the Past racconta l’archeologia che ci piace, che indaga il passato ma è immersa nel presente e in questo tempo crea relazioni forti con il grande pubblico, con le comunità locali, con l’affollata platea della rete.

 

Quattro sessioni per condividere esperienze e lanciare nuove idee, all’insegna della partecipazione, degli open data e di una divulgazione sì scientifica, ma anche innovativa nei modi, che non ha paura di imboccare nuove strade.

 

Come lo scorso anno, anche quest’edizione presenta un video contest, con sei video in gara per raccontare le diverse facce dell’archeologia, dal lavoro sul campo, alla divulgazione fino alla protesta. I video sono elencati in questa pagina e per qualche ora (fino alle 12 di oggi) sarà ancora possibile votarli cliccando ‘mi piace’ su You Tube.

 

Qui il ricco programma dell’evento dell’evento, mentre a questo link sono disponibili i pre-atti dell’evento, liberamente scaricabili in formato .pdf.

 

Mappa Project ha anche una Pagina FB ed un account Twitter.

 

Sarà possibile seguire gli aggiornamenti da Opening The Past attraverso l’hashtag #op14.

 

@domenica_pate

 

 

#beniculturaliaperti: sottoscrivi gli emendamenti

Abbiamo deciso di iniziare il 2014 con il sostegno all’iniziativa #beniculturaliaperti.

 

 

Negli ultimi mesi sulle pagine di Professione Archeologo ci siamo occupati spesso di Open Data perchè siamo convinti che la battaglia per aprire i dati e consentirne l’accessibilità a tutti senza limiti di riproduzione e senza brevetti sia imprescindibile quando si parla di ricerca, studio e valorizzazione.
Aprire i dati significa prima di tutto condivisione, partecipazione e trasparenza, ma vuol dire anche creare “occasioni di sviluppo economico per chi già lavora con dati delle pubbliche amministrazioni o per chi ha progetti che necessitano l’analisi o l’uso di dati.” (Cosa sono gli open data?)

 

 
Si tratta, in poche parole, di un fatto di civiltà, necessario più che mai oggi, nel 2014.

 

 
Basti pensare che poco prima di Natale la British Library, biblioteca nazionale del Regno Unito, ha rilasciato su Flickr oltre un milione di immagini disponibili per tutti senza alcuna restrizione di copyright. Significa cioè che “chiunque può scaricarle, ripubblicarle, rielaborarle e farne l’uso che vuole”.

 

 

Anche il Getty Museum nell’estate dell’anno scorso ha rilasciato ben 4.600 immagini del suo immenso archivio: “l’iniziativa, chiamata Open Content Program, offre gratuitamente file in alta risoluzione e in cambio chiede solo di porre una didascalia che specifica come l’immagine sia stata ceduta per gentile concessione”.

 
Insomma sembra che all’appello manchiamo solo noi.

 

 

Ed è per questo motivo che invitiamo i nostri lettori a sottoscrivere gli emendamenti di #beniculturaliaperti.
Si tratta di un progetto di Open Knowledge Foundation Italia OKFn Italia con il supporto di International Webmasters Association IWA Italy  che “vuole promuovere una serie di modifiche al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio per rendere i dati dei Beni Culturali Italiani disponibili e riusabili per tutti”.

 

 
Sul sito è disponibile il testo dei nove emendamenti proposti, con relativa motivazione. E’ inoltre possibile commentare il testo qui.

 

 

Per sottoscrivere gli emendamenti basta collegarsi su www.beniculturaliaperti.it e compilare il form a questo link: in questo modo è possibile sostenere l’iniziativa presso il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo nella persona del Ministro Massimo Bray inviandogli, oltre al link al testo degli emendamenti, il seguente testo:

 

 

Ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo Massimo Bray

Gentile Ministro Bray,

sottoponiamo alla Sua Attenzione degli emendamenti al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio per introdurre il principio di opendata per i dati dei Beni Culturali.
Siamo convinti che il potenziale conoscitivo del nostro Patrimonio artistico sarà amplificato proprio grazie alla semplificazione e al riuso dei dati delle nostre opere d’arte, incoraggiandone la conservazione e la visita.
Riteniamo anche che un’accessibilità diretta ai dati digitali sia fondamentale: per far conoscere opere meno note e per tutelarne la conservazione; allo stesso tempo tali emendamenti favorirebbero la digitalizzazione delle opere dal momento che poi i dati sarebbero a disposizione di tutti e riusabili facilmente.

Ci rivolgiamo a Lei Ministro Bray, consapevoli che il lavoro di conservazione, catalogazione e restauro delle nostre opere d’arte dei professionisti che, presso le varie istituzioni dello Stato, ne sarà valorizzato e sarà di esempio per gli altri Paesi.

Confidiamo nella sua disponibilità e nell’accoglimento delle nostre proposte

Grazie

 

 

Gli hashtag da seguire su twitter sono #beniculturaliaperti #opendata #openheritage

open access archaeology

Be open, be free

“Archaeologists have an ethical obligation to make their data available” (Sue Alcock)

 

Uno spettro si aggira nel mondo dell’archeologia e si chiama “open”: open data, open source, open access.

 

Qui sulle pagine virtuali di Professione Archeologo ci siamo occupati spesso del tema della trasparenza e accessibilità del dato archeologico e delle pubblicazioni scientifiche, perché riteniamo che l’apertura dei dati sia una delle sfide che ci toccano più da vicino, in quanto creatori e fruitori di contenuti.
Le iniziative che guardano all’archeologia open come modello da sostenere e incrementare diventano sempre più frequenti e sono improntate alla multidisciplinarietà, facendo della contaminazione di linguaggi e ricerche una cifra significativa (matematica, archeologia, geologia, informatica, etc).

 

A questo proposito, ricordiamo che dal 13 al 15 giugno ha avuto luogo Opening The Past 2013, proprio su predictivity, open data, open access e geoarchaology. Qui trovate il sito di Mappa Project dove è possibile scaricare i pre-atti del convegno.

 

Si sta svolgendo invece in queste ore a Catania l’edizione 2013 del workshop ArcheoFOSS – Open Source, Free Software e Open Format nei processi di ricerca archeologica, organizzato dall’Image Processing Lab dell’Università di Catania che si propone di accendere i riflettori su:

 

 

“utilizzo innovativo e sviluppo di software libero e open source nella ricerca archeologica e nei beni culturali;
diffusione di banche dati gestite da enti di ricerca e tutela secondo i principi degli open data, e libera circolazione della conoscenza.”

 

 

E’ possibile seguire il livetwitting dell’incontro che continuerà anche domani grazie all’hashtag #archeofoss, mentre qui trovate il sito web dedicato.

 

Un’altra importante inziativa che abbiamo seguito fin dall’inizio è quella di OpenPompei.

 

Il progetto è ormai entrato nel vivo e si caratterizza per la volontà chiara di mettere in luce le realtà del territorio campano che portano avanti forme di sviluppo sano nella regione. A questa volontà non sfugge l’archeologia. E’ chiara infatti la necessità di avviare un percorso di apertura dei dati che coinvolga anche l’area archeologica di Pompei. E gli amici di OpenPompei hanno “aperto” il loro blog anche a noi archeologi, raccogliendo suggerimenti e contatti.

 

E’ di qualche giorno fa, ad esempio, un post in cui si chiamano a raccolta esperti di dati aperti ed economia hacker, per la creazione di una long list che includa tutti coloro che vogliono dare un contributo al progetto.

 

Insomma, l’archeologia si sta finalmente aprendo anche in Italia alla condivisione libera e trasparente dei dati. Di lavoro da fare, di certo, ce n’è ancora tanto, ma da qualche parte bisogna pure cominciare, e chi ben comincia…

OpenBiblio: le risorse di Professione Archeologo

Il sito di Professione Archeologo si arricchisce di una nuova pagina: OpenBiblio.

 

In questa sezione metteremo a disposizione i link a riviste online, portali e siti che consentono di consultare o scaricare gratuitamente materiale bibliografico a tema archeologico.

 

La mission di Professione Archeologo è quella di sostenere e incrementare un’idea di conoscenza libera e fruibile, di fare della condivisione uno strumento di crescita della coscienza collettiva. Da queste parti siamo convinti che il web offre infinite possibilità di interscambio e arricchimento.

 

E quale migliore strumento se non quello dell’open access?

 

Nell’attesa trepidante che l’archeologia, in un futuro prossimo, riesca a sviluppare in pieno tutte le potenzialità offerte dagli Open Data, vogliamo dare il nostro piccolo contributo alla causa.

 

Invitiamo pertanto gli aficionados di PA a segnarlarci, via mail, siti e portali dove è possibile accedere liberamente alle pubblicazioni scientifiche.

 

Don’t forget: be connected!

 

PS: Alla creazione della  pagina OpenBiblio ha collaborato Davide Mastroianni (@Davide_MastR  su twitter), nuovo membro dello staff di Professione Archeologo.

 

 

 

OpenPompei: archeologia, trasparenza e legalità

Il preambolo

 

Con il crollo della Schola Armaturarum il 6 novembre del 2010 Pompei divenne l’emblema di un Paese allo sfascio e di una regione, la Campania, strangolata dalla Camorra.

Lo stato d’emergenza in cui versava e tuttora versa il sito archeologico, lo shock al seguito dei continui crolli e tutte le polemiche che ad essi si sono susseguite, hanno favorito la genesi del Grande Progetto Pompei, frutto della collaborazione tra Governo Italiano e Commissione Europea, presentato il 5 aprile 2012 e da subito operativo.

 

 

Il Progetto, finalizzato alla riqualificazione del sito archeologico di Pompei entro il 31 dicembre 2015, prevede una serie di interventi di restauro e potenziamento dei servizi, sotto la garanzia di un Protocollo di legalità.

 

 

Un momento importante del progetto è quello legato ai temi della trasparenza e della partecipazione, per garantire ai cittadini il controllo degli interventi e il rapido loro conseguimento:

– informare costantemente i cittadini sulla ratio della policy, sui processi amministrativi, sulla filiera delle imprese appaltatrici, sullo stato di avanzamento degli interventi e sui flussi finanziari relativi.

– recepire le segnalazioni e le proposte dei cittadini che vogliano dare così il loro contributo per lo sviluppo dell’area.

 

 

Open Pompei

 

È per concretizzare questi principi che nasce OpenPompei, progetto ideato da Studiare Sviluppo (società in-house del Ministero dell’Economia) e che vede Alberto Cottica come direttore operativo.

 

 

I suoi obiettivi principali sono chiari:

1. Promuovere la cultura della trasparenza delle amministrazioni pubbliche
2. Conoscere e capire il territorio campano
3. Valorizzare i nuovi protagonisti dello sviluppo in Campania

 

 

Open Pompei vuole essere un hackerspace, luogo in cui discutere ed elaborare strategie audaci e innovative, coinvolgendo, ad un tempo, Stato Italiano e innovatori sociali, attivisti, hackers, startuppers.

La sinergia degli attori digitali e dei cittadini deve servire a facilitare il monitoraggio dei dati, favorire il dibattito e suggerire miglioramenti, in un’ottica di partecipazione collettiva.

 

 

Imprescindibile diventa quindi l’uso degli Open Data, attraverso i quali rendere pubblici i dati su politiche amministrative, gare, appalti, servizi, forniture, flussi di denaro e stato dei lavori, cominciando da quelli della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei e del Grande Progetto Pompei.

 

 

Quale futuro

 

“Il sogno dietro OpenPompei è di costruire un’alleanza tra civic hackers, impresa sana e Stato, per tenere alta l’attenzione sulla spesa pubblica e combattere la corruzione… Visto che si fa spesa pubblica sulla cultura in Campania e la si protegge contro infiltrazioni criminali, vale la pena di fare un passo in più, e pubblicare i dati di spesa del Grande Progetto Pompei in formato aperto” (link al blog di Alberto Cottica)

 

Qui è disponibile un’intervista ad Alberto Cotttica sul progetto OpenPompei

 

 

Who’s who : Alberto Cottica è un economista esperto di politiche pubbliche collaborative e partecipazione online. Si impegna per rendere l’azione di governo più aperta e intelligente, utilizzando Internet per attingere all’intelligenza collettiva dei cittadini. Appassionato di matematica delle reti per imparare a progettare dinamiche sociali emergenti. È stato (anche) musicista rock, membro fondatore dei Modena City Rambles e dei Fiamma Fumana.

Un esempio virtuoso di archeologia e divulgazione (da massaciuccoliromana)

Oggi vi proponiamo un esempio virtuoso di come si possa fare divulgazione scientifica sfruttando gli strumenti messi a disposizione dal web.

A soli quattro mesi dalla conclusione dell’indagine archeologica realizzata nel Cantiere dell’area “Massaciuccoli romana” sono stati messi online i risultati della campagna di scavo 2011-2012.
Con un grande lavoro la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, il Comune di Massarosa e tutta l’équipe di ricerca, hanno voluto offrire contemporaneamente due diversi livelli di accesso ai risultati dell’indagine. Tutto il materiale è rilasciato con licenza CC BY, consultabile e scaricabile gratuitamente.

Particolarmente degna di nota in una prospettiva open access è la possibilità di consultare tutta la documentazione di scavo.

Il sito è visitabile qui

Archeologia, accesso ai dati e democrazia (da steko.iosa.it)

Come possiamo pretendere che uno studente partecipi ad uno scavo se non gli vengono forniti gli strumenti per capire cosa sta facendo? In che modo un professionista dovrebbe lavorare sul campo se non ha accesso alla documentazione delle ricerche pregresse in una determinata area?

Una riflessione su archeologia e libero accesso ai dati (qui)

ORBIS: uomini e merci nell’impero romano a portata di click

Sviluppato dalla Stanford University e frutto del lavoro di un’equipe multidisciplinare, ORBIS è un modello open source, interattivo, in continuo aggiornamento ed aperto ai contributi esterni che permette di esplorare e meglio comprendere il peso economico del viaggio nell’antica Roma.

Attraverso l’aggregazione dei dati relativi a centinaia di siti urbani, stationes, approdi, rotte viarie, marittime e fluviali, e tenendo conto delle diverse modalità di trasporto esistenti, del periodo dell’anno, e del costo medio per lo spostamento delle merci, è infatti possibile simulare qualsiasi viaggio da una parte all’altra dell’impero, e misurarne non solo la durata, ma anche il costo (in denarii).

 

Esteso su un nono della circonferenza terrestre e attraverso tre continenti, l’impero romano controllava un quarto dell’umanità attraverso una complessa reta di potere politico, dominazione militare e scambi economici. Tali connessioni erano sostenute da sistemi di trasporto pre-moderni e da tecnologie di comunicazione che si basavano sull’energia generata da uomini e animali, dai venti, dalle correnti. […]
La mappe convenzionli che rappresentano questo mondo come appare dallo spazio non riescono a rendere le severe restrizioni ambientali che governavano i flussi di persone, beni ed informazioni. Il costo, piuttosto che la distanza, è il principale fattore che determina l’interconnessione.

 

Questo il sito internet, dove è disponibile anche tutta la bibliografia relativa al progetto.