Le necropoli di Ruvo e il Museo Jatta: un patrimonio archeologico da valorizzare con #RubiAntiqua
Una semplice ricerca su Academia.edu con le parole chiave Ruvo di Puglia consegna quasi 2000 risultati tra papers, presentazioni e abstract: numeri importanti se pensiamo a questa piccola cittadina pugliese adagiata nel Parco della Murgia barese. La notorietà di Ruvo di Puglia è legata essenzialmente all’ambito archeologico: sono infatti importanti e significativi i reperti provenienti dalle necropoli ruvestine che oggi fanno sfoggio di sé nei più prestigiosi musei europei.
Parlare di Ruvo significa anche rendere omaggio alla famiglia Jatta che ha testardamente mantenuto nella città pugliese una collezione di reperti dal valore inestimabile, tra i quali spiccano in particolare imponenti vasi a figure rosse, orgoglio della produzione artigianale locale e frutto degli scambi di Rubi con il mondo ellenizzato, reperti oggi conservati nel Museo Nazionale Jatta.
Per raccontare la storia di Ruvo, dei saccheggi passati, dell’internazionalità di un patrimonio archeologico preziosissimo e della nascita e valorizzazione del Museo Jatta è stato organizzato il convegno “Rubi Antiqua: du collectionnisme à l’archéologie, Ruvo di Puglia et l’Europe”, evento svolto con il supporto dell’agenzia Pugliapromozione (del quale vi abbiamo parlato qui), incontro che ha fatto il punto sui primi quattro anni di ricerca del progetto condotto dall’archeologa Daniela Ventrelli e dedicato proprio alla ricostruzione delle rotte del collezionismo ottocentesco che ha avuto Ruvo come centro nevralgico.
L’evento ha avuto luogo all’interno della Galerie Colbert. In questo elegante edificio ha sede l’Institut Nationale d’Histoire de l’art, autorevole ente di ricerca che ospita l’equipe del progetto Rubi Antiqua: biblioteche, uffici, sale di studio e di lettura, aule per i convegni e una splendida rotonda centrale hanno reso la permanenza al convegno piacevole anche per gli occhi.
Parole chiave utilizzate nei discorsi introduttivi delle istituzioni partner sono state sinergia, efficace collaborazione, tenacia, lavoro d’equipe. Rappresentanti della Regione Puglia, del comune di Ruvo, dell’Università e della famiglia Jatta hanno preso la parola per ricordare il percorso iniziato nel 2014 (anno in cui Daniela Ventrelli ha vinto il premio Emergence(s) della Ville de Paris, cornice nella quale ha poi strutturato il progetto quadriennale che è sfociato nel convegno) dalla città pugliese e arrivato fin qui a Parigi per raccontare un museo e le sue storie che, dall’Ottocento ad oggi, hanno seguito la stessa scia: mantenere viva la memoria del passato ruvestino attraverso quello che gli antenati ci hanno lasciato come prodotti della creazione artistica e artigianale. Una comunanza di intenti che ha tenuto uniti prima Italia e Francia per poi allargarsi al resto dell’Europa perché, per dirla con le parole del sindaco di Ruvo Pasquale Chieco “L’archeologia e la cultura servono a sentirsi cittadini europei, a ritrovare radici comuni al di là delle divergenze estemporanee e dell’irragionevolezza degli steccati, della chiusura dei confini”.
Tematica importante emersa durante i lavori del convegno, nella relazione introduttiva della Prof.ssa Raffaella Cassano, è stata quella del saccheggio delle necropoli ruvestine, perpetrato nell’Ottocento da scavatori di frodo con la complicità dell’intellighenzia, delle istituzioni, dei canonici, di ricettatori e mercanti d’anticaglie. Ruvo ha visto la nascita di un sistema di intermediazione che, facendo scempio dei contesti necropolari, ha condotto alla dispersione pressoché totale dei corredi funerari, finiti in parte al Real Museo Borbonico, in parte a collezionisti privati e anche a musei stranieri grazie alla presenza di emissari inviati ad hoc in territorio pugliese.
I progressi della ricerca archeologica negli ultimi due secoli che l’hanno trasformata da attività antiquaria, rivolta essenzialmente al recupero e al collezionismo di oggetti di prestigio, a disciplina scientifica che studia e analizza ogni singolo pezzo nel suo contesto di rinvenimento, fugano ogni dubbio su cosa intendiamo oggi per scavo archeologico, in antitesi a quanto si verificava nell’Ottocento nelle campagne ruvesi. Le necropoli infatti con la loro ricchezza di vasi figurati e reperti preziosi che narrano del rango dei defunti e di connessioni culturali ampie, sono state terreno fertile di scavi che oggi definiremmo “clandestini”, che ci hanno precluso la possibilità di conoscere i contesti di provenienza con la perdita di dati scientifici.
La città di Ruvo nel suo periodo di massimo splendore tra il VI e il V secolo a.C. si è caratterizzata come luogo di confine, trovandosi tra due sub regioni, quella dauna e quella peuceta, che ne definiscono la cultura materiale sulla base dei dati archeologici e topografici. Un centro aperto dunque a influenze molteplici, tra le quali quella di matrice ellenica, evidente soprattutto nell’importazione e acquisto di ceramica greca. Era l’aristocrazia locale a definire questi oggetti come segni di rango e nella pratica e assimilazione di comportamenti “stranieri” come il simposio, trovava la legittimità del potere. La deposizione infine nelle necropoli lasciava per sempre traccia di tale prestigio.
Le vicende di Ruvo risultano indissolubilmente legate a quelle della famiglia Jatta: nella loro collezione privata sono confluiti alcuni eccezionali oggetti provenienti dalle necropoli ruvestine. Si tratta perlopiù di vasi di grandi dimensioni, decorati con scene complesse, spesso a tema mitologico. Gran parte del vasellame era riconducibile alla pratica del simposio: crateri, hydriae, kantaroi, anfore ma non mancano vasetti per unguenti e profumi oppure olle e dolia per la conservazione dei cibi. Passeggiando tra le sale del Museo è possibile dunque apprezzare le manifatture di alto artigianato che certamente avevano sede nella cittadina pugliese, così come il grande impegno profuso da parte della popolazione locale nell’acquisto e scambio di beni provenienti dal mondo greco. La fase di ellenizzazione di Ruvo infatti ha coinciso con il periodo di maggiore floridezza economica e sociale.
Il Museo Jatta si compone di quattro sale e la sua definizione più corretta è quella di casa-museo perché il Palazzo Jatta fu concepito sia come spazio residenziale che come ambiente in cui raccogliere ed esporre la collezione di famiglia. Costruito dall’architetto Luigi Castellucci, al quale si devono molti altri palazzi nella provincia di Bari, l’edificio probabilmente fu terminato dopo il 1844 e fu in parte adibito ad abitazione della famiglia e in parte a spazio culturale con le stanze dei vasi e la ricca biblioteca. Seguendo il racconto dell’attuale direttrice Elena Silvana Saponaro, nel suo intervento “Gli Jatta di Ruvo: da collezione privata a Museo Archeologico Nazionale”, si tracciano le tappe che hanno portato il Palazzo Jatta a diventare Museo Nazionale nel 1991, in seguito all’acquisto da parte dello Stato italiano: un luogo dunque nato per raccogliere la collezione di famiglia e rimasto tale per due secoli grazie alla ferma volontà degli Jatta nel mantenere a Ruvo le tracce del suo passato. La sistemazione attuale degli oggetti all’interno di Palazzo Jatta è la stessa pensata e voluta nell’Ottocento, che ricalca modelli museografici tipici dell’epoca: stipi in legno, pezzi fuori dalle vetrine, i vasi più prestigiosi disposti su colonnine al centro delle sale o nei punti più suggestivi.
Oggi il Museo Jatta è sede di incontri ed eventi, ospita scolaresche provenienti da tutta la provincia e ha come mission quella di puntare sull’accessibilità, sulla divulgazione e sulla partecipazione dei cittadini alle attività dell’istituzione. Risultati in parte raggiunti, come afferma proprio la Direttrice:
Il dato più interessante riguarda l’arrivo di abitanti dall’intera Regione. Ciò si ricollega al successo delle campagne pubblicitarie del Polo Museale della Puglia. Un insieme di iniziative promozionali basate sulla messa in rete dei luoghi della cultura che punta ad avvicinare il pubblico, coinvolgendolo in un itinerario turistico-culturale che potrà connotarsi anche di altre valenze.
Un capillare lavoro di sensibilizzazione di enti pubblici e di privati, la partecipazione a progetti di respiro internazionale come #MuseumWeek e l’apertura degli account social del museo sono tutti segni che vanno in una direzione: far conoscere e valorizzare uno straordinario patrimonio archeologico, così che la popolazione locale possa sentirsi orgogliosa di affermare “Io vengo da Ruvo, città d’arte e archeologia”.
Antonia Falcone
(@antoniafalcone)