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Come il British Museum protegge più di sette milioni di opere

“Se non li mettiamo in mostra, se non facciamo vedere gli oggetti, allora perchè conservarli? Parte del nostro compito è assicurarci che siano ancora qui per le future generazioni, ma non al costo di escludere la generazione presente.”

 

David Saunders, Head of conservation and scientific research

 

Conservazione a tutti i costi o fruizione pubblica?

 

Per chi si occupa di musei e valorizzazione in generale si tratta di una questione spinosa, principalmente perché alcuni materiali sono più delicati di altri, e anche senza voler prendere in considerazione l’eventualità di un adolescente che decida di lasciare la propria firma da qualche parte, l’esposizione stessa alla luce e all’aria degrada i manufatti.

 

A volte invece, semplicemente, lo spazio non è abbastanza, e allora si organizzano mostre temporanee, eventi, si mettono im mostra gli oggetti a rotazione, tutto nell’ottica della definizione adottata dall’ICOM (International Council of Museums), che identifica il museo come istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e specificamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto.

 

Come assicurare, allora, la salvaguardia degli oggetti custoditi e garantire al tempo stesso ai visitatori la possibilità di osservare le tanto ammirate testimonianze del passato?

 

L’articolo che oggi vi proponiamo riporta il punto di vista dei conservatori di uno dei più importanti e visitati musei del mondo, il British Museum, che ai suoi circa sei milioni di visitatori annui propone un’esposizione di oltre 50.000 oggetti, mentre nei suoi magazzini conservata quasi sette milioni di altri reperti ed opere d’arte.

 

Quando si tratta di confrontarsi con gli altri bisogna puntare in alto, no?

I musei nell’era di Facebook e Twitter (da Museums Newspaper)

Oggi vi segnaliamo un interessante articolo di Caterina Pisu sul rapporto tra musei e social network.
Partendo da un pezzo pubblicato sul The Guardian, l’autrice fa il punto sulla situazione, ponendosi una domanda fondamentale: “I musei moderni sono necessariamente obbligati a confrontarsi e ad adattarsi alla circolazione sempre più intensa di informazioni e di immagini attraverso il web?”

 
Le tecnologie legate alle web communication possono certamente contribuire ad ampliare il pubblico dei fruitori dei musei e oggi diventa quanto mai urgente cercare nuove forme di marketing culturale che trasmettano un’idea diversa e più moderna di fruizione museale.

 
La rivoluzione del social media marketing può presentare però anche aspetti insidiosi, riconoscibili soprattutto nel rischio di autoreferenzialità o in quello di restare vittime di strategie persuasive svuotate di contenuti.
La risposta va quindi cercata nel tentativo di sostenere la qualità dell’informazione di pari passo con la libera partecipazione della collettività.

 
Ci piace sottolineare la riflessione finale dell’articolo, dedicata all’utilizzo degli Open Data come superamento dei limiti imposti dalla proprietà intellettuale alla libera circolazione delle immagini.

 

 

Rimandiamo qui all’articolo integrale

L’autrice Caterina Pisu è attualmente Community Manager dell’Associazione Nazionale Piccoli Musei. L’Associazione ha collaborato al progetto #invasionidigitali

Museum Analytics, una risorsa per i musei di tutto il mondo

Museum Analytics è una piattaforma gratuita sviluppata dall’olandese INTK che misura la presenza on line dei musei di tutto il mondo, attraverso la creazione di report statistici che si basano principalmente sull’attività su Facebook e Twitter, ma anche sul numero di visitatori annuali, sia on line che in situ.

 

Il sito internet, che raccoglie al momento circa 3000 istituzioni museali di cui solo 38 italiane, è pensato per gli operatori del settore, e si pone come obbiettivo quello di offrire uno strumento volto a migliorare le proprie strategie comunicative, e monitorare e capire i propri progressi in merito.