Articoli

#ARAcomera: in volo nella storia

Ricostruzione virtuale dei monumenti e visite immersive sono ormai il presente dell’archeologia e della fruizione museale. Parole come realtà aumentata, visori, beacon, 3D stanno lentamente entrando a far parte del bagaglio esperienziale di visitatori e utenti.

Quando parliamo di archeologia la suggestione che può venire dalla realtà virtuale è tanto più significativa perché il visitatore si trova spesso di fronte a monumenti/oggetti/siti dei quali rimane bel poco di visibile e deve fare un grande sforzo di immaginazione per visualizzare l’aspetto originario o il paesaggio entro cui vivevano e agivano gli esseri umani di secoli o millenni fa.

Senza l’ausilio di una conoscenza approfondita, e quindi di anni di studio, è spesso difficile per i non addetti ai lavori entrare nel meccanismo dell’immaginare il passato. Non è un caso che i siti archeologici più visitati siano quelli in cui le tracce del passato si leggono e si interpretano distintamente: pensiamo a Pompei, Ercolano o al Colosseo. Le nuove tecnologie rappresentano quindi un ausilio imprescindibile per avvicinare il pubblico all’antico.

Lo scorso 18 gennaio abbiamo partecipato all’anteprima blogger di #ARAcomera “il primo intervento sistematico di valorizzazione in realtà aumentata e virtuale di uno dei più importanti capolavori dell’arte romana, l’Ara Pacis Augustae”.

Il progetto, partito ad ottobre 2016, si basa su un percorso in realtà aumentata con l’ausilio dei visori AR che permettono di rivivere l’Ara Pacis a colori e di acquisire ulteriori informazioni su storie e personaggi rappresentati sul monumento augusteo.

Finora i visitatori sono stati più di 11mila, a decretare il successo di tecnologie in grado di coinvolgere gli utenti dei musei. L’ottimo risultato raggiunto ha così portato ad implementare il percorso con un nuovo punto di interesse, stavolta del tutto in realtà virtuale: la combinazione di riprese cinematografiche con veri attori, ricostruzioni in 3D e computer grafica porta l’utente a vivere a 360° il Campo Marzio di I secolo a.C.

Grazie ai visori, il visitatore plana così sul Campo Marzio dove tra il Pantheon, la Meridiana Augustea, i Saepta Iulia, l’Acquedotto e l’Ara Pacis, si trova circondato da romani in toga che accorrono a vedere il sacrificio del toro davanti all’altare augusteo.

Basta girare la testa, abbassarla e alzarla e si può esplorare l’ambiente circostante, come se ci si trovasse davvero nella Roma antica.

Il momento più suggestivo è senza dubbio quello della discesa dall’alto sul Campo Marzio con la Meridiana che man mano si avvicina e si ingrandisce. Arrivati poi davanti all’altare, insieme agli altri cives, si assiste quindi al sacrificio cruento del toro e alla ritualità della cottura degli organi interni.

ara comera

Il filmato dura circa 10 minuti che scorrono via veloci grazie ad un linguaggio semplice e accessibile. Raccomandiamo però di mettere bene a fuoco il video per vivere in pieno l’esperienza virtuale.

Il progetto è stato realizzato da ETT Solutions, azienda leader nel settore dell’innovazione tecnologica e culturale.

Sono trascorsi secoli da quel sacrificio inaugurale del 9 a.C. davanti all’Ara Pacis eppure è proprio grazie alle tecnologie del XXI secolo che riusciamo a sentirci più vicini al I secolo a.C., partecipando dello spirito della prima Roma imperiale.

Ulteriori informazioni su programmazione delle visite e biglietti le trovate qui.

#ARAcomera su twitter 

@antoniafalcone

Palazzo Massimo alle Terme, Rome

Una giornata al museo: #archeoblogger alla scoperta delle nuove sale di Palazzo Massimo alle Terme di Roma

Una cosa di cui spesso rimproveriamo i nostri musei, o almeno quelli italiani, è che raramente si rinnovano e che in molti casi presentano criteri espositivi di sapore ancora ottocentesco, fatto che ha certamente un suo fascino intrinseco, ma finisce con il non valorizzare appieno i tesori che fanno parte delle loro collezioni. Cio è tanto più vero per i musei archeologici, che spesso ricordano Wunderkammer di passata memoria, piccole o grandi “stanze delle meraviglie” concepite come piccoli universi in sé chiusi, poco inclini alle sperimentazioni.

 

Fortunatamente, non è sempre così.

 

Palazzo Massimo alle Terme è una delle quattro sedi del Museo Nazionale Romano, diretto dalla dottoressa Rita Paris. È stato inaugurato nel 1995, il che permette di annoverarlo tra i musei “giovani” della capitale, ma già dal 2005 gli allestimenti della sale sono oggetto costante di progressivo rinnovamento per aggiornarle agli standard espositivi più moderni.

 

La scorsa settimana le sale 2, 3 e 4 del primo piano, dedicate alla scultura di epoca Traianea e Antonina (inizio-prima metà II secolo d.C.) sono state riaperte al pubblico e noi siamo state invitate a vederle in anteprima e a confrontarci con alcuni dei curatori dei nuovi spazi espositivi.

 

 

Naturalmente, abbiamo accettato entusiaste e così ci siamo ritrovate a girovagare nelle stanze appena inaugurate tra le opere immortali della ritrattistica imperiale.

 

Siamo rimaste abbagliate, tra l’altro, dalla bellezza di capolavori come i rilievi con le personificazioni delle province dell’impero romano che un tempo decoravano l’Hadrianeum o Tempio di Adriano, che sorge non molto lontano dal museo, e abbiamo potuto osservare in ogni suo dettaglio il rilievo del monumento funerario di Apthonetus, qui esposto per la prima volta, con il lungo epitaffio che la figlia Quadratilla dedica al compianto padre.

 

 

 

 

Abbiamo potuto ammirare le superfici levigate dei volti, i dettagli dell’abbigliamento e delle armature e siamo state piacevolmente stupite dal bel contrasto tra il candore dei marmi e il colore scuro dei supporti.

 

Come al solito ci siamo armate di smartphone e abbiamo provato a fissare in tweet e scatti fotografici l’eterno fascino che ancora oggi l’antico esercita su di noi.

 

 

 

Abbiamo poi avuto il piacere di incontrare l’architetto Carolina De Camillis, consulente esterna del museo e responsabile dell’illuminazione delle sale.

 

Proprio l’illuminazione è una componente essenziale del nuovo allestimento: le lampade alogene fino a pochi anni fa comunemente usate nei musei, infatti, tendono a dare una sorta di “patina” uniformante alle opere, appiattendole e facendo sparire le difformità delle superfici. Il nuovo apparato di illuminazione, ottenuto con specifiche luci a led, permette invece di apprezzare pienamente le tracce di lavorazione lasciate dagli antichi artigiani, le molteplici venature colorate dei marmi e addirittura i singoli macrocristalli del materiale impiegato.

 

Sembra evidente, insomma, che l’allestimento di nuove sale in un museo comporta la sinergia di diversi professionisti dei beni culturali, archeologi, architetti, lightening designer, operai specializzati, tutto impegnati a lavorare dietro le quinte per offrire ai visitatori l’emozione dell’antico.

 

*

 

Una versione di questo post, in inglese, è stata pubblicata in occasione del #DayOfArchaeologyA day at the museum: #archaeobloggers explore the new rooms of Palazzo Massimo alle Terme, in Rome.

 

 

*

 

Antonia Falcone (@antoniafalcone)
Paola Romi (@OpusPaulicium)
Domenica Pate (@domenica_pate)

[credit immagine @ Paola Romi]

Ragione e sentimento. Lavorare gratis in un museo è l’aspirazione sbagliata?

Decadenza. Passione. Risorse umane. Risorse economiche.

 

Ciao Valentina,

 

di sicuro i quattro termini, ripresi dalla tua lettera al Sindaco di Roma Ignazio Marino, sono più che adatti a descrivere la situazione dei lavoratori dei Beni Culturali. Personalmente, avrei scelto di utilizzarli in altro modo e sarei arrivata ad una richiesta nettamente opposta.

 

Ma andiamo con ordine.

 

Io e te non ci conosciamo, ma abbiamo in comune più cose di quante immagini. Entrambe viviamo a Roma, entrambe amiamo l’arte, entrambe abbiamo studiato o studiamo beni culturali. Entrambe abbiamo qualcosa da dire.

 

Non voglio perdere tempo ed entro subito nel merito della questione.

 

“Lavoro” e “gratis”non possono andare d’accordo perchè sono sono due concetti semanticamente opposti. “Gratuito” è ciò “che si fa o si riceve o si ha senza pagamento, senza compenso”, esattamente agli antipodi, quindi, della parola “lavoro” che invece presuppone una retribuzione per la prestazione svolta.

 

Tenere aperto un museo è un lavoro, concorderai con me. Necessita di competenze ed esperienza e in quanto lavoro va retribuito.

 

Tenere aperto un museo solo con chi “vuole” farlo gratis squalifica il museo stesso oltre che le professionalità del settore. E tra queste ultime tra qualche anno ci sarai anche tu, con la tua laurea, il tuo master o il tuo dottorato. Questa sì che è decadenza.

 

Facciamo un salto avanti nel tempo, diciamo… di cinque anni.

 

Per allora avrai terminato gli studi e ora stai cercando lavoro. Hai mandato centinaia di curriculum, partecipato a concorsi su concorsi e finalmente, un giorno ti chiamano per un colloquio in un museo. Il sogno della tua vita. Era ora!

 

Sei preparata, determinata e certa che questa volta sta per arrivare la grande occasione.

 

Ecco, immagina che nella sala d’aspetto per il colloquio ci siamo io e te.

 

Entrambe abbiamo gli stessi titoli, le stesse esperienze e la stessa ambizione: lavorare in quel museo.

 

La differenza tra me e te è che io non ho bisogno di essere retribuita (sono benestante di famiglia, voglio ancora fare esperienza, ho un marito che mi mantiene, fai un po’ tu). Tu invece, ne hai bisogno, eccome: i tuoi non ti mantengono più ora e devi pagare l’affitto della stanza e le bollette, oltre che a una birretta con gli amici ogni tanto e quel corso di yoga a cui finalmente hai deciso di iscriverti.

 

Ecco, immaginiamo che in questo scenario ben poco fantascientifico, i fondi per tenere aperto il museo sono esigui, anzi, il museo potrebbe chiudere da un giorno all’altro. Sarebbe un peccato, una magnifica collezione chiusa per sempre!

 

Io entro a colloquio. Dico all’esaminatore che per me non c’è nessun problema a tenere aperto il museo senza essere pagata.

 

Poi entri tu.

 

Alla fine del colloquio chiedi all’esaminatore qual è lo stipendio mensile.

 

 

I conti sono facili.

 

Sceglieranno me. Li ho scongiurati di prendermi, non voglio neanche il rimborso spese modello stage. No,voglio proprio lavorare gratuitamente. Io amo la cultura.  Io tornerò a casa gongolante, ho realizzato il mio sogno.

 

 

Tu tornerai a casa dopo l’ennesimo colloquio andato a vuoto.  Cosa penserai allora? O meglio, cosa farai?  Cercherai un altro lavoro, probabilmente lavorerai qualche mese in un call center, poi in pizzeria, poi farai la freelance, poi poi poi.

 

 

Poi cosa?

 

 

Avrai studiato dieci anni e non avrai avuto la possibilità di lavorare nel settore per il quale ti sei formata. E sconsiglierai a chiunque te lo chiederà di studiare storia dell’arte o archeologia. Non ne vale la pena, non si sopravvive.
Quindi come vedi risorse umane e risorse economiche, in una società che non sia basata sullo schiavismo o sulle caste, non sono due voci alternative. Semplicemente perché non “campiamo d’aria”. Nè io nè te.

 

 

Le risorse umane necessitano di risorse economiche.

 

 

Prendere la strada del “io lo faccio anche gratis” significa avviare una selezione in base al censo, tra chi può permetterselo e chi non può e dovrà cambiare lavoro.
Siamo sicuri che il progresso scientifico e culturale, perché a questo servono i musei, a conservare ma anche a divulgare, insegnare, progredire, assolveranno alla loro missione con un personale selezionato in base al censo?

 

 
Io non credo. Come non credo che la passione possa uccidere la ragione.

 

 

Antonia Falcone (@antoniafalcone)

Paola Romi (@opuspaulicium)

Notte dei Musei 2014

La notte è piccola per noi

Il mese delle rose è tornato e con lui la Notte dei Musei.

 

Un anno è trascorso e stavolta il MiBACT non sembra essere incorso nella convocazione di volontari a mezzo social che aveva scatenato, nel 2013, la protesta del #no18maggio, sfociata poi ne “la Notte dei Professionisti“.

 

Tutto bene quindi?

 

Ni. Anzi no.

 

In questo 2014 nelle istituzioni museali sia grandi che piccole, un po’ a macchia di leopardo, qualcosa si sta muovendo nella direzione di una maggiore apertura verso l’esterno. Almeno sul lato della promozione social. La #museumweek e da ultimo lo #smallmuseumtour dimostrano infatti l’esistenza di volontà ed energie utili e prontamente disponibili ad un rinnovato rapporto con i visitatori reali e virtuali, ma c’è un ma.

 

Ora, da solito “bastiancontrario”, mi chiedo per quale motivo di fronte alla scelta di promuovere due iniziative che cadono nello stesso weekend, ovvero la  Notte dei Musei  (il 17 maggio) e l’International Museum Day (18 Maggio), organizzata dall’ICOM, si sia scelto, a livello ministeriale, di incentivare soprattutto la prima.

 

Prescindendo dalla polemica #ColosseoChiuso, che peraltro, oltre ad essere meramente strumentale, non riguarda nemmeno propriamente un museo, e sebbene sarebbe stato senza dubbio più facile gestire le presenze del personale per la seconda iniziativa citata, visto che le istituzioni museali la domenica sono generalmente già aperte, sono preoccupanti, rispetto a questa scelta, il ragionamento sottinteso e  l’opportunità mancata.

 

Il vero punto dolente della questione è infatti la straordinaria occasione comunicativa persa: il tema della Giornata Internazionale dei Musei 2014 (GIM 2014), Make CONNECTIONS with COLLECTIONS Creare CONNESSIONI  con le COLLEZIONI, è infatti quanto mai interessante ed attuale. A riguardo, se ce ne fosse bisogno,  ICOM efficacemente ricorda che “i musei sono istituzioni vive, che aiutano a creare legami con visitatori, tra generazioni e culture del mondo e dare una possibile risposta alle questioni contemporanee del mondo.”

 

Ecco, non ho nulla contro la Notte dei Musei, anche perché mi fa sentire meno orfana delle Notti Bianche a cui velocemente mi ero affezionata, ma credo che le energie spese in questa operazione sarebbero state meglio investite in un’iniziativa di più ampio respiro concettuale, oltre che aperta a successivi sviluppi, quale quella proposta per la Giornata Internazionale dei Musei.

 

Rischio di essere sommamente impopolare, ma sono persuasa che i musei italiani prima che di un maggior numero di visitatori, diurni e/o notturni, abbiano bisogno di migliorare il rapporto coi visitatori e, secondo quest’ottica, privilegiare un’occasionale Notte dei Musei, appuntamento di gran lustro, certamente, ma per le sue stesse caratteristiche straordinario, nel senso di “non ordinario”, a scapito di una giornata internazionale nella quale è il museo al centro della sua rete di connessioni, a parer mio, non va esattamente nella direzione giusta.

 

Concludo questa riflessione con una precisazione che mi sembra necessaria: tutto quanto rilevato non mi preoccupa quest’anno come archeologa e professionista. Mi delude come cittadina.

 

Nel 2015, forse, troveremo la quadratura del cerchio.

 

O almeno lo spero.

 

 

Paola Romi (@OpusPaulicium)

 

 

#MuseumWeek: la cultura in 140 caratteri

E il cinguettar m’è dolce in questo mare.

 
I musei italiani ci hanno preso decisamente gusto. Quella che fino a pochi mesi fa era una landa desolata per chi si affacciava su twitter alla ricerca di musei italiani che cinguettassero, si sta fortunatamente trasformando in un mondo parallelo dove utenti, istituzioni e opere d’arte parlanti ogni giorno dicono la loro.

 

 

L’importanza della comunicazione culturale sui social network sta tutta in una parola: confronto. Confronto tra istituzioni, confronto tra utenti, confronto tra addetti ai lavori. Per dirla con un termine inglese parliamo di Strategic Engagement cioè la capacità di “stimolare l’interazione e la conversazione delle persone secondo identità e obiettivi definiti”. (Veronica Gentili)

 
La ricerca di una strategia mirata sui social media non vale più soltanto per i brand e le aziende, ma riguarda sempre di più la sfera culturale, perché la platea è vasta e la possibilità di interagire e farsi conoscere è pressoché illimitata.

 
Le iniziative per stimolare la presenza social delle istituzioni culturali finora sono perlopiù nate all’estero: c’è stato il #FollowaMuseum Day  o il #MuseumSelfie Day, proposte accolte subitaneamente dai musei nostrani che si sono messi in gioco, riuscendo a rappresentare in modo efficace l’Italia e il nostro patrimonio culturale.

 

 

 

Iniziativa invece tutta made in Italy è certamente quella delle Invasioni Digitali, idea nata e sviluppata in casa nostra e che, ad aprile, si avvia alla seconda edizione.
E dalla prossima settimana i nostri musei affronteranno la maratona di #MuseumWeek.
Infatti dal 24 al 30 marzo 2014 i musei di tutto il mondo troveranno in twitter una vetrina a 140 caratteri:

 

 

From March 24-30, museums across Europe will be taking part in the first ever #MuseumWeek. You can follow all participating museums across UK, France, Spain and Italy on these discover pages, and join the conversation by tweeting #MuseumWeek.

 

 

La partecipazione dei musei italiani ancora una volta sarà significativa, quindi non aspettate ancora: iscrivetevi a twitter (se già non siete veterani cinguettatori) e seguite le tracce di #MuseumWeek.
Cultura è partecipazione.

 

 

Qui la lista dei musei che hanno aderito all’iniziativa.

 

@antoniafalcone

#Followamuseum Day: appuntamento il 1 febbraio

Attenzione amanti dei musei e semplici curiosi :

il 1 febbraio 2014 torna il Follow a Museum Day!

Che siate Twitter-addicted o cinguettatori alle prime armi,

ma anche se volete solamente promuovere il vostro museo preferito o scoprirne i segreti,

sabato è il giorno giusto.

 

 

 

L’iniziativa, nata nel 2010 da un’idea di Jim Richardson,  si  propone di mettere al centro della comunicazione su Twitter, almeno per un giorno, le istituzioni museali .

 

 

 

Come?

Suggerendo agli amici di visitare e seguire il vostro museo preferito.

Raccontando agli operatori del settore cosa pensate delle mostre che hanno organizzato.

Facendo domande sulle opere o spiegando perché il museo in questione vi ha riavvicinato all’arte.

 

 

Non ci sono limiti precisi, l’unico requisito è l’hashtag: #followamuseum.

 

 

Se vogliamo sintetizzare lo scopo dell’evento, che è giunto alla sua quinta edizione e che verrà “festeggiato” quest’anno in 15 diversi paesi, possiamo dire che si tratta di una Giornata dei Musei su Twitter (e non solo, l’iniziativa è stata rilanciata anche su altri social: Pinterest, Google+ e Facebook).

 

 

 In Italia, per il momento, le istituzioni museali presenti sono già 20, con una buona presenza delle reti civiche delle capitali dell’arte come Venezia (@visitmuve_en), Firenze (@musefirenze) e Roma (@museiincomune).

Meno numerose le adesioni dei Musei Statali tra cui spiccano MART ( @Mart_museum ) e MAXXI  ( @Museo_MAXXI ), e , per la gioia dei cultori dell’antico, il Museo Archeologico di Firenze ( @MAF_firenze ).

 

 

Tuttavia, vista la fortunata iniziativa di far cinguettare le opere d’arte più iconiche di quest’ultima categoria di istituzioni per promuovere il patrimonio archeologico, paleontologico e artistico italiano, sarebbe un peccato che le due felici iniziative non venissero conciliate su più larga scala.

 

 

 

Chi meglio di @a_bronzo, @bronzoB, @LVero_Marengo, @ChimeraMAF, @Paolina_BB, @CiroSauro, @il_Sileno, @CarolCardidello e @HomoVi potrebbe infatti coinvolgere la parte più distratta del popolo di Twitter o rispondere ai quesiti meno squisitamente tecnici?

 

 

Beh, che la loro dimora aderisca ufficialmente a #followamuseum o no, sono certa che i nostri beniamini sabato non si sottrarranno a qualche domanda.

 

 

 

E allora che aspettiamo, scegliamo il museo e prepariamo le domande: che #followamuseum sia!

 

 

 

@OpusPaulicium

#Pompei 2013 d.C.

Nell’ultima settimana la stampa ha dedicato ampio spazio al dibattito su Pompei: tra l’ennesimo crollo e la proposta di un supermanager, legato alle banche, la community ha voluto dire la sua. E qualcuno ha ricordato l’evento cinematografico del British Museum.

 

Qui trovate lo storify #Pompei 2013 d.C.

 

E’ del 4 novembre, a tre anni esatti dal cedimento della Schola Armaturarum, il crollo della porzione di un setto murario di una domus in Via dell’Abbondanza (casa numero 21 dell’Insula V – Regione VIII). E purtroppo, come ormai accade di frequente negli ultimi anni, il nome di Pompei, almeno in Italia, è legato a crolli, scarsa manutenzione e all’idea di un disastro annunciato.

 

Tutto questo avviene mentre la politica arranca e non riesce a sciogliere i nodi delle nomine: ancora non è stato designato il direttore generale di progetto, al quale dovrà affiancarsi un vicedg vicario. Nell’ultima settimana, un articolo del Sole24ore, ha rivelato che il nome che circola per la carica è quello di Giuseppe Scognamiglio, economista-diplomatico nonchè Vicepresidente di Unicredit.

Una nomina chiaramente politica, che nulla ha a che fare con l’archeologia, la tutela e la valorizzazione.

 

A Pompei ne sono passati tanti: “Episodi recenti di manager-salva-tutto destano allarme. Nel novembre 2008 l’allora Direttore generale per la valorizzazione del patrimonio culturale Mario Resca, ex manager di McDonald’s Italia imposto al vertice del MiBAC da Silvio Berlusconi, formulò una proposta che gli guadagnò i sarcasmi della stampa anglosassone. A suo avviso Pompei avrebbe dovuto costituire il set per spettacolari operazioni di lancio di prodotti delle multinazionali dell’elettronica. L’ultimo plenipotenziario di Pompei, Marcello Fiori, è finito sotto inchiesta per truffa e frode connessi ai lavori di restauro” (fonte Huffington Post)

 

 

E mentre da noi si discute (inutilmente), il British Museum agisce, con mirate strategie di valorizzazione e comunicazione: oltre alla mostra sold-out su Pompei ed Ercolano (sponsorizzata da Goldman Sachs), il museo britannico ha prodotto un film-evento che racconta la vita degli abitanti delle città vesuviane al momento dell’eruzione del Vesuvio.

 

Pompei arriva anche in Italia (25-26 novembre)  e noi di Professione Archeologo andremo a vederlo. Presto la recensione!