Mali culturali: se a Capo Colonna si seppellisce il passato
[Foto credit: ilcrotonese.it]
In rete se ne parla da qualche settimana, da quando l’ex ministro MiBACT Massimo Bray ha denunciato la cosa sulla sua pagina Facebook.
Per un paio di settimane, poi, un gruppo di cittadini ha presidiato l’area giorno e notte, impedendo di fatto la prosecuzione dei lavori.
Di cosa parliamo?
L’area archeologica di Capo Colonna, in provincia di Crotone, conserva i resti di uno dei santuari più antichi della Magna Grecia, un’ampia area sacra dedicata ad Hera Lacinia, che per la posizione strategica all’estremità meridionale del Golfo di Taranto e lungo la rotta che da Taranto portava allo stretto di Messina, ebbe nei secoli una grande importanza.
Oggi il parco archeologico ospita un’unica colonna dorica ancora in piedi e diverse tracce di altri edifici di epoca greca e romana, perché qui sorgeva il cuore dell’abitato di Kroton, mentre nelle vicinanze si trova il santuario di Santa Maria di Capocolonna, di origine medievale che ospitava una venerata icona attribuita a San Luca, oggi conservata nel duomo cittadino.
Sono noti da tempo episodi di abusivismo edilizio e da diversi anni si lamentano le condizioni di degrado di un’area archeologica che potrebbe essere un grande richiamo turistico ed un’importante risorsa per la crescita culturale e l’occupazione nel territorio.
Proprio al fine di valorizzare l’area e renderla più fruibile, il comune di Crotone, con il via libera della Soprintendenza, ha avviato il progetto denominato “Spa 2.4 Capocolonna (KR) – Ampliamento delle conoscenze della realtà archeologica e messa in sicurezza delle strutture archeologiche riportate in luce”, finanziato dal Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (ex fondi FAS), con l’intervento anche di finanziamenti comunitari, per un totale di 2,5 milioni di euro.
Bene, quindi? Purtroppo no.
Nella sua versione finale il progetto, infatti, prevede tra gli altri due interventi che si teme possano danneggiare, più che proteggere o valorizzare, i resti archeologici: il primo è la realizzazione di un piazzale nella zona antistante la chiesa di Santa Maria di Capocolonna, il secondo è la costruzione di una tettoia per la copertura e la salvaguardia dei mosaici portati alla luce nel balneum delle terme di epoca romana, uno dei quali già scoperto da Paolo Orsi agli inizi del ‘900.
A farsi portavoce di queste preoccupazioni sono state due associazioni culturali crotonesi, “Gettini di Vitalba” e “Sette Soli”, che per prime hanno lanciato l’allarme ed iniziato un’opera di informazione e sensibilizzazione della cittadinanza e degli esponenti politici locali e nazionali.
La protesta è scattata il 13 gennaio scorso, il giorno successivo alla prima colata di cemento per la realizzazione del piazzale: un comitato spontaneo di cittadini, che ha preso il nome di #salviamocapocolonna, ha iniziato a presidiare il sito giorno e notte, fino a quando domenica 25 il sindaco di Crotone si è recato sul posto ed ha accolto le istanze del comitato. Dopo un colloquio tra sindaco e Soprintendenza, i lavori sono stati finalmente sospesi all’inizio di questa settimana e adesso si attende il verdetto degli ispettori ministeriali che arriveranno per far luce sull’accaduto e decidere come proseguire.
La questione è ben lungi dall’essere risolta, ma per il momento i cittadini che hanno difeso la loro storia con la determinazione tipica dei calabresi, tirano un sospiro di sollievo.
Ma quali sono nello specifico i problemi con il progetto Spa 2.4 e cosa è accaduto a Capo Colonna in queste ultime settimane?
Mi sono rivolta a Margherita Corrado, archeologa, collaboratrice della Soprintendenza archeologica della Calabria e vicepresidente dell’associazione “Sette Soli”.
Ne è venuta fuori una bella chiacchierata, su Capocolonna e sul progetto Spa 2.4, ma anche sul perché spendere soldi per l’archeologia non serve a molto se non sono spesi con cognizione di causa e lungimiranza e sulle responsabilità “morali” che come archeologi abbiamo nei confronti della comunità tutta.
Una bella storia di cultura e attivismo in un territorio per tanti aspetti non facile.
Ascoltate il podcast dell’intervista telefonica o leggetela in versione integrale a questo link.
Se invece non avete molto tempo, una versione “condensata” di quello che ci siano dette è riportata di seguito.
Domenica Pate
(@domenica_pate)
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Ciao Margherita e grazie di aver accettato quest’intervista. Tutto è iniziato da una lettera che come associazioni avevate inviato al ministro Franceschini, ai responsabili degli uffici periferici calabresi, nonché al sindaco di Crotone e al dirigente dell’urbanistica. Cosa stava succedendo?
Avevamo inviato una prima lettera il 29 settembre, quando da poco era iniziato lo scavo preliminare alla posa della grande pavimentazione prevista dal progetto Spa 2.4 tra la chiesa di Capo Colonna e la strada di ingresso, in uno spazio di 30x15m. All’epoca premevamo perché lo scavo fosse il più estensivo possibile ed esprimevamo preoccupazione per il fatto che, ad esempio, il progetto non prevedeva la messa in opera di un sistema di raccolta delle acque piovane per cui temevamo che, alzando la quota del terreno, tutte le strutture presenti potessero trovarsi a rischio di allagamento.
Quando abbiamo scritto la seconda lettera, il 27 dicembre, lo scavo era stato completato e già ricoperto con tessuto non tessuto e terra e intanto la ditta aveva messo mano all’edificio delle terme, per il quale si prevede di ricoprire le due stanze dotate di mosaico con una tettoia.
Se non sbaglio la vostra obiezione è proprio relativa al tipo di struttura che si vuole realizzare per questa tettoia.
Per noi la cosa grave è che questa tettoia richiede per essere ancorata a terra sei plinti posti ad appena una quarantina di centimetri dalle murature, il che vuol dire che la tettoia copre una superficie di poco maggiore di quella delle due stanze che vuole proteggere, ed essendo aperta sui lati non sarebbe davvero efficace in caso di pioggia. Inoltre, ognuno di questi plinti può reggere fino a 60 tonnellate, mentre la tettoia ne pesa in tutto appena 20, una sproporzione che sembra non avere altro motivo se non quello di gonfiare i costi.
Ed essendo un contesto archeologico questi plinti con pali da 60 cm di diametro possono andare ad intaccare la stabilità dell’edificio.
Tornando al piazzale antistante la chiesa, esso andrebbe a coprire un’area molto interessante dal punto di vista archeologico, nella quale lo scavo preliminare di cui parlavi ha portato alla luce il foro della città romana.
Sì, gli scavi hanno messo il luce due dei portici che circondavano la piazza, quello settentrionale ed una parte di quella occidente. Siamo del resto nel centro della città di epoca romana ed era prevedile che ci sarebbero stati ritrovamenti.
E non è stata prevista una rimodulazione del progetto alla luce di questo ritrovamento? Siamo in un parco archeologico, dopo tutto, non in città.
No, non c’è stata alcuna disponibilità in questo senso, neppure in occasione dell’incontro in Prefettura [NdR: del 19 gennaio, conclusosi in un nulla di fatto]. La scoperta inattesa del foro non è stata presa assolutamente in considerazione.
Cosa che è successo lo scorso 13 gennaio?
Già il 12 era iniziato il lavoro di copertura dei resti del foro nell’area destinata allo spiazzo, con la posa del massetto di calcestruzzo che deve fare da base e sostegno alla pavimentazione in cotto e pietra. I lavori sono proseguiti fino a mezzogiorno e per tutta la mattinata del 13, ma a quel punto ci eravamo accorti dell’attività e ci siamo portati sul posto.
Nella tarda mattinata del 13 è intervenuta una tv locale che ha filmato la cementificazione in corso e mandato in onda il filmato nell’edizione del TG delle 14. Subito dopo molti cittadini sono accorsi sul posto per capire cosa stava succedendo.
Si è quindi formato un gruppo spontaneo.
Sì, un gruppo assolutamente non organizzato.
Il presidio è lì giorno e notte, non si è mai spostato neanche con il maltempo, proprio per impedire che, in assenza dei cittadini, i lavori riprendano [NdR: il 26 gennaio, in seguito alla sospensione dei lavori disposta dalla Soprintendenza, il comitato #salviamocapocolonna ha deciso la rimozione del presidio nelle ore notturne].
Al di là di questi due interventi, entrambi problematici perché ci troviamo all’interno di un parco archeologico, sono previste operazioni di manutenzione straordinaria, consolidamenti e via dicendo?
No, assolutamente. L’unico intervento che va in questa direzione è la realizzazione di un sistema di raccolta delle acque bianche intorno al museo, cosa necessaria perché l’edificio è stato pensato per essere il meno impattante possibile ed è stato costruito al di sotto del livello del terreno circostante, quindi ogni anno c’è il problema degli allagamenti. Un altro intervento utile è il monitoraggio dei movimenti del suolo, perché il promontorio di Capo Colonna è esposto all’azione del mare.
Però la maggior parte del finanziamento non riguarda interventi di tipo conservativo dei resti archeologici, quanto l’acquisizione allo Stato di metà di un edificio realizzato nella seconda metà del Settecento e abbandonato da anni, che sarà completamente restaurato, anche se non ne è stata ancora determinata la destinazione d’uso e io temo possa rimanere inutilizzato, cosa già avvenuta in passato con un altro piccolo edificio presente nel parco.
Ora i lavori sono fermi. Cosa succederà nell’immediato futuro?
È difficile dirlo. Nell’incontro del 19 gennaio in Prefettura, il Soprintendente, presente insieme alla direttrice del parco e ad una dei progettisti comunali, non ha lasciato nessun margine che vada nella direzione di un cambiamento del progetto iniziale [NdR: successivamente il sindaco si è dichiarato d’accordo con le richieste dei cittadini e la Soprintendenza sospenso i lavori in attesa delle valutazioni degli ispettori ministeriali]. Ieri c’è stata un’interrogazione parlamentare, c’è in ballo un esposto in Procura fatto dalle associazioni e si prevede un’interrogazione al Parlamento Europeo [NdR: presentata lo scorso 24 gennaio].
Ci sono contatti con molte personalità della cultura italiana anche a livello nazionale che hanno espresso curiosità e interesse. Abbiamo anche attivato l’ennesima raccolta di firme online [per firmare qui].
Da parte della Presidenza della Regione è stato inviato un architetto come osservatore, ma non ha incontrato né noi associazioni né il presidio presente sul sito. Speriamo che gli ispettori che saranno inviati dal Ministero non si comportino allo stesso modo.
Però al momento tutte le sollecitazioni attivate non hanno sortito un effetto tale da far cambiare i termini del progetto.
Margherita, tu lavori in Calabria da anni, fai parte di un’associazione culturale attiva e presente sul territorio. Come pensi sarebbe possibile valorizzare l’ingente patrimonio archeologico che rende unica non solo la nostra regione, ma l’Italia intera, di modo che esso possa diventare una risorsa e un valore condiviso.
Sono collaboratrice esterna dalla Soprintendenza archeologica da quasi vent’anni ed ho lavorato ormai in tutte le province della Calabria quindi conosco abbastanza bene la realtà regionale.
Capo Colonna è certamente di un luogo straordinario, per cui scelte come quella di pavimentare un’area che può sembrare tutto sommato modesta oppure di usare una tettoia di acciaio invece di adottare soluzioni molto meno impattanti non incide solo sulla conservazione dei resti, ma anche sul valore paesaggistico che qui è di primaria importanza. Però già prima di questa situazione la gestione del parco era fallimentare e il solo fatto che il parco e il museo siano aperti non vuol dire che essi funzionino e ci sono una serie di problematiche che un finanziamento come quello dello Spa 2.4 avrebbe potuto facilmente risolvere.
Ma per lasciare Capo Colonna e andare a quello che chiedevi, il problema, almeno in Calabria, è che manca una seria politica dei beni culturali, che sono ancora spesso visti come uno strumento per raggiungere un risultato che non ha a che fare con i beni stessi e quindi le azioni che vengono messe in campo sono molte volte più di parata che non realmente portatrici di benefici.
Anche a livello di crescita culturale, perché poi è anche di questo che parliamo.
Certo. Abbiamo un patrimonio straordinario, come nazione e come regione ed è un peccato e in qualche modo una colpa non riuscire a trarre da tutto questo tutto quello che invece potremmo ricavare, non solo e non tanto dal punto di vista del turismo, ma anche a livello di consapevolezza da parte dei cittadini, del fatto di essere eredi di una tradizione così importante per la cultura dell’Occidente.
Con Professione Archeologo ci occupiamo spesso dei temi della comunicazione in archeologia. Secondo te c’è qualcosa da rivedere? In fondo, quello che avete fatto con Capo Colonna è stata una grande opera di comunicazione, avete fatto sapere quello che stava succedendo e subito qualcuno si è interessato.
Guarda, è stato commuovente vedere i ragazzi del presidio, che sono arrivati sul posto quel giorno quasi senza sapere cosa li aveva spinti e invece giorno per giorno sono diventati sempre più interessati, entrando sempre più nel merito, domandando cosa è accaduto prima, da quanto tempo quella parte del parco è venuta alla luce, che significato ha. E a tutti gli orari c’è sempre qualcuno che va sul posto e porta ai ragazzi da mangiare, da bere, insomma vengono coccolati dalla popolazione perché davvero tutta la cittadinanza si è sentita coinvolta in questa vicenda.
Ma anche la divulgazione è fondamentale e come archeologa non mi accontento più di scavare e sapere che i risultati, cassette di reperti e informazioni, finiscono i primi in qualche magazzino e le altre in un cassetto per dieci, venti, trent’anni, che a volte vengono persi nelle varie vicende burocratiche o se un funzionario va via. È una situazione inaccettabile, così come è inaccettabile che la comunità tutta investa risorse per la cultura , a volte anche ingenti come in questo caso, rinunciando ad investirle nei settori della sanità o della giustizia, e non abbia poi un ritorno.
Alla fine dello scavo, lo scavo non è finito.
Fino a quando i risultati non sono resi pubblici, tanto nelle sedi appropriate delle pubblicazioni specialistiche quanto a livello di divulgazione, lo scavo non si può considerare concluso. Quei soldi non si possono considerare ben spesi.
Ci deve essere un ritorno per la popolazione che si è accollata quell’onere economico.
Altrimenti noi archeologi che facciamo? Scaviamo buche.
Esatto. Ci deve essere un momento in cui il mio entusiasmo e le mie scoperte si trasmettono agli altri, che sono coloro che mi hanno permesso, con quel finanziamento, di sostenere le mie ricerche.
Margherita, ti ringrazio tantissimo della disponibilità. In bocca al lupo per questa vicenda che continueremo a seguire, sperando che si concluda nel migliore dei modi.
Comunque vada fa a finire, è già cambiato tutto. Almeno in questa città, è iniziata un’epoca nuova.