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EA: Emergenza d’Archeologia (Episodio quinto) ~ di Paola Romi

1.05 – Tempi Moderni

 

Ci sono periodi in cui la sorte ci assiste, la fortuna ci aiuta e la nostra bravura ci supporta.

 

Ci sono cantieri in cui la fortuna ci arride ed il rinvenimento di complesse preesistenze ci conforta. Ci sono momenti in cui davanti alla ricchezza del sottosuolo e del passato ci convinciamo che non abbiamo sbagliato mestiere.

 

Ci sono giorni, mesi, e a volte anni in cui pensiamo che le nostre tribolazioni professionali abbiano un senso. E il senso è lì, davanti ai nostri occhi, sotto le nostre mani.

 

Poi, spesso, arrivano grigi attimi in cui tutto viene avvolto in sudari di tessuto non tessuto. Seguono lunghi giorni in cui guardando la ricopertura dello scavo ci viene voglia di vestire di nero. Ci sono volte in cui ciò non succede, ma troppo spesso sì. E alla fine di gioiose giornate, gravide di scoperte e problemi, ci  sentiamo come un ingranaggio.

 

Ci sentiamo strumento  di speculazioni e complici dello scempio del territorio.

 

Alla fine ci viene il dubbio di essere parte di una catena di smontaggio.

 

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Paola Romi, l’autrice di questo post è su Twitter: @OpusPaulicium

 

Da oggi Paola entra ufficialmente a far parte dello staff di Professione Archeologo. Benvenuta a bordo, Paola!

EA: Emergenza d’Archeologia (Episodio terzo) ~ di Paola Romi

1.03 – Vanilla Sky

 

“Ma non vivrò in una realtà parallela?”.

 

Questo è l’interrogativo che mi gira e rigira nella scatola cranica e spesso, davvero, mi attanaglia il dubbio di abitare una vita artefatta, fondata sull’errore. Non mi riferisco al fatto di aver sbagliato professione, quello, se si pensa alle difficoltà, è un dato di fatto.

 

Situazione tipo. Stai seguendo le operazioni di allargamento di una strada. Dopo la rimozione di un muretto di contenimento del terreno che sovrasta la sede stradale, in sezione, si palesano le tegole della copertura a cappuccina di un’antica inumazione. Di più, se per caso il sole o il gelo ti avessero talmente obnubilato dal farti dubitare dell’unica interpretazione possibile di quello che hai davanti agli occhi, eccole là, due tibie, che spuntano, composte e bianchicce, sopra alle sconquassate ossa dei piedi. La natura di quello che vedi ti sembra talmente evidente che non ti perdi in chiacchiere, tiri fuori i pennelli e, cercando di non complicare la vita all’amico antropologo, ripulisci il contesto.

 

Ed ecco, in questo momento di concentrazione, sommessa gioia e relativa tranquillità, arriva qualcuno, un qualcuno che credevi dotato di raziocinio, giunto a ripeterti, per cinque o sei volte, che quella che stai scavando è la recentissima sepoltura di un cane. Con inaspettata ironia lo zittisci, con inaudita crudeltà lo inviti a mostrare le ossa della sua caviglia per fare un confronto. Annientato, lo sfortunato geometra, batte in ritirata fra l’ilarità generale.

 

Dopo scene come questa, legate anche a evidenze meno inequivocabilmente interpretabili, dopo commenti e valutazioni, non sempre simpatiche e generose, dei rinvenimenti, ma soprattutto a margine di discussioni con persone dotate di un alto profilo professionale e culturale, che fanno altri mestieri, mi domando sempre: “Perché?”.

 

Perché non capiscono l’importanza di quello che facciamo, delle cose che analizziamo e di quelle che tuteliamo? Forse viviamo in una dimensione onirica che gli altri non comprendono.

 

Ed in preda a questa invisibile alienazione qualcosa mi dice: “Apri gli occhi!”. Non siamo noi a non esistere, è la comunicazione del nostro lavoro ad essere inconsistente. Manca la narrazione del passato fuori dagli stereotipi di Voyager, manca la divulgazione vera. Se non troviamo il modo di trasmettere il senso, la bontà ed i risultati anche del più piccolo scavo di emergenza siamo destinati ad una perenne scissione dal resto della popolazione.

 

Ci condanniamo da soli a popolare, con i soli nostri simili, un’eterna Life extension, gratuita, problematica e sterile.

 

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Paola Romi, l’autrice di questo post è su Twitter: @OpusPaulicium

EA: Emergenza d’Archeologia (Episodio secondo) ~ di Paola Romi

1.02 – STAR WARS II – L’attacco dei cloni

 

L’università è finita, o quasi, ormai la famiglia ci ha trasmesso una di quelle malattie che si chiamano etica e/o necessità del lavoro, purtroppo la vita accademica non ci entusiasma. Oppure, confessiamolo, nell’Accademia non c’è posto per noi. Ed eccoci qua, con un sorriso Durbans degno del migliore spot, alle prese col nostro primo lavoro. Finalmente non più semplici numeri ma persone, professionisti.

 

Svegliamoci, svegliatevi.

 

O è un sogno, o siete finiti nella versione radicalchic di The Truman Show. Perché se c’è una regola che vige in tante realtà dell’archeologia di emergenza è l’assoluta ininfluenza di CHI lavora. Nella maggioranza dei casi non conta chi sei, non serve sapere quali sono le tue attitudini e, soprattutto, bisogna accontentarsi. Un esercito di figurine da spostare sul tabellone del territorio. Così se Pikachu è da 20 giorni a Osteria del Suburbio perché farlo lavorare tranquillo? Spostiamolo di 45 km, non verso casa sua, bensì in una terza direzione, e mandiamolo sulla via Disperatina così Bulbasaur lo posizioniamo a vicolo degli Altrui Privilegi, che lui sai, è amico della mia … .

 

Va bene, ci piacciono tanto i giochi di ruolo, dobbiamo fare la gavetta, ma non vorremmo da soli alzare il PIL dell’Arabia Saudita e friggerci perennemente il cervello per scambiare dati al telefono col collega che “c’era prima”. Anche perché non c’è niente di più indisponente del sentire qualcuno che ribadisce, con la simpatia di Gollum, che Ermengarda però, non si comportava come te. Ma IL Problema dell’essere numeri non è solo ed essenzialmente questo. Perché brave cooperative e società esistono, pare: tuttavia per cercare di perdurare in questa condizione ontologica, l’esistenza appunto, devono confrontarsi col mercato. E quindi il giovane Holden, no scusate, il giovane Archeologo, oltre che mobile, qual piuma al vento, deve anche essere economico. Non che esista una reale contrattazione, questo è, se lo vuoi bene, altrimenti ce ne sono tanti fuori. Tutti uguali, tutti affamati, anche senza conoscere Steve Jobs.E se non sono il top, meglio. Se ti possono criticare tenerti sotto controllo è più semplice.

 

La forza di questi sistemi tuttavia è la nostra disperazione e la nostra relativa disattenzione. Quindi, se ci riflettiamo, scardinarli dovrebbe essere semplice.

 

Se l’ “esercito” è fatto di cloni, senza cloni l’ “esercito” non esiste.

 

Voi vi sentite ancora cloni, per caso?

 

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P.S. Per una riflessione meno ironica sull’annosa questione dell’equa retribuzione e dell’inquadramento professionale in campo archeologico si vedano le posizioni ed i siti delle associazioni di categoria ormai fortunatamente esistenti.

 

Paola Romi, l’autrice di questo post è su Twitter: @OpusPaulicium

EA: Emergenza d’Archeologia (episodio pilota) ~ di Paola Romi

1.01 – La Sottile Linea Rossa

 

Forse quando vi siete iscritti al corso di Laurea in archeologia non ve l’hanno detto, ma questo è proprio un lavoro di trincea. E non per il banale motivo che pensate.
Ogni singolo giorno che mettete piede in cantiere dovete infatti ricordarvi di tutti i limiti da sfiorare, ma non attraversare. Alcuni sono fisici, altri ideali, altri ancora metaforici e a questi vanno aggiunti quelli messi da qualcuno senza comunicarvelo.
Il primo è il fisicissimo limite dello scavo. Facile non superarlo, vero? E invece, o perché in barba ad ogni norma di sicurezza non ci sono le protezioni, o se hai bisogno di fare una foto decente, o quando devi intervenire per salvare, non la vecchia anfora, ma l’antico muro… è un attimo superarlo, il limite, quindi cadere e, nel migliore dei casi, far fare grasse risate ai simpatici convenuti.
Tra gli altri c’è però un confine più difficile da individuare, quello che permette di raggiungere l’equilibrio dei rapporti e nei rapporti. Perché questo limite ti trapassa la testa e lo stomaco: dal semplice fatto di coglierlo dipende la tua sopravvivenza professionale. È una striscia sottile, quasi una linea, quella entro cui mantenersi per essere in pace con la propria coscienza, non scontentare l’istituzione di cui si fanno le veci, (se esistono) non farsi strapazzare dai “donatori” di lavoro, non infastidire troppo i committenti e conservare la sorridente ironia caparbiamente pretesa da chi fatica tutti i giorni con te. Se riuscite o riuscirete ad individuare questa linea ed a camminarci sopra con non curante disinvoltura forse siete destinati a sopravvivere.
Degli altri limiti, tanti, vi parlerò un’altra volta.