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Foto credit: @OpusPaulicium

15 domande a… Marina Lo Blundo, assistente museale e blogger

Marina lo Blundo è assistente alla vigilanza museale e blogger.

 

Laureata in Conservazione dei Beni Culturali presso l’Università di Genova, ha da poco terminato il dottorato di ricerca in Storia e Conservazione dell’Oggetto d’Arte e d’Architettura all’Università di Roma Tre.

 

Pioniera dell’archeoblogging, nel 2008 ha fondato il blog Generazione di Archeologi e oggi cura i contenuti dei blog della Soprintendenza archeologica della Toscana e del Museo Archeologico Nazionale di Venezia.

 

Il suo lavoro ufficiale è quello di Assistente alla vigilanza per il Museo Archeologico Nazionale di Firenze.

 

Le abbiamo rivolto 15 domande a cui rispondere al volo.

 

*

 

 

1 – Nome?

 

Marina Lo Blundo.

 

2 – Età (vera o mentale)?

 

Vera 33; mentale spesso e volentieri tra i 17 e i 23 (chiedete in giro, ve lo confermeranno).

 

3 – Segni particolari?

 

R moscia. Inascoltabile soprattutto se abbinata alla C e alla T aspirate, nonché alla C e alla G strascicate (acquisite in questi anni a Firenze). Aggiungeteci anche che ho un accento sporchissimo fatto di toscanismi inseriti qua e là nella cadenza genovese a sua volta inquinata dalle mie origini nella Riviera di Ponente. Capite bene che è preferibile per me scrivere, piuttosto che parlare in pubblico…

 

4 – Perché hai scelto di fare l’archeologa?

 

Perché sinceramente non avrei saputo cos’altro fare.

 

5 – Perché fai ancora l’archeologa?

 

Perché sinceramente non saprei cos’altro fare. Scherzi a parte, ringrazio il Cielo di avermi fatto vincere il famoso concorso per Assistenti alla vigilanza nei musei statali del 2008: se non l’avessi vinto non so cosa farei oggi. Di lavoro retribuito almeno. Ma l’archeoblogger la farei indipendentemente. Mi piace, è parte di me. Non ne potrei fare a meno.

 

6 – Che lavoro farai da grande?

 

Stante la recentissima riforma del MiBACT con la creazione della Direzione Generale dei Musei, credo proprio che farò l’Assistente alla Vigilanza a vita. Spero almeno di restare all’Archeologico di Firenze: non potrei pensare di vivere lontano dalla mia Chimerina…

 

7 – Descrivi in tre righe cosa non va nel tuo lavoro.

 

L’assistente alla vigilanza così come viene inteso dalla maggior parte della vecchia generazione di funzionari svilisce totalmente il personale entrato col nuovo concorso, che si ritrova a stare su un panchetto quando potrebbe essere speso utilmente per altri compiti all’interno delle Soprintendenze.

 

Detto questo, nella quotidianità del mio lavoro non vanno le piccinerie e i dispettucci tra custodi e la sciatteria, a tutti i livelli, nell’affrontare i problemi di gestione del museo.

 

8 – Un genio può esaudire un tuo desiderio riguardante l’archeologia in Italia. Cosa chiedi?

 

Gente savia al MiBACT. Mi piacerebbe che si creasse un circolo virtuoso in cui il Ministero funzioni e faccia ricadere a pioggia sulle altre istituzioni a vario titolo pubbliche e private gli effetti di un buongoverno. Effetti che dovrebbero ricadere anche sui professionisti, da chi si spezza giornalmente la schiena in cantiere a chi fa ricerca, a chi fa comunicazione. Utopia. E vabbè.

 

9 – Se ti reincarnassi in un/a fiorentino/a famoso, chi vorresti essere?

 

Giovanni Poggi, Soprintendente alle Belle Arti durante la II Guerra Mondiale e in particolare nell’Estate del ’44, quando Firenze fu bombardata e poi liberata dagli Alleati. Forse non è un fiorentino famoso, ma sarebbe bene che lo fosse. Egli difese strenuamente il patrimonio artistico fiorentino, le collezioni degli Uffizi e di Palazzo Pitti in particolare, seguì personalmente il trasporto delle opere d’arte in rifugi sicuri fuori Firenze, difese ad ogni costo i capolavori dai furti più o meno legalizzati dei Tedeschi, rischiò molto in nome dell’Arte che difese ad ogni costo.

 

Persona che antepose la salvaguardia del patrimonio artistico ad ogni altra cosa; il suo non fu semplicemente un lavoro, ma una vocazione, una missione. La storia di Poggi si conosce poco, soprattutto fuori Firenze, ma fu un supporto molto importante per i Monuments Men che lavorarono in Toscana tra il 1944 e il 1945. Senza la sua attività probabilmente molte opere d’arte sarebbero andate perdute, cadute in mano ai Tedeschi e/o distrutte per sempre.

 

Ora giochiamo:

 

10 – Che libro butteresti giù da Ponte Vecchio: Etruscologia di Massimo Pallottino o Introduzione allo studio dell’Etrusco di Mauro Cristofani? Perché?

 

Ehm… posso dire che non ho mai letto né l’uno né l’altro? No, oddio, Introduzione allo studio dell’Etrusco dev’essermi passato per le mani però, ecco, non ha lasciato molto il segno… (shame on me, ma so a mala pena leggere tincsvil sulla zampa della Chimera)

 

11 – Una giornata di guardiania al MAF con Massimo Bray o Giuliano Volpe? Perché?

 

Giuliano Volpe non me ne voglia, ma con Massimo Bray mi divertirei un monte a twittare e a far twittare la Chimera (@ChimeraMAF)

 

12 – È l’anno 2100. E’ la fine del mondo prospettata dai Maya (alla fine c’avevano ragione, avevano sbagliato solo l’anno). Puoi scegliere di salvare solo un’opera del Museo: la Chimera, il Vaso François o l’Arringatore? Perché?

 

Eh, la Chimera è la Chimera. Mi dispiace per gli altri, anche se devo ammettere che l’Arringatore mi è sempre stato simpatico. Il Vaso François invece… beh, non sarebbe la prima volta che viene distrutto per la cattiveria di un custode (curiosi di sapere chi fu il primo?).

 

13 – Devi noleggiare un DVD da vedere con la Chimera: scegli L’etrusco uccide ancora o Una notte al museo? Perché?

 

Una notte al museo, che ricorda a lei le sue scorribande notturne per i corridoi e a me tutta la fatica che devo fare ogni volta per domarla. Vi ho mai raccontato di quella volta che l’ho trovata a giocare a scacchi con l’Obesus di Chiusi e Larthia Seianti?

 

14 – Di chi faresti volentieri a meno? Del turista fai da te che “Scusi, ma per il Colosseo, devo girare dopo Piazza della Signoria?” oppure della neolaureata che “io vorrei lavorare in un Museo e lo farei anche gratis”? Perché?

 

Andrò un po’ controcorrente, però farei a meno non tanto del turista fai da te quanto del “visitatore ad ogni costo”, quello che siccome ha comprato una card per entrare in tutti i musei del mondo deve per-correrli tutti, senza avere alcuna idea di quello che sta guardando. Senza sapere neanche dove si trova.

 

E purtroppo, e andrò ulteriormente controcorrente, iniziative come la #domenicaalmuseo non fanno altro che evidenziare questa situazione. Le folle oceaniche che si riversano al museo approfittando del biglietto gratuito semplicemente attraversano il museo: una percentuale molto bassa è davvero interessata e visita con cognizione di causa o quantomeno con interesse. Ma la maggior parte, mi dispiace dirlo, non ha assolutamente idea di dove si trova; per costoro essere al museo archeologico o alla pinacoteca o in un centro commerciale non fa nessuna differenza. Non lo dico così tanto per dire, ma in base a lunghe osservazioni in sala.

 

La neolaureata che lavorerebbe anche gratis mi fa solo tenerezza. A meno che, certo, non arrivi con l’atteggiamento borioso di chi ha capito tutto della vita (e purtroppo ce n’è a giro): ricordo, quand’ero stata appena assunta, che in museo a Firenze c’erano due studentesse stagiste; ricordo l’aria di sufficienza con cui guardavano noi che eravamo “solo” custodi. Non so, sinceramente, che fine abbiano fatto.

 

15 – La tua definizione di archeologia.

 

Per me l’archeologia è una disciplina “sociale”: il fine ultimo di ogni ricerca archeologica è la restituzione alla comunità di un tassello della sua storia, antica o meno antica che sia. Per questo a mio parere non si può prescindere dalla comunicazione e dal racconto. Non c’è archeologia se manca il racconto, ma il racconto ha bisogno di qualcuno cui lo si racconti.

 

Quella degli archeologi è una missione “sociale”, non mi stancherò mai di dirlo. Se ci dimentichiamo del nostro Patrimonio perché non ne conosciamo il valore e non lo riconosciamo come nostro, è un danno per la società. Guardate cos’è successo a Mosul, se volete avere un esempio forte di ciò che intendo.

 

[Photo credit: Paola Romi @OpusPaulicium]

 

 

(@pr_archeologo)