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Archeologi in Progress: da dove nasce l’archeologia di domani ~ di Gesualdo Busacca

Siamo davvero lieti di ospitare oggi sul nostro blog per la prima volta un pezzo a firma di Gesualdo Busacca, presidente dell’associazione culturale ArcheoUnict, tra i protagonisti e gli organizzatori del V Convegno Nazionale dei Giovani Archeologi, che si è svolto a Catania dal 23 al 26 maggio scorsi.

 

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Raccontare in breve spazio l’esperienza del V Convegno Nazionale dei Giovani Archeologi è impresa difficile. E lo è ancor di più per chi come me lo ha organizzato e seguito in tutte le sue fasi.

 

Quando abbiamo ideato il Convegno, durante una tranquilla riunione di redazione per il sito internet di ArcheoUnict, lo abbiamo pensato come un evento creato ed organizzato da studenti per studenti: volevamo fossero loro ed i giovani ricercatori gli unici protagonisti. Soprattutto, volevamo un convegno atipico, giovane e dinamico, con un marchio inequivocabile di novità.

 

“Un convegno nato dal basso”: con queste parole si è aperto Archeologi in Progress: il cantiere dell’archeologia di domani, che si è svolto a Catania lo scorso maggio, nato grazie alla collaborazione tra i giovani organizzatori ed il corpo docente dell’Università siciliana che ha garantito la qualità scientifica dei contributi presentati.

 

Un convegno social: e non avrebbe potuto essere altrimenti. Tanti i modi per essere presenti anche da lontano: un incessante live-tweeting, un evento Facebook sempre aggiornato, condivisione quasi istantanea di foto, e infine live streaming dei momenti salienti.

 

Un convegno aperto alle nuove frontiere dell’archeologia.

 

L’archeologia deve dialogare con il mondo di oggi: deve farlo innanzitutto studiando strategie per comunicare in maniera efficace i risultati – e con essi l’utilità della ricerca – al pubblico, che non può essere il circolo elitario degli specialisti. Se ne è parlato nel corso del workshop dedicato alla comunicazione archeologica, coordinato da Alessandra Cilio. Sono tante le idee nate nel breve spazio di un pomeriggio, molte le prospettive di collaborazione tra le diverse realtà che in questa occasione si sono conosciute e hanno discusso.

 

Se l’archeologia deve parlare al mondo di oggi, deve parlare anche di temi che interessano il mondo di oggi, tentare di dare risposte agli interrogativi della realtà contemporanea. Il workshop sull’archeologia della crisi, coordinato da Giuseppe Cacciaguerra, ha affrontato l’attualissimo problema della crisi economica da una prospettiva storico-archeologica, cercando analogie e legami rivelatori tra diversi momenti critici della storia, per aiutarci a comprendere meglio quello attuale.

 

Infine, se l’archeologia deve progredire come disciplina, non può chiudersi di fronte alle nuove metodologie di ricerca: siamo stati orgogliosi di ospitare, per la prima volta in ambito accademico in Italia, un workshop dedicato all’archeologia sperimentale, coordinato da Claudia Speciale e Kati Caruso. Un laboratorio pensato per esporre e mettere alla prova le potenzialità scientifiche dell’approccio sperimentale, per riscoprire saperi artigianali, azioni, suoni e odori del passato.

 

Molte delle riflessioni scaturite nel corso del Convegno sono state raccolte ed elaborate durante il significativo discorso di chiusura di Daniele Manacorda, che sarà presto fruibile integralmente su YouTube.

 

Parole chiave: archeologia e società.

 

Un’archeologia che deve essere aperta e partecipativa, libera dal feticismo dell’oggetto e dalla «religione dell’antico, per dare spazio ad una visione problematica e viva».

 

Un’archeologia che dovrà poggiare su quattro pilastri: ricerca, tutela, valorizzazione e formazione.
È nato quindi il progetto di una rete nazionale dei giovani archeologi italiani, organismo che dovrebbe mirare a riunire tutti i gruppi e le associazioni di studenti di archeologia presenti sul territorio nazionale. Obiettivo è quello di lavorare per un nuovo modello di formazione, più partecipativa e a misura di studente, ma soprattutto all’altezza delle sfide che l’archeologia di oggi e di domani deve affrontare.

 

Il V Convegno Nazionale dei Giovani Archeologi non è stato quello che avevamo in mente, è stato molto di più, e questo grazie alla partecipazione attiva e dinamica di molti giovani studiosi provenienti da diverse realtà universitarie italiane, tra i quali si è intessuta una rete di relazioni che, sono sicuro, non finirà qui, a dimostrazione che le idee migliori vengono quando si conviene.

 

Per utilizzare una frase di Manacorda «un albero senza radici non dà frutti, ma quelli migliori nascono dagli innesti».

 

L’appuntamento, adesso, è per l’anno prossimo a Roma, dove i colleghi della Sapienza, da poco riuniti nell’associazione Sapienza Giovani Archeologi, si sono impegnati ad organizzare la VI edizione del Convegno.

 

A loro, e a tutti, mi resta solo una cosa da dire: in bocca al lupo, ragazzi!

 

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Gesualdo Busacca è su Twitter:  @gesualdobush

In Francia l’archeologia apre le porte al pubblico. E da noi?

Ieri sul nostro profilo twitter abbiamo segnalato una notizia che, secondo noi, squarcia il velo di Maya sul modo di percepire e vivere l’archeologia in Italia.

 

Si tratta di un’iniziativa d’oltralpe, dei cugini francesi, in cui l’archeologia è la protagonista. Un’archeologia vissuta nell’ottica della divulgazione da parte degli addetti ai lavori e della partecipazione da parte del pubblico.

 

Di cosa stiamo parlando? Parliamo di come, per i prossimi tre giorni a partire da oggi, l’archeologia francese apre le sue porte a chi archeologo non è.  Porte intangibili, ma che a volte appaiono impossibili da buttar giù, chiusa com’è la nostra archeologia dietro le transenne dei cantieri o tra le mura delle aule, dei laboratori.

 

Le Journées nationales d’Archéologie, giunte alla quarta edizione, sono il modo attraverso cui l’archeologia che tanto scopre si lascia scoprire, aprendo in via eccezionale aree archeologiche, organizzando mostre e dibattiti pubblici, incontri con gli archeologi, animazioni, rappresentazioni storiche e sì, portando la gente anche sui cantieri. Tutto nello spazio di un lungo weekend.

 

La mission è chiara:

Elles mettent en lumière les aspects les plus divers de l’archéologie et permettent au public de découvrir la discipline à travers des initiatives originales dans des lieux ouverts exceptionnellement le temps d’un week-end.

 

Il pubblico ha così l’occasione di visitare un cantiere di archeologia preventiva, di capire perchè i lavori pubblici per la costruzione di quel parcheggio sono fermi, cosa rivela la stratigrafia formatasi nei secoli, cosa fa davvero un archeologo.

 

Un’iniziativa di questo tipo ha il pregio di contribuire a creare un nuovo immaginario della figura dell’archeologo, che non è più Indiana Jones, ma un professionista che passa le sue giornate a lavorare nello stesso spazio urbano in cui vive la cittadinanza, diventa un cittadino che svolge una professione utile alla collettività. E la collettività diventa partecipe del suo lavoro.

 

E pubblicità e promozione? Ne paniquez pas! Se ne occupa il ministero, in collaborazione con l’Inrap (Istituto Nazionale francese di Archeologia Preventiva), che ha caricato sul sito ufficiale dell’iniziativa persino i manifestini da stampare e diffondere in giro per la città.

 

Ma come fa il cittadino a sapere quali posti sono aperti e quali no?

 

Semplice. Mettiamo vi trovate in Aquitania (beati voi!). Vi va di visitare un vero cantiere archeologico? Una comoda funzione di ricerca vi permette di cercare tutti gli scavi aperti in quella regione. Potete leggere l’apparato informativo, vedere i nomi di chi ci lavora, visitare la pagina Fb o il sito internet se c’è. E poi via, si consulta la mappa e si parte, a vivere un fine settimana di cultura in cui sono gli archeologi veri, e non quelli dei film, a raccontare come funziona l’archeologia. E se si ha tempo, e voglia, ecco a vostra disposizione tutte le notizie sulle iniziative archeologiche della regione selezionata.

 

Bello no?

 

Bello sì, e la cosa che più ci ha colpiti è che alla fine si può compilare un ‘questionario di gradimento’ perchè se c’è qualcosa da correggere, il prossimo anno, la festa viene meglio.

 

A noi di Professione Archeologo PIACE.

 

E lanciamo una provocazione: perchè non farlo in Italia?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

The incredible tide

Se non vi è rimasto un briciolo di incoscienza, di audacia, di idealismo nonché di ottimismo non leggete questo post.
Passate oltre.

 

Nelle ultime settimane è successa una cosa bellissima. E come quasi tutti gli accadimenti più sorprendenti è nata da un piccolo pretesto, post di poche righe sul profilo del MIBAC. Così è iniziata la protesta di #no18maggio, da un fitto scambio di articoli sui blog di professionisti che non si sono mai visti in faccia, ma la faccia ce l’hanno messa, e dalla cagnara di tanti cinguettii è emerso #generazionepro.

 

Con tanta incoscienza, un po’ di fretta e qualche perplessità è stata lanciata l’iniziativo di #nottedeiprofessionisti.

 

L’invito alla partecipazione è stato diffuso su Facebook e Twitter e così sabato ci siamo ritrovati a Roma, non al Colosseo, non al Pantheon, ma a Castel S. Angelo ,forse anche più consono, come luogo simbolico, ad una protesta che apparteneva a tutti i professionisti dei BBCC e non solo agli archeologi.

 

Superando le consuete problematiche di traffico e parcheggio, muniti di cartelli coloratissimi e pieni di hashtag, siamo arrivati, sotto il sole che sembrava essere scomparso dal maggio romano, nel triangolo compreso tra il poderoso mausoleo, il Tevere e via della Conciliazione: lì, in mezzo a tanti simboli della nostra storia, della società e della cultura italiana abbiamo portato fuori dalla rete la protesta, ribadendo, a caratteri cubitali “#VolontariAChi ?”

 

Chi è abituato a contare centinaia di migliaia di persone in piazza ci avrà guardato con tenerezza.

 

Il successo della protesta è stato in rete, nella rapida comunicazione e nel passaparola. Anche i media tradizionali sono stati costretti ad accorgersi di noi. Alcuni hanno detto che il pretesto per rivendicare un nuovo modo di gestire, valorizzare e narrare i nostri Beni Culturali era sbagliato. E’ così? In questo mi ritengo piuttosto machiavellica: se la protesta è giusta, il casus belli non è troppo importante.

 

Ma tutto ciò è stato già detto, e meglio. Mi sembra invece che nei prodromi di questa iniziativa si siano accumulate tante idee, anzi, tanta voglia di proporre un radicale cambiamento nell’archeologia italiana. Sui social network i cinguettii e i post di autentica e sincera buona volontà, ma anche gli interventi di maggiore impegno si sono accumulati, come tante gocce.
Da qui l’idea di una prossima ventura alta marea.  Ricordate Conan, il ragazzo del futuro? Nato da un libello di scarsa qualità e spessore è diventato un cartoon pieno di ottimismo, speranza e voglia di ricostruire, senza pregiudizi, il proprio mondo.

 

Così mi auguro sarà l’esperienza che nascerà dai recenti accadimenti. Questo vorrei che fosse il nostro tentativo di costruire un’archeologia… “post-moderna”? Non mi sembra molto felice come etichetta, e so che i miei colleghi ne troveranno di certo una più adatta. L’importante, però, è che fondamentale sia il radicamento della nostra professione nella società. E’ necessario che i nostri concittadini riconoscano le nostre esigenze perché noi riconosciamo le loro.  E’ fondamentale che ritroviamo la capacità ed il gusto di coinvolgere e raccontare.

 

Dai #generazionepro, il mondo (dell’archeologia, ma non solo) deve ripartire. Ripartirà?

 

L’autrice di questo post, Paola Romi è su Twitter: @OpusPaulicium

 

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RASSEGNA STAMPA

Comunicato di sostegno dell’On. Ileana Piazzoni

Foto tratta da SkyTg24 (se qualcuno riesce a recuperare il video del servizio ce lo comunichi, grazie!)

Grr.rai.it

Roma Oggi Notizie

Nuovo Paese Sera

Roma Today

– E spazio anche a chi la pensa diversamente, da Vita.it

E presto in arrivo anche uno Storify con la storia di Notte dei Professionisti.

 

Maggiori info e notizie le trovate sull’evento Facebook del fashmob. Inoltre, come promesso, abbiamo caricato tutte le foto di chi ha aderito all’iniziativa, di persona o tramite la rete, in un album Flickr. Non è tardi per partecipare alla protesta, siete ancora in tempo per metterci la faccia e caricare la vostra foto. Continueremo a raccoglierle, come continueremo a seguire il dibattito che tutto questo ha suscitato e, speriamo, susciterà.

#nottedeiprofessionisti: Professione Archeologo c’è

Facciamo il punto della situazione.

 

La protesta iniziata a partire dalla nota del MiBAC è cresciuta in maniera esponenziale grazie al dibattito apertosi in rete. Basta cercare su Twitter gli hashtag ad essa correlati (#no18maggio #generazionepro #VolontariAChi) per rendersene conto. Siamo velocemente passati dalla polemica sull’impiego dei volontari durante la Notte dei Musei 2013, alla protesta nei confronti di un sistema che fa del volontariato un surrogato del lavoro retribuito.

 

È ora di dire basta.

 

Con la scusa della crisi economica, precariato perenne, disoccupazione, tirocini “aggratis”, stage non spesati e tutte le variazioni linguistiche sul tema, sono diventati il pane quotidiano di tutti noi.

 

È tempo di sostituire la solita approssimazione e mancanza di lungimiranza nel campo delle politiche culturali con strategie in grado di valorizzare le professionalità che si sono formate in anni di studio. Bisogna ribadire che la cultura può e deve essere il motore della crescita, l’unico investimento sicuro sul futuro di questo paese.

 

E allora cominciamo a cambiarle le cose, ed iniziamo dal dimostrare che non siamo un esercito invisibile, che gli operatori dei beni culturali (archeologi, storici dell’arte, archivisti, bibliotecari e via dicendo) vogliono dire la loro, vogliono essere al centro del dibattito pubblico, perché hanno idee, proposte e le competenze per realizzarle.

 

Come fare?

 

Facile.

 

Prendete carte e penna e scrivete un cartello come quelli che vedete qui tra le mani dello staff di Professione Archeologo. Scattatevi una foto (macchina fotografica, webcam, cellulare, dipinto ad olio, Photoshop) e caricatela sulla bacheca di Notte dei Professionisti, l’evento FB dedicato. Se siete davvero avanti e avete un account Twitter caricate la foto anche lì, senza dimenticarvi gli hashtag #no18maggio #generazionepro e #VolontariAChi #nottedeiprofessionisti. Successivamente raccoglieremo tutte le foto caricate on line in un album Flickr che potrete visualizzare e condividere per dire “Io c’ero”.

 

Se vi trovate dalle parti di Roma, poi domani pomeriggio prendete il vostro cartello, salite sull’autobus o su qualsiasi altro mezzo di locomozione e fatevi trovare alle 17 a Castel S. Angelo (via Giovanni XXIII) per partecipare al flashmob promosso da Confederazione Italiana Archeologi e Assotecnici, e che Professione Archeologo ha contribuito ad organizzare fin dal primo istante.

 

Siate numerosi che, come direbbe mia zia, “dobbiamo finire al telegiornale”, e munitevi di smartphone, tablet, macchine fotografiche per documentare l’evento e diffonderlo on line.

 

È solo l’inizio di un percorso che ci deve vedere protagonisti ed il primo passo è uscire dall’anonimato.

 

E quale miglior modo che metterci la faccia?

 

PS: Per qualunque informazione non esitate a contattarci via mail o attraverso i nostri canali social!

 

Crowdfunding. Il futuro dell’archeologia?

Il crowdfunding è una tipologia di finanziamento tramite donazioni da parte di persone che decidono di investire piccole somme di denaro per sostenere un’organizzazione o un progetto. Grazie alle possibilità di incontro offerte dal web, in particolare dai social media, e grazie all’esistenza di specifiche piattaforme ad esso dedicate, il crowdfunding è stato negli ultimi anni alla base di numerose iniziative, dalla campagna elettorale di Obama, alla realizazzione di film indipendenti o album musicali, al finanziamento di progetti di carattere culturale o umanitario.

 

Concetti essenziali del crowdfunding sono quelli di microfinanza e di comunità, veicolate dal web, la cui viralità permette di raggiungere pubblici e quindi donatori prima inaccessibili.

 

Cosa c’entra l’archeologia?  C’entra perchè nel Regno Unito hanno deciso di applicare il crowdfunding alla ricerca archeologica.

 

DigVentures, nata nel 2012, ha proprio lo scopo di costruire “una comunità che ha l’archeologia come cuore, e la partecipazione pubblica nel DNA”.

 

L’associazione, composta da archeologi con diversi curricula e specializzazioni, con anni di esperienza nel campo della divulgazione, si pone come obiettivo quello di avvicinare il grande pubblico alla pratica archeologica, coinvolgendo gli appassionati  in diverse fasi della ricerca, con un occhio alla sostenibilità sia ambientale che finanziaria dei progetti, avendo in mente la successiva fruizione turistica dei siti indagati.

 

La community dei “venturers” viene poi tenuta sempre aggiornata per mezzo di video, foto, articoli e degli immancabili social network, e può prendere parte, dietro acquisto di un determinato pacchetto, allo scavo, provando in prima persona cosa significa essere un archeologo sul campo.

 

Ed è questa una delle particolarità di quest’idea: le donazioni sono definite in “pacchetti”, che vanno da un minimo di 10 sterline, per le donazioni di base, e salgono via via, fino ad un massimo di 875 sterline per la partecipazione all’intera feel school (della durata di due settimane), e con un pacchetto “speciale” di 2,000 sterline.

 

In questo modo DigVentures ha raccolto lo scorso anno oltre 30.000 euro, mentre quest’anno l’obbiettivo è lo scavo dell’abbazia medievale di Leiston, per cui è in corso la raccolta dei quasi 20.000 euro necessari.

 

Visto il successo di queste prime campagne di crowdfunding, DigVentures mette a disposizione la propria piattaforma per tutti coloro che abbiano bisogno di raccogliere fondi per finanziare i propri progetti di ricerca archeologica.

 

Al di là del successo di questa tipologia di finanziamento, la cosa che ci sembra più interessante è che il team di DigVetures è formato da archeologi imprenditori e manager di sè stessi, che si occupano di tutti i passaggi della ricerca, facendo del coinvolgimento del pubblico degli appassionati non solo la propria fonte di finanziamento, ma anche la comunità verso la quale e per la quale il loro lavoro viene svolto.

 

Ecco le parole di Lisa Westcott Wilkins, manager dell’associazione:

 

“Crediamo che offrire un servizio di nicchia sia assolutamente la strada giusta: dopo tutto noi capiamo il prodotto, abbiamo anni di esperienza nel campo noi stessi, oltre alla necessaria expertise strategica per aiutare altri progetti a realizzarsi e a vendere meglio loro stessi, con un’occhio alla sostenibilità. Abbiamo scoperto attraverso il nostro lavoro che crowdfunding e crowdsourcing sono potenti mezzi di coinvolgimento e costruzione di comunità, il che per quel che facciamo è importante tanto quanto il finanziamento in sé.”

 

Per saperne di più:

DigVentures: crowdfunding, come funziona

Saints & Secrets: the Lost History of Leiston Abbey (il progetto di finanziamento e scavo)

Crowdfunding the past: is this the future of archaeology? articolo su DigVentures in Past Horizon, con l’intervista citata a Lisa Wescott Wilkins.

Il crowdfunding in Italia, un blog

I sogni infranti del parco del Gladiatore (da La Stampa del 03/04/2013)

L’articolo di Flavia Amabile di pochi giorni fa focalizza l’attenzione sul progetto per il Parco Archeologico della via Flaminia, anche se forse, vista la forte discontinuità delle evidenze, si potrebbe applicare più efficacemente la categoria del Museo Diffuso.

 

Al di là dei progetti e dei sogni degli archeologi, però, nemmeno la quanto mai opportuna presenza di una linea ferroviaria che sembra progettata per portare il visitatore da un sito all’altro, quasi fosse una macchina del tempo, è riuscita ad aiutare il recupero di una porzione di territorio gravida di testimonianze del passato, e così i monumenti, scavati e poi lasciati a sè stessi, accolgono il visitatore tra rifiuti e cemento.

 

 

La fine di marzo era una stagione meravigliosa nella villa di Livia, moglie dell’imperatore Augusto. La villa era circondata da un paesaggio che non aveva eguali nei dintorni di Roma: colline, prati e il Tevere. Si trovava lungo la via Flaminia, l’arteria più importante tra la capitale dell’impero e le regioni settentrionali. Capitava che Livia si ritirasse lì e che l’imperatore andasse a trovarla quando si liberava dagli impegni. Dal centro di Roma era un piccolo viaggio ma la distanza era ripagata dalla bellezza del paesaggio costellato di importanti mausolei e distese di dolci prati.

 

L’anno prossimo saranno 2 mila anni dalla morte di Augusto: si sta mettendo a punto il programma delle celebrazioni ma quel pezzo della sua vita difficilmente potrà essere ricostruito se non con una buona dose di fantasia. Eppure la Soprintendenza Archeologica ha nel cassetto un progetto per trasformare la Flaminia in una nuova Appia antica. E’ un’idea talmente semplice da sembrare la scoperta dell’acqua calda. Sfrutta il vantaggio che la Flaminia ha rispetto alle altre rinomate strade consolari: la linea ferroviaria, la Roma-Viterbo.

 

Avete mai provato a raggiungere l’Appia senza un’auto privata? Da perderci la testa. La via Flaminia, invece, ha un trenino con le fermate che sembrano studiate da un archeologo per quanto sono vicine agli antichi siti. Quando fu scritto il progetto, c’era anche qualcos’altro: un paesaggio ancora non troppo diverso da quello attraversato dall’imperatore. Bastava unire questi elementi per avere un Parco archeologico, affermarono i fautori del progetto, sostenuti da Italia Nostra.

 

… continua

EA: Emergenza d’Archeologia (Episodio quinto) ~ di Paola Romi

1.05 – Tempi Moderni

 

Ci sono periodi in cui la sorte ci assiste, la fortuna ci aiuta e la nostra bravura ci supporta.

 

Ci sono cantieri in cui la fortuna ci arride ed il rinvenimento di complesse preesistenze ci conforta. Ci sono momenti in cui davanti alla ricchezza del sottosuolo e del passato ci convinciamo che non abbiamo sbagliato mestiere.

 

Ci sono giorni, mesi, e a volte anni in cui pensiamo che le nostre tribolazioni professionali abbiano un senso. E il senso è lì, davanti ai nostri occhi, sotto le nostre mani.

 

Poi, spesso, arrivano grigi attimi in cui tutto viene avvolto in sudari di tessuto non tessuto. Seguono lunghi giorni in cui guardando la ricopertura dello scavo ci viene voglia di vestire di nero. Ci sono volte in cui ciò non succede, ma troppo spesso sì. E alla fine di gioiose giornate, gravide di scoperte e problemi, ci  sentiamo come un ingranaggio.

 

Ci sentiamo strumento  di speculazioni e complici dello scempio del territorio.

 

Alla fine ci viene il dubbio di essere parte di una catena di smontaggio.

 

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Paola Romi, l’autrice di questo post è su Twitter: @OpusPaulicium

 

Da oggi Paola entra ufficialmente a far parte dello staff di Professione Archeologo. Benvenuta a bordo, Paola!