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#500schiavi un mese dopo: #verso11G
/1 Commento/in Archeologi in trincea, Dibattito /da AntoniaÈ passato un mese dall’uscita del bando #500schiavi. Sarebbe inutile raccontare nuovamente tutte le criticità della stesura che, dopo il 7 dicembre 2013, ha generato un fronte di lotta comune, capace di riunire incredibilmente tutte le professioni dei Beni Culturali.
E tuttavia, visto l’approssimarsi della manifestazione che ne è derivata, ripercorriamo le tappe della protesta.
1 – Il 7 dicembre viene pubblicato il bando per il reclutamento di 500 giovani per la cultura. Subito sui Social iniziano le proteste e le critiche, non solo su requisiti e monte ore ma soprattutto sull’iniqua “retribuzione”.
2 – Nel weekend la contestazione “monta” su Twitter al “grido” di #500schiavi e compaiono i primi articoli in merito sui blog.
3 – Lunedì 9 e martedì 8 la tensione sale: noi di PA siamo stupefatti dal successo del nostro articolo, che è spia della rilevanza del problema tra i professionisti dei #BBCC.
Sono giorni mediaticamente concitati: in poche ore si passa dalla forte presa di posizione delle nostre associazioni di categoria (ANA, CIA ), al tam tam tra le diverse realtà attive in rete. I professionisti dei beni culturali fanno sentire a gran voce il proprio disappunto e il salto della protesta dalla rete alle testate giornalistiche nazionali viene da sé, trascinato da cinguettii, post, pagine/gruppi fb. (Qui trovate la rassegna stampa)
4 – Viene così indetta la manifestazione dell’ 11 gennaio, 500 no al Mibact.
5 – Il primo risultato si ottiene domenica 15 dicembre, quando il Ministro On. Massimo Bray, incalzato nel corso della trasmissione “Che tempo che fa?” sulla questione #500schiavi, prende atto dei problemi del bando e promette, tra le altre cose, di migliorarlo.
6 – Tuffo carpiato con doppio avvitamento della macchina del MIBACT: a tempo di record il 16 dicembre esce una nuova stesura del bando con requisiti e monte ore attenuati.
Non è successo il miracolo di Natale, sono state limate tutte le caratteristiche legalmente impugnabili in modo semplice e diretto. È un buon segno, ma il problema resta.
Ma non demordiamo.
7 – Ed ecco arrivare #verso11G: il sit-in del 20 dicembre davanti alla sede del Ministero.
Sotto la pioggia battente, dopo aver visto passare sottosegretari meno affabili delle forze dell’ordine (non serve fare nomi, vero?), i delegati dei manifestanti vengono ricevuti dal Capo di Gabinetto del Ministero Lipari, dal Segretariato Generale Antonia Pasqua Recchia e dal Direttore Generale per l’organizzazione, gli affari generali, l’innovazione, il bilancio ed il personale Mario Guarany, che di fatto aprono al dialogo con i professionisti dei Beni Culturali.
E poi? E poi ci sono state le festività natalizie. Ma adesso sono finite. L’11 Gennaio è prossimo.
E ora è il momento di scendere in piazza.
Perché deve essere chiaro che non siamo choosy e neanche piagnoni e tanto meno vecchi brontoloni (come molto gentilmente siamo stati apostrofati da giovani ansiosi di guadagnare 3 euro l’ora).
Siamo professionisti, abbiamo competenze, idee innovative e siamo anche piuttosto stufi dei diktat che piovono dall’alto e ci obbligano a pensare che l’unica strada percorribile per “valorizzare” il nostro patrimonio sia quello di prostrarsi, cospargersi il capo di cenere e accettare un altro anno di “formazione” inutile.
Prima di tutto partiamo dalle spiegazioni: l’unico modo per impiegare 2,5 milioni di euro era questo? Qualcuno ha pensato a valide alternative? Oppure era molto più “comodo” ripiegare sul classico dei classici: stage retribuito senza futura possibilità di assunzione (che alla fine conviene andare a farlo in un’azienda privata dove forse poi assumono anche…) per parcheggiare altri 500 giovani che tanto dopo un anno emigreranno o cambieranno lavoro?
Tirare a campare è davvero l’unica possibilità che volete/vogliamo darci?
E sia chiara un’altra cosa: non chiediamo assistenzialismo, ma possibilità di lavoro.
Innovazione, creatività, risveglio culturale sono parole che devono andare di pari passo con l’idea di tutelare e conservare il nostro patrimonio culturale.
Rifiutiamo il bando e l’idea che sottende al bando perché ci sembra una panacea temporanea che non affronta i veri nodi del settore.
Lo sappiamo benissimo che da qualche parte bisognava iniziare, dopo anni sciagurati di tagli indiscriminati, ed è proprio per questo che ci sembra che sia stata sprecata un’occasione.
Le nostre proposte, embrionali, magari utopiche, le abbiamo discusse qui e qui.
E le richieste sottese alla manifestazione sono enucleate nella piattaforma programmatica, scritta nero su bianco.
Siamo la #generazionepro e sarà difficile fermarci, perché per la prima volta siamo uniti non solo per protestare ma per proporre un futuro diverso.
Antonia Falcone (@antoniafalcone)
Paola Romi (@opuspaulicium)
Credits immagine: Davide Arnesano (soggetto, disegno, colori)
#Riconoscimento e pdl 362. Professione Archeologo ne parla con Alessandro Pintucci (presidente CIA)
/1 Commento/in Le interviste di Professione Archeologo /da AntoniaSono stati giorni intensi per i professionisti dell’archeologia e dei beni culturali quelli appena trascorsi. Ecco una sintesi di quanto successo nell’ultima settimana.
Atto primo: Sabato 16 novembre tre associazioni di categoria pubblicano una LETTERA AL MINISTRO BRAY SU ITER PDL. 362. Nel documento congiunto Associazione Nazionale Archeologi, Assotecnici e Confederazione Italiana Archeologi chiedono all’On. Massimo Bray di sostenere la Proposta di Legge n. 362, presentata alla Camera dei Deputati dagli onorevoli Ghizzoni, Madia e Orfini il 20 marzo 2013 poiché costituisce una tappa fondamentale per il riconoscimento dei professionisti dei Beni Culturali.
Atto secondo: La mattina di Mercoledì 19 novembre su Twitter si scatena un vero e proprio uragano. Utilizzando l’hashtag #Riconoscimento, gli archeologi, a cui si uniscono prontamente gli altri professionisti dei Beni Culturali, danno corpo ad un intenso, creativo e coinvolgente #tweetstorm indirizzato al Ministro @massimobray. La richiesta rivolta al titolare del MiBACT è semplice: il #Riconoscimento di quelle figure professionali (archeologi, storici dell’arte, archivisti, etc.) necessarie alla tutela e valorizzazione del nostro Patrimonio culturale ma non ancora previste dal Codice dei Beni Culturali.
(Provvisorio) Gran finale: Alle ore 15.51 dello stesso 20 novembre il Ministro risponde al turbine di messaggi a lui diretti: “Avevo espresso la speranza che gli #archeologi non fossero più soli. Il @mi_bact è al lavoro per il #riconoscimento della loro professione”.
Il 21 Novembre ANA, CIA e Assotecnici diffondono un comunicato stampa congiunto in cui esprimono soddisfazione per le parole del Ministro e l’auspicio che presto possano trasformarsi in fatti.
All’origine della “tempesta” c’è la richiesta di approvazione della Proposta di Legge 362, presentata dagli onorevoli Manuela Ghizzoni, Marianna Madia e Matteo Orfini.
Abbiamo chiesto ad Alessandro Pintucci, presidente della Confederazione Italiana Archeologi, di illustrarci brevemente i punti chiave della pdl.
Intervista di Antonia Falcone.
In questi giorni si è tanto parlato della pdl 362. Di che si tratta?
Si tratta di una proposta di legge, ormai datata nella sua prima forma al 2008, che intende inserire i professionisti dei BB.CC. nel codice dei Beni Culturali, rendendoli gli unici attori delegati dallo Stato ad operare sui Beni stessi.
Raccontaci brevemente come è nata la Ghizzoni-Madia-Orfini. A quale punto dell’iter legislativo è ora la pdl?
La legge è nata appunto nel 2008, in seguito all’inserimento nel Codice dei Beni Culturali dei Restauratori, con un iter lunghissimo che ha portato, non senza polemiche, a riconoscere questa professione a livello nazionale.
In analogia con questa categoria, anche dopo la manifestazione che l’ANA promosse a Roma del 2008, la Politica si accorse degli archeologi e propose, in forma un po’ diversa da quella attuale, una legge che introducesse gli archeologi nel Codice. Noi, come Confederazione Italiana Archeologi, abbiamo avuto il merito di allargare la platea delle professioni dei Beni Culturali contemplate in quella legge e di scongiurare la proposta di un elenco dei professionisti obbligatorio, che avrebbe reso la proposta fuori dalla normativa europea e di fatto inapplicabile.
Quali e quanti passaggi dell’iter legislativo sono necessari perché la pdl venga definitivamente approvata?
La battaglia che insieme agli altri professionisti dei BB.CC. stiamo portando avanti in questi giorni è che la proposta passi per via legislativa, dunque solo con l’approvazione delle Commissioni Cultura di Camera e Senato, dove la proposta ha ricevuto il placet di tutte le forze politiche superando anche le osservazioni delle altre Commissioni Parlamentari coinvolte. Purtroppo ci sono state alcune prese di posizione dell’Accademia e dei Soprintendenti che hanno espresso perplessità sul metodo di tenuta degli elenchi: hanno ritenuto infatti che li escludesse, delegando alle associazioni professionali. Siamo sicuri che queste perplessità verranno affrontate dai legislatori e si troverà una quadra in grado di permettere una rapida approvazione della legge, senza lasciare fuori alcuna sua parte. Noi comunque ci batteremo per questo.
Perché è così importante per noi archeologi la sua approvazione e cosa cambierebbe per la categoria?
Sembra un paradosso, ma sarebbe la prima volta che la figura dell’archeologo entra nel Codice dei Beni Culturali, dove si parla, appunto dei Beni ma non degli attori che hanno il compito di tutelarli, conservarli e renderli fruibili: è come scrivere le regole del calcio parlando solo del pallone e non dei calciatori…
La legge, una volta approvata, andrà certamente a colmare un vuoto normativo. La domanda che si pongono gli archeologi italiani è se ciò sarà sufficiente per definire la nostra professione. Cosa ci dici a questo proposito?
Non so se sarà sufficiente, certamente non lo sarebbe stato nel 2008; ma da gennaio 2013, da quando cioè è stata approvata la legge che riconosce e regola le professioni intellettuali prive di albo e ordine (legge 4/2013), la pdl 362 rappresenta un punto di arrivo importante per tutti i professionisti della cultura, contribuendo a far emergere numeri e dati delle professioni che sinora sono rimasti una specie di blob indefinito.
Link utili:
La finestra di fronte ~ di Camilla Bertini
/0 Commenti/in Dibattito /da DomenicaLa ricerca archeologica può essere divulgata al grande pubblico in Italia? Che ruolo hanno internet e i social networks in tutto questo?
La questione è stata discussa all’interno della Borsa Mediterranea del turismo Archeologico di Paestum. I professionisti del settore dei Beni Culturali (e non solo) lamentano la mancanza di piattaforme adeguate alla diffusione della cultura sul web in Italia. Se si prende ad esempio l’estero, l’Italia perde su tutta la linea: per rendersene conto basta accedere ai siti internet dedicati alle collezioni dei più famosi musei (dal British Museum, al Louvre o al bellissimo Corning Museum of Glass) o, per esempio, alle piattaforme gestite dalle stesse università straniere che raccolgono blog, account Twitter, Facebook e persino canali YouTube.
Incontri come quello degli archeoblogger a Paestum sottolineano la necessità di aprire un dialogo fra il professionista archeologo ed il suo pubblico: l’archeologia può e ormai deve diventare interattiva. L’esplosione dell’hashtag #archeoblog su Twitter, trending topic tra i primi dieci in Italia nello scorso giovedì, dimostra come in rete ci siano professionisti e appassionati che sanno come usare gli strumenti web messi a loro disposizione per diffondere cultura e che se ne interessano, ne parlano e vogliono confrontarsi usando tali strumenti. Allora perché in Italia si fatica a far decollare l’informazione digitale?
Da un lato si percepisce poca voglia di scommettere sul grande pubblico da parte delle istituzioni: si pensa che la cultura non porti né ascolti né guadagno, e se pensiamo nei termini dell’espressione tristemente comune della cultura come “petrolio d’Italia” forse è davvero così, ma equiparare la divulgazione su vasta scala ad un impegno inutile è in sé un parodosso: come si può incuriosire un potenziale “fruitore” di cultura senza fornigli le informazioni necessarie?
Internet ed i mezzi offerti dalla tecnologia non potrebbero invece diventare pubblicità gratuita, oltre che un prezioso alleato nel formare una rete capillare fra il professionista ed il pubblico? Si parla sempre più spesso di engagement anche nel mondo culturale: non è tempo di pianificare stategie a lungo termine, di rendere la cultura non solo accessibile, ma facile da trovare, alla portata di tutti, persino quotidiana?
In Italia i segnali sono incoraggianti, ma c’è ancora molto lavoro da fare. L’ideale?
Ve lo racconto in un aneddoto.
Martedì mattina ricevo una email dal mio professore in cui si scusa, ma deve cancellare il nostro appuntamento per quel giorno. Motivo? Ha un appuntamento in radio per un’intervista.
Parlare di vetro antico sulla BBC radio Nottingham?
Avevo proprio capito bene.
Provenienza e il riciclo delle materie prime, la differenza fra siti di produzione primaria e secondaria, usi e nascita del vetro antico possono sembrare, nel belpaese, argomenti azzardati e magari anche un po’ barbosi da trattare alle tre del pomeriggio in una radio locale, e invece, con la giusta dose di chiarezza è possibile introdurre la materia per tutte le fasce di ascoltatori. Non solo, l’intervista mette anche in luce quanto il lavoro dell’archeologo comprenda diverse fasi di lavoro, non soltanto il vero e proprio scavo archeologico che è forse quello che più fa parte della nostra professione nell’immaginario collettivo (indiana Jones a parte), ma anche tutta la successiva analisi dei dati che andranno a creare l’informazione finale, quella che poi viene effettivamente veicolata al grande pubblico.
Non sarebbe bello, auspicabile, cool, se si raggiungesse lo stesso grado di ‘naturalezza’ anche in Italia, magari proprio investendo sulle nuove possibilità date dalla rete.
Bè, io me lo auguro. Io sono pronta per una vera e propria rivoluzione digitale.
P.s. Chi lo volesse ascoltare l’intervista, a questo link si può trovare la trasmissione integrale della puntata (per l’intervista andare a 3h 24’): la registrazione è disponibile ancora per qualche giorno.
*
Camilla Bertini, l’autrice di questo post è su Twitter @Cami82
Da #no18maggio a #FreeArchaeology (dal blog di Alessandro D’Amore)
/2 Commenti/in Dibattito /da AntoniaVi presentiamo con piacere l’ultimo post di Alessandro D’Amore sul suo blog “Le parole in archeologia“, interessante intervista che parla di precariato, lavoro culturale, crisi e comunicazione. E stavolta @Alex_OLove ci porta in Gran Bretagna, incontrando Sam Hardy di (Un)Free Archaeology.
Qui il link al post e di seguito un assaggio dell’intervista:
Ciao Sam e grazie mille per aver accettato di fare questa chiacchierata. Sono molto contento di questa opportunità.
Ciao Alessandro, grazie a te per quest’intervista. Noi attivisti (anti)#freearchaeology siamo d’accordo con voi attivisti di #no18maggio sulla necessità di costruire una consapevolezza ed una solidarietà internazionale per portare avanti le nostre battaglie, perciò quest’occasione è ottima per tutti noi.
Sono passati quasi sette mesi da #no18maggio e sebbene in Italia la questione non sia stata più trattata dal Mibact, oltremanica la nostra protesta/proposta ha attirato l’attenzione.
Ci siamo tutti resi conto, in modo forse traumatico, che le grandi problematiche della nostra professione sono ben lungi da essere solo italiane, o solo British. La crisi è ovunque e di conseguenza (di conseguenza?) il settore culturale soffre. Ecco questa frase forse è più consona alla patria di Sam perché da noi soffriva anche prima. Eccome.
L’intervista di Alessandro ci offre lo spunto per riflettere nuovamente sul lavoro culturale: quali sono i reali problemi di chi lavora per e nella cultura? Si possono ricondurre alla più generale precarizzazione del lavoro? Una volta che la nostra professione sarà finalmente definita ed inserita nel quadro normativo, quali problemi persisteranno?
Domande in un certo senso inquietanti, ma siamo convinte che solo provando ad immaginare una risposta sarà possibile affrontare i nodi ancora irrisolti della nostra professione.
Voi come la pensate?
#Archeologiamuta: scene da un patrimonio
/0 Commenti/in Dibattito /da AntoniaSu Professione Archeologo ne abbiamo discusso spesso: può l’archeologia italiana sviluppare gli strumenti per uscire dall’alveo degli “addetti ai lavori” e diventare invece patrimonio comune e condiviso?
A dare retta a quel che leggiamo on line, e sempre più frequentemente negli ultimi tempi, la risposta, purtroppo, è no.
L’immagine che viene fuori, invece, ricostruita attraverso casi più o meno eclatanti, reportage, articoli, e, aggiungiamo, anche dalla nostra personale esperienza quotidiana, è quella di un’archeologia che non riesce a comunicarsi e quindi a rendersi accessibile al grande pubblico.
Quest’inaccessibilità si manifesta in due momenti distinti, ma complementari: da una parte la problematica legata agli open data ed alla possibilità di permettere la fruizione collettiva dei risultati delle indagini archeologiche, dall’altra la questione della carenza di forme adeguate di valorizzazione del patrimonio archeologico: pensiamo ad esempio alla difficoltà di comprensione che un visitatore può incontrare di fronte ad una testimonianza archeologica che, per quanto conservata, celebrata e magari anche molto nota, spesso rimane però “muta”, talvolta letteralmente.
Segnaliamo a questo proposito i reportage di Manlio Lilli e Flavia Amabile, che, rispettivamente, sulle pagine del Fatto Quotidiano e de La Stampa, stanno sollevando nelle ultime settimane il problema dei “Monumenti fantasma” a Roma.
I monumenti fantasma: la prima puntata (Il Mausoleo di Augusto)
I monumenti fantasma: la seconda puntata (L’Ateneo di Adriano)
I monumenti fantasma: la terza puntata (La Meta Sudans)
I monumenti fantasma: la quarta puntata (Le Terme di Traiano)
Il problema è ben noto, non solo a chi lavora nell’ambito dei beni culturali, ma anche ai cittadini che, nella veste di turisti o di semplici passanti, si ritrovano troppo spesso a cercare e non trovare, a guardare e non vedere, e questo perché manca non solo una strategia comunicativa (che espressione forte!), ma addirittura semplicemente un adeguato apparato informativo.
Archeologiamuta, dunque, che è come dire archeologia negata, nascosta, altra dal paese reale, che spesso la dimentica, non la considera, la ritiene troppo onerosa.
C’è la necessità di investimenti (pubblici, privati), è vero, ma c’è anche la necessità di trovare il linguaggio giusto, che spieghi e responsabilizzi, che coinvolga e renda partecipi, che racconti e ricostruisca, perché se le storie che tiriamo fuori dalla terra non diventano storia collettiva, se il patrimonio culturale non diventa eredità di tutti, da tutti difeso e da tutti compreso, per l’archeologia italiana e per gli archeologi che giorno dopo giorno studiano, lavorano, portano alla luce preziose tracce del nostro passato, il futuro, ahinoi, è sempre più nero.
#archeologiamuta #archeologianegata su twitter per ridare la parola al nostro patrimonio archeologico
Professione Archeologo incontra Let’s Dig Again ~ di Domenica Pate
/0 Commenti/in Le interviste di Professione Archeologo /da DomenicaE accade così che in un nuvoloso pomeriggio d’autunno quella che doveva essere una normale intervista video da registrare, montare, e poi caricare on line, si è trasformata, complici cambiamenti tecnici imprevisti, in una diretta streaming improvvisata.
E’ andato così il mio incontro con Andrea Bellotti e Alessandro Mauro, ideatori e curatori di Let’s Dig Again, la prima web radio archeologica,
Nata per archeologi e per avvicinare al mondo dell’archeologia anche chi non ne mastica, in compagnia di buona musica.
L’idea è fresca, originale, innovativa, ed è per questo che qui a Professione Archeologo ci siamo subito incuriositi e abbiamo deciso di cercarli, per fare quattro chiacchiere con loro.
E così, sabato scorso, in diretta web da tre angoli diversi della penisola, Alessandro, Andrea e la sottoscritta, hanno parlato di archeologia, di come è nato il progetto Let’s Dig Again, della risposta dentro e fuori dal web e delle nuove strategie comunicative che l’archeologia deve oggi adottare per aprirsi al suo pubblico.
Di strada da fare ce n’è, ma come dimostrano l’esperienza e la tenacia di questi ragazzi, le idee da mettere in campo sono tante, e resta solo da provarci.
Da parte di tutto lo staff di PA complimenti sentiti e un grosso in bocca al lupo!
E per chi non avesse ancora avuto il piacere di ascoltarli, Let’s Dig Again va in onda il prossimo giovedì alle ore 17, in diretta dallo scavo di Vignale, ed è possibile interagire live con i conduttori, utilizzando i diversi canali social della radio o lasciando un messaggio sulla bacheca di Spreaker.
Tutte le puntate sono poi diponibili in versione podcast sul profilo Spreaker della radio.
Let’s Dig Again ha anche una pagina facebook ed un profilo twitter dove potete seguire in diretta gli aggiornamenti sulla programmazione e sulle mirabolanti avventure dei due conduttori della prima archeoradio del web.
*
Sand Creek ovvero Dell’esistenza e Necessità della Figura dell’Archeologo ~ di Paola Romi
/8 Commenti/in Dibattito /da DomenicaStrana professione la nostra, strani i fenomeni che la attraversano, celebrano e tartassano. Siamo fieri e granitici nella nostre certezze. Siamo giusti, siamo scevri da interessi strettamente economici, siamo certi di lavorare per il bene comune.
I fieri ed alteri sacerdoti della Storia.
Questo è il prequel ovviamente, o forse la convinzione di qualche fortunato.
La verità è un’altra, la raccontano in tanti sul web, ne abbiamo parlato spesso anche noi di PA. È una realtà fatta di grandissimi problemi pratici, economici e legislativi, eppure noi continuiamo a sentirci baciati dalla dea Fortuna perché, alla fine, facciamo un mestiere che ci piace. In fondo siamo comunque dei privilegiati.
Usciamo dalla metafora e torniamo al presente.
Tarquinia, settembre 2013: la missione dell’università di Torino scopre una tomba etrusca. Intatta. Due giorni fa notizia rimbalza su tutti i media, in Italia e all’estero ed una generazione di archeologi, con una punta di inevitabile invidia, constata che forse vale ancora la pena di fare questo lavoro.
Ieri 24 settembre. Esce un articolo del Corriere della Sera in cui, nel non esiguo spazio dedicato alla notizia, protagonista non è l’eccezionale scoperta, né il team che l’ha realizzata, ma lo sponsor, anzi uno degli sponsor, dello scavo: 53 anni, laureato in economia, docente universitario e AD di una florida impresa. Si parla di lui, della sua passione per l’archeologia, del suo passare le ferie, come tutta la famiglia, a scavare. Si descrivono le sue emozioni, si lascia a lui l’onore di entrare per primo nella tomba e sempre a lui l’onere di accennare ad “un’interpretazione” del contesto.
“Interpretazione”? No, scusate, ma gli archeologi? L’equipe della missione?
Non pervenuti.
Solo alla fine, quasi a chiosare con erudita leggerezza, si lascia la parola al professore che ha diretto lo scavo. Per una notazione da antichista, ovvio.
Constatato che forse persino Schliemann e Carter impallidirebbero davanti a tale visione dell’archeologia, quello che mi chiedo è come mai questo accade, perché, se una testata nazionale dà quel taglio all’articolo, se un non professionista entra per primo in una tomba inviolata, se la nostra figura professionale sembra non avere nessun valore ontologico, un motivo ci deve essere.
E chissà, magari questo è il prezzo da pagare nel non avere un ben definito approccio alle sponsorizzazioni: sì, no, forse, ci piacciono, non ci piacciono. Il risultato di questa relazione incerta, anche quando scientificamente non nefasta come in questo caso, può anche essere questo: lo sponsor che sostituisce il professionista.
Non illudiamoci, però. Il liberale professor Benini è il meglio che ci possa capitare. Per il resto rimaniamo, ahimè, trasparenti, considerati sostituibili senza troppi danni da chi lavora a titolo gratuito.
Dies Natalis #3 ~ Sir John Davidson Beazley
/0 Commenti/in Dies Natalis /da DomenicaBentrovati! Dopo una breve e rigenerante pausa estiva, inauguriamo la nuova stagione di Professione Archeologo con il terzo appuntamento di #DiesNatalis, la rubrica dedicata alle personalità che hanno fatto la storia della nostra disciplina.
Oggi vi presentiamo Sir John Davidson Beazley, nato il 13 settembre del 1885.
Beazley fu un brillante studente al Balliol College di Oxford, dove si laureò in Literae Humaniores nel 1907. Dopo un anno alla Scuola Britannica di Atene, nel 1908 tornò ad Oxford in qualità di allievo e tutor di Antichità Classiche presso la Christ Church, ove cominciò ad interessarsi alla ceramografia greca e a pubblicare i primi lavori.
Dopo aver servito la Patria nell’Ammiragliato Britannico durante la I Guerra Mondiale, riprese i suoi studi sui vasi attici a figure rosse e nel 1925 divenne Lincoln Professor in Archeologia e Storia dell’Arte Classica presso l’Università di Oxford. Lo stesso anno pubblicò l’Attische Vasenmaler des rotfigurigen Stils, importantissimo catalogo aggiornato e pubblicato in lingua inglese nel 1942. Ad esso si affiancarono il primo fascicolo del Corpus Vasorum Antiquorum, la pubblicazione sulla collezione del Museum of Fine Arts di Boston e lo studio sui pittori a figure nere.
Durante questi anni, Beazley ebbe modo di affinare e concretizzare un personale metodo di analisi e comparazione stilistica, finalizzato all’attribuzione delle opere ad una specifica mano o bottega, anche in assenza di firme. Questo metodo, basato sul costante e minuzioso confronto dei dettagli delle figure dipinte e dei vasi, gli permise di comprendere i processi creativi degli artisti e la loro evoluzione stilistica, dai lavori della giovinezza a quelli della vecchiaia.
Beazley si ritirò nel 1956 ma continuò i suoi studi fino alla morte, giunta il 6 maggio del 1970.
Il suo archivio personale fu prima ereditato dall’Università e poi conservato nel Ashmolean Museum fino al 2007, quando venne spostato nell’Innou Centre della Facoltà di Antichità Classiche di Oxford.
Per chi volesse approfondire la vita e gli studi di Sir John Davidson Beazley segnaliamo i seguenti link:
http://www.dictionaryofarthistorians.org/beazleyj.htm
http://www.beazley.ox.ac.uk/index.htm
Soggetto, disegno e colori di Davide Arnesano
Buone vacanze da Professione Archeologo!
/0 Commenti/in News /da AntoniaProfessione Archeologo augura a tutti buone vacanze e vi dà appuntamento a settembre con nuovi post, rubriche e news!
In questi mesi vi abbiamo proposto uno sguardo diverso sul mondo dell’archeologia, uno sguardo animato dalle esperienze dei colleghi archeologi, dall’idea di una progettualità di ampio respiro nel nostro settore e anche da una discreta vis polemica come quando hanno voluto farci passare per volontari e non per professionisti di tutto rispetto con alle spalle una formazione decennale.
Ci siamo anche divertiti a proporvi le nostre rubriche: da #DiesNatalis che celebra i giganti dell’archeologia, dalle cui spalle oggi vediamo stratigrafie e manufatti, agli Archeo Tutorial, ausilio (speriamo) per gli studenti alle prime armi, passando per Meet The Archaeologist, un modo per conoscere le diverse professionalità del settore, fino alle Archaeoweb Review, un modo per scoprire l’archeologia in rete.
E poi abbiamo rivolto lo sguardo a quello che succede fuori dai confini italiani, in Francia e in Gran Bretagna, per cercare un confronto con il resto d’Europa, intercettando idee e stimoli che possano farci uscire dal “pantano” in cui siamo.
Abbiamo seguito il dibattito politico, quello che si muove nella stanza dei bottoni, dalla legge Madia-Ghizzoni-Orfini al nuovo Decreto Cultura, senza perdere mai di vista l’obiettivo comune: dare dignità all’archeologia ed a tutti i professionisti che ogni giorno cercano di preservare, tutelare, valorizzare l’immenso patrimonio culturale che ci è stato tramandato nei millenni e che abbiamo l’obbligo di rispettare e conservare per chi verrà dopo di noi.
E poichè la cultura è patrimonio condiviso abbiamo dato ampio spazio ad iniziative che si muovono verso l’open access (Open Pompei, Wiki Loves Monuments, solo per citarne alcuni), o che mirano a dare spazio ai giovani talenti di questa nostra disciplina (come la bella avventura del V Convegno Nazionale dei Giovani Archeologi).
Lo abbiamo fatto ospitando sul nostro blog contributi di ospiti d’eccezione, e vogliamo continuare su questa strada nel futuro, aprendo il blog ad interventi esterni, perchè Professione Archeologo vuole essere luogo di incontro, condivisione e dibattito.
Appuntamento quindi a settembre! Nel frattempo ci trovate come sempre sui nostri canali social: Twitter, Facebook e Google+.
Da tutto lo staff, buone vacanze!
PS: vi ricordiamo che fino al 15 agosto è possibile segnalare professionearcheologo.it per i #MIA13
Cerca su Professione Archeologo!
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