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Foto credit: @OpusPaulicium

15 domande a… Marina Lo Blundo, assistente museale e blogger

Marina lo Blundo è assistente alla vigilanza museale e blogger.

 

Laureata in Conservazione dei Beni Culturali presso l’Università di Genova, ha da poco terminato il dottorato di ricerca in Storia e Conservazione dell’Oggetto d’Arte e d’Architettura all’Università di Roma Tre.

 

Pioniera dell’archeoblogging, nel 2008 ha fondato il blog Generazione di Archeologi e oggi cura i contenuti dei blog della Soprintendenza archeologica della Toscana e del Museo Archeologico Nazionale di Venezia.

 

Il suo lavoro ufficiale è quello di Assistente alla vigilanza per il Museo Archeologico Nazionale di Firenze.

 

Le abbiamo rivolto 15 domande a cui rispondere al volo.

 

*

 

 

1 – Nome?

 

Marina Lo Blundo.

 

2 – Età (vera o mentale)?

 

Vera 33; mentale spesso e volentieri tra i 17 e i 23 (chiedete in giro, ve lo confermeranno).

 

3 – Segni particolari?

 

R moscia. Inascoltabile soprattutto se abbinata alla C e alla T aspirate, nonché alla C e alla G strascicate (acquisite in questi anni a Firenze). Aggiungeteci anche che ho un accento sporchissimo fatto di toscanismi inseriti qua e là nella cadenza genovese a sua volta inquinata dalle mie origini nella Riviera di Ponente. Capite bene che è preferibile per me scrivere, piuttosto che parlare in pubblico…

 

4 – Perché hai scelto di fare l’archeologa?

 

Perché sinceramente non avrei saputo cos’altro fare.

 

5 – Perché fai ancora l’archeologa?

 

Perché sinceramente non saprei cos’altro fare. Scherzi a parte, ringrazio il Cielo di avermi fatto vincere il famoso concorso per Assistenti alla vigilanza nei musei statali del 2008: se non l’avessi vinto non so cosa farei oggi. Di lavoro retribuito almeno. Ma l’archeoblogger la farei indipendentemente. Mi piace, è parte di me. Non ne potrei fare a meno.

 

6 – Che lavoro farai da grande?

 

Stante la recentissima riforma del MiBACT con la creazione della Direzione Generale dei Musei, credo proprio che farò l’Assistente alla Vigilanza a vita. Spero almeno di restare all’Archeologico di Firenze: non potrei pensare di vivere lontano dalla mia Chimerina…

 

7 – Descrivi in tre righe cosa non va nel tuo lavoro.

 

L’assistente alla vigilanza così come viene inteso dalla maggior parte della vecchia generazione di funzionari svilisce totalmente il personale entrato col nuovo concorso, che si ritrova a stare su un panchetto quando potrebbe essere speso utilmente per altri compiti all’interno delle Soprintendenze.

 

Detto questo, nella quotidianità del mio lavoro non vanno le piccinerie e i dispettucci tra custodi e la sciatteria, a tutti i livelli, nell’affrontare i problemi di gestione del museo.

 

8 – Un genio può esaudire un tuo desiderio riguardante l’archeologia in Italia. Cosa chiedi?

 

Gente savia al MiBACT. Mi piacerebbe che si creasse un circolo virtuoso in cui il Ministero funzioni e faccia ricadere a pioggia sulle altre istituzioni a vario titolo pubbliche e private gli effetti di un buongoverno. Effetti che dovrebbero ricadere anche sui professionisti, da chi si spezza giornalmente la schiena in cantiere a chi fa ricerca, a chi fa comunicazione. Utopia. E vabbè.

 

9 – Se ti reincarnassi in un/a fiorentino/a famoso, chi vorresti essere?

 

Giovanni Poggi, Soprintendente alle Belle Arti durante la II Guerra Mondiale e in particolare nell’Estate del ’44, quando Firenze fu bombardata e poi liberata dagli Alleati. Forse non è un fiorentino famoso, ma sarebbe bene che lo fosse. Egli difese strenuamente il patrimonio artistico fiorentino, le collezioni degli Uffizi e di Palazzo Pitti in particolare, seguì personalmente il trasporto delle opere d’arte in rifugi sicuri fuori Firenze, difese ad ogni costo i capolavori dai furti più o meno legalizzati dei Tedeschi, rischiò molto in nome dell’Arte che difese ad ogni costo.

 

Persona che antepose la salvaguardia del patrimonio artistico ad ogni altra cosa; il suo non fu semplicemente un lavoro, ma una vocazione, una missione. La storia di Poggi si conosce poco, soprattutto fuori Firenze, ma fu un supporto molto importante per i Monuments Men che lavorarono in Toscana tra il 1944 e il 1945. Senza la sua attività probabilmente molte opere d’arte sarebbero andate perdute, cadute in mano ai Tedeschi e/o distrutte per sempre.

 

Ora giochiamo:

 

10 – Che libro butteresti giù da Ponte Vecchio: Etruscologia di Massimo Pallottino o Introduzione allo studio dell’Etrusco di Mauro Cristofani? Perché?

 

Ehm… posso dire che non ho mai letto né l’uno né l’altro? No, oddio, Introduzione allo studio dell’Etrusco dev’essermi passato per le mani però, ecco, non ha lasciato molto il segno… (shame on me, ma so a mala pena leggere tincsvil sulla zampa della Chimera)

 

11 – Una giornata di guardiania al MAF con Massimo Bray o Giuliano Volpe? Perché?

 

Giuliano Volpe non me ne voglia, ma con Massimo Bray mi divertirei un monte a twittare e a far twittare la Chimera (@ChimeraMAF)

 

12 – È l’anno 2100. E’ la fine del mondo prospettata dai Maya (alla fine c’avevano ragione, avevano sbagliato solo l’anno). Puoi scegliere di salvare solo un’opera del Museo: la Chimera, il Vaso François o l’Arringatore? Perché?

 

Eh, la Chimera è la Chimera. Mi dispiace per gli altri, anche se devo ammettere che l’Arringatore mi è sempre stato simpatico. Il Vaso François invece… beh, non sarebbe la prima volta che viene distrutto per la cattiveria di un custode (curiosi di sapere chi fu il primo?).

 

13 – Devi noleggiare un DVD da vedere con la Chimera: scegli L’etrusco uccide ancora o Una notte al museo? Perché?

 

Una notte al museo, che ricorda a lei le sue scorribande notturne per i corridoi e a me tutta la fatica che devo fare ogni volta per domarla. Vi ho mai raccontato di quella volta che l’ho trovata a giocare a scacchi con l’Obesus di Chiusi e Larthia Seianti?

 

14 – Di chi faresti volentieri a meno? Del turista fai da te che “Scusi, ma per il Colosseo, devo girare dopo Piazza della Signoria?” oppure della neolaureata che “io vorrei lavorare in un Museo e lo farei anche gratis”? Perché?

 

Andrò un po’ controcorrente, però farei a meno non tanto del turista fai da te quanto del “visitatore ad ogni costo”, quello che siccome ha comprato una card per entrare in tutti i musei del mondo deve per-correrli tutti, senza avere alcuna idea di quello che sta guardando. Senza sapere neanche dove si trova.

 

E purtroppo, e andrò ulteriormente controcorrente, iniziative come la #domenicaalmuseo non fanno altro che evidenziare questa situazione. Le folle oceaniche che si riversano al museo approfittando del biglietto gratuito semplicemente attraversano il museo: una percentuale molto bassa è davvero interessata e visita con cognizione di causa o quantomeno con interesse. Ma la maggior parte, mi dispiace dirlo, non ha assolutamente idea di dove si trova; per costoro essere al museo archeologico o alla pinacoteca o in un centro commerciale non fa nessuna differenza. Non lo dico così tanto per dire, ma in base a lunghe osservazioni in sala.

 

La neolaureata che lavorerebbe anche gratis mi fa solo tenerezza. A meno che, certo, non arrivi con l’atteggiamento borioso di chi ha capito tutto della vita (e purtroppo ce n’è a giro): ricordo, quand’ero stata appena assunta, che in museo a Firenze c’erano due studentesse stagiste; ricordo l’aria di sufficienza con cui guardavano noi che eravamo “solo” custodi. Non so, sinceramente, che fine abbiano fatto.

 

15 – La tua definizione di archeologia.

 

Per me l’archeologia è una disciplina “sociale”: il fine ultimo di ogni ricerca archeologica è la restituzione alla comunità di un tassello della sua storia, antica o meno antica che sia. Per questo a mio parere non si può prescindere dalla comunicazione e dal racconto. Non c’è archeologia se manca il racconto, ma il racconto ha bisogno di qualcuno cui lo si racconti.

 

Quella degli archeologi è una missione “sociale”, non mi stancherò mai di dirlo. Se ci dimentichiamo del nostro Patrimonio perché non ne conosciamo il valore e non lo riconosciamo come nostro, è un danno per la società. Guardate cos’è successo a Mosul, se volete avere un esempio forte di ciò che intendo.

 

[Photo credit: Paola Romi @OpusPaulicium]

 

 

(@pr_archeologo)

Giano bifronte: #verybello e la comunicazione culturale made in Italy

Comunicazione culturale, comunicazione museale, comunicazione turistica, comunicazione istituzionale.

 

Lo abbiamo detto tante volte. La cultura va comunicata e va fatto seriamente e consapevolmente.

 

Eppure, non tutti l’hanno capito.

 

È sabato pomeriggio e STUMP! Arriva una sorpresa: www.verybello.it. Un nome, una garanzia.

 

Uno schiaffo in faccia a tutti quelli, e sono tanti, che da tempo sottolineano l’importanza di una strategia di comunicazione dei beni culturali (per esempio, ne abbiamo parlato diffusamente a Paestum durante la Borsa Internazionale del Turismo Archeologico: qui i video dell’incontro degli archeoblogger che parlano di comunicazione in archeologia).

 

Le porte del tempio di Giano si sono spalancate di nuovo.

 

La nuova faccia della bellicosa divinità bifronte, dall’alto di #Expo2015, ci ricorda quanta strada ci sia ancora da fare nel nostro Paese.

 

O meglio, in alcune realtà del nostro Paese: perché in molte altre la comunicazione museale e culturale funziona. Eccome.

 

Funziona e cresce, grazie al lavoro per lo più volontario di professionisti inquadrati nell’organico con altre mansioni nei non molto reconditi meandri del MiBACT. Facciamo i nomi?

 

Sì, facciamoli.

 

I Musei Archeologici Fiorentini, le Soprintendenze per i Beni Archeologici di Liguria e Toscana, lo scavo della Terramara di Pilastri, tra molti altri.

 

Funziona e cresce nelle università, come anche grazie all’impegno e alla cura delle associazioni e o per merito di private iniziative: si vedano, ad esempio, il sito dello scavo di Vignale, l’attività dell’Associazione Piccoli Musei, #svegliamuseo.

 

La comunicazione della cultura ha già raggiunto livelli degni degli standard mondiali più alti in alcuni casi, pensiamo ai musei torinesi ed in particolare al museo Egizio. Descrivere la qualità, la diversificazione e la fantasia delle attività di una struttura, che tra l’altro è in corso di ristrutturazione, risulterebbe di certo riduttivo, quindi vi invitiamo a visitare il sito www.museoegizio.it e vedrete come quest’istituzione, affidata alle cure del Direttore Christian Greco, non solo comunica, ma è anche capace di raccontarsi. Hanno persino promosso la campagna #egizio2015 che lancia la riapertura dopo un corposo “restyling” e riesce in pieno negli obbiettivi di incuriosire ed attrarre.

 

Insomma, quando vogliamo, in piccolo o in grande, quasi “aggratis” o con ampi finanziamenti, produciamo ottime campagne di comunicazione.

 

Ma certe volte…

 

Certe volte escono cose come Very Bello, che sembrerebbe una battuta di un vecchio film di Verdone o l’inglese arrancante e un po’ comico di Fantozzi, e invece è il titolo di un portale del MiBACT che ben due ministri hanno presentato sabato in pompa magna a tutta la stampa: “VeryBello! Tutta la ricchezza dell’offerta culturale italiana da maggio a ottobre 2015.”

 

Ma, ahinoi, il nome è solo l’inizio.

 

Lo facciamo un attimo il punto su questo portale, nato come aggregatore di eventi culturali in giro per l’Italia per la durata di Expo2015?

 

•   Al lancio l’immagine di copertina comprendeva Francia meridionale e stati dell’ex Jugoslavia, ma non parte della Calabria e la Sicilia. Da ieri è cambiata e ci sono anche Calabria e Sicilia. Mmm… grazie?

•   Il sito è lento, si blocca spesso e non funziona o non funziona bene da smartphone, almeno alle sottoscritte.

•   È solo in italiano, cosa quanto meno bislacca visto che il sito dovrebbe servire a promuovere la cultura italiana in vista dell’Expo2015, evento internazionale. L’inglese, pare, is coming soon (Nel frattempo potete dare un’occhiata a questo link). Sabato leggevamo di almeno altre 7 lingue, che saranno disponibili da febbraio. Sarà vero?

 

Andiamo ai contenuti.

 

Il sito è un aggregatore, dicevamo. Come avvenga l’aggregazione dei contenuti non si capisce. C’è chi si spulcia internet e carica i contenuti di volta in volta? Su segnalazione? Ci saranno tutti gli eventi? O forse c’è un sistema di raccolta automatica? (Ok, questa forse è fantascienza).

 

•   Gli eventi sono divisi in categorie che è possibile selezionare da un menù a scaletta. Però è difficile trovare una logica a queste categorie. Per esempio, perché il jazz non sta nella categoria musica e concerti? E perché l’opera è divisa dal teatro? La categoria bambini riunisce un po’ di tutto, da contenuti effettivamente dedicati ai più piccoli, agli acquari e bioparchi, ad eventi legati al cibo.

•   Essendo una lista di “eventi” non esiste una categoria musei o aree archeologiche, il che vuol dire, quindi, che le aree archeologiche sono escluse dalla lista dell’offerta culturale italiana nell’anno dell’Expo2015 a meno che non ospitino una mostra o un festival? Se non fai un evento non fai cultura?

•   Si può effettuare una ricerca per luogo: nella barra in alto si inserisce il nome di una città (o provincia) ed ecco la lista degli eventi, ma attenzione: non esiste la possibilità di fare una ricerca per regione, cosa utile visto che magari uno straniero, già che c’è in Italia, visita più città, o si sposta sul territorio (ma tanto la lingua è l’italiano, quindi al momento il problema non si pone, no?)

•   E a proposito di ricerca per luogo, non posso farne due di seguito senza passare dal via, ovvero, se consulto gli eventi di Lecce e poi voglio vedere quelli di Taranto (perché non posso cercare quelli di tutta la Puglia, vedi sopra), devo prima tornare in homepage e poi inserire la nuova città.

•   Se usate la ricerca per luogo, state attenti: si tratta di una ricerca per parola nuda e cruda, e non, ad esempio per tag o su base geografica, per cui, ad esempio, se volete sapere che fanno in ad Asti nel corso dell’anno avrete tra i risultati anche la Mostra storica per i 70 anni dalla Liberazione al Museo del Territorio Biellese, nel Chiostro di San SebASTIano, a Biella. Vabbè, direte, in fondo sempre in Piemonte stiamo.

•   A meno che, ovviamente, la mappa di Google Maps che sta accanto ad ogni evento non rimandi al continente sbagliato, come accade appunto ad Asti, che almeno in un caso è collocato in India (rimando ad Ashti Nagar, be’ dai, era facile sbagliarsi, più o meno).

 

Cosa c’è nelle schede dei singoli eventi?

 

Poco, pochissimo.

 

Il nome dell’iniziativa, il luogo, la mappa di Google di cui dicevamo, una sagomina dell’Italia, ma grigia, che dovessimo fare che coloriamo la regione di pertinenza dell’evento. Diventa tutto troppo user-friendly.

 

Non c’è un recapito telefonico, ma solo il rinvio alle pagine web ufficiali degli eventi.

 

E i contenuti? Copincollati, ovviamente, perché non è che ci sforziamo di scrivere ex-novo (Alex D’Amore, qui, porta un esempio che fa riflettere).

 

Ci sono poi i button dei social network (Facebook e Twitter, non esageriamo) che però non rimandano agli account ufficiali degli eventi (che magari, lo concediamo, non esistono), ma ti consentono di pubblicare sui tuoi profili social il link all’evento sul sito, il che, sarà ottimo per pubblicizzare gli eventi stessi, ma è di poca utilità a chi cerca di reperire informazioni.

 

Ci sarebbe altro da dire, ma francamente, non ne abbiamo voglia. Altri, più bravi di noi, stanno trovando ulteriori problemi, dalla navigabilità, alle foto sbagliate, al server usato, al fatto che un sito che dovrebbe attirare grandi volumi di traffico non ha retto il colpo nelle prime ore dalla messa online (alcuni link di approfondimento in fondo al post).

 

Tante cose saranno pian piano sistemate e sostituite (si spera) come è stato per l’immagine iniziale, ma quello che emerge è che il sito è una versione poco più che beta, perfezionabile, non finita.

 

E allora che senso ha lanciare una cosa non finita? Perché non aspettare di controllare tutto per bene, di inserire almeno l’inglese, di evitare certi errori quanto meno imbarazzanti?

 

E chi è il genio che ha partorito questo nome allucinante? E chi è il genio che ha detto ‘ok’?

 

Ecco, allora cerchiamo di capire, che cos’è la comunicazione culturale in Italia.
Giano dicevamo, perché è così. Qui da noi ha due facce.

 

Da un lato il colorato laboratorio pieno di iniziative, alcune migliori di altre, ma sicuramente vivo, autocritico e pieno di idee. Una fucina da cui iniziano, anche in ambito archeologico, ad uscire prodotti di pregio, come succede al Museo Egizio di Torino.

 

L’altra faccia del bellicoso Giano, invece, è una polverosa Wunderkammer dove si aggirano direttori, ministri e personalità di vario genere che magnificano contenuti che non sembrano capire, anzi, contenuti che certe volte, a dirla tutta, non ci sono.

 

Capiamolo, per favore, una volta per tutta, signori politici e dirigenti e ministri di casa nostra.

 

Le politiche culturali vanno prese sul serio.

 

La valorizzazione non è un “di più”, ma un bisogno strutturale di questo Paese.

 

E ribadiamo, anche, che non è vero che le forze per cambiare marcia vanno prese solo all’estero, perché le capacità, le buone pratiche e le energie ci sono. Basta mettersi in testa che la cultura non è un passatempo per signori e signore annoiate, guardarsi intorno e confrontarsi con chi, forse, ne capisce un po’ di più.

 

 

Domenica Pate (@domenica_pate)

Paola Romi (@OpusPaulicium)

 

 [articolo finito di editare alle ore 23.00 del 25 gennaio 2015]

 

*

 

Per saperne di più:

 

VeryBello, come trasformare una disfatta in opportunità

#VeryBello: le mie considerazioni tecniche

Ci vorrebbe il napalm

verybello.it: presto e bene non vanno insieme

 

 

C’è l’archeologo che – Riflessioni a margine dell’incontro degli #archeoblogger

C’è l’archeologo che crea e aggiorna il blog della Soprintendenza.

 

C’è l’archeologo che ha smesso di fare l’archeologo e fa il social media manager.

 

C’è l’archeologo che ha un blog, anzi due, gira, monta e carica video su YouTube.

 

C’è l’archeologo che sveglia i musei e sa come raccontare le storie.

 

C’è l’archeologo che gestisce i canali social della Soprintendenza.

 

C’è l’archeologo che spiega l’archeologia ai bambini.

 

C’è l’archeologo che fa il ricercatore, l’informatico e il blogger.

 

C’è l’archeologo che raccoglie e studia i dati di analytics perché, senza i numeri, le chiacchiere stanno a zero.

 

C’è l’archeologia del blogging con chi ha aperto un blog già nel lontano 2005.

 

E c’è una giornalista che li ha riuniti, non una, ma due volte.

 

Tutto ciò accade a Paestum dal 2013.

 

La sfida? Portare degli umanisti, cresciuti tra Virgilio e il manuale di Carandini, a parlare di social media, blogging, storytelling e archeologia.

 

Sono gli archeoblogger e sono tra noi.

 

Un miscuglio strano di linguaggi che trovano una sintesi sul web: riescono a parlare di antichità senza tirare per forza in mezzo il “tempio tetrastilo” , riescono a comunicare al grande pubblico senza cadere nel facile sensazionalismo di matrice kazzengheriana, riescono ad essere multitasking e a loro agio tra Facebook, Twitter, Tumblr, WordPress. Conoscono bene il significato di paroloni come engagement, insight, EdgeRank, reach, tone of voice e tanti altri.

 

Si aggirano per il web, ognuno con un blog, un sito o diversi account social e dicono ciò che pensano sul panorama dell’archeologia italiana: evidenziano con chiarezza quello che non va e quello che invece andrebbe valorizzato.

 

Generalmente parlano tra di loro o con altri professionisti. Le istituzioni accademiche e/o politiche spesso sono assenti e poco inclini al confronto. Ma tutto questo non scoraggia i nostri archeologi Indie (Giuliano De Felice dixit)  perché sono abituati a perseverare.

 

Non c’è nessuno che conosca meglio di loro:

 

l’arte della pazienza messa alla prova strato su strato, coccio infinitesimale su coccio, lucido su lucido sbavato da tratti di china;

la flessibilità, cioè “che tanto hai voglia ad essere archeologo, alla fine ti toccherà inventarti un lavoro serio tra un cantiere e l’altro”.

 

E di pazienza, flessibilità e creatività dovremo averne tanta in futuro, perché, nonostante il nostro Ministero, rappresentato a Paestum dalla dott.ssa A.M. Buzzi (Direzione Generale per la Valorizzazione del Patrimonio Culturale), abbia pazientemente interloquito con i blogger, non ci è sembrato di vedere una forte e chiara volontà di creare, nelle attività di comunicazione e divulgazione del patrimonio culturale, degli spazi di azione condivisi tra i professionisti e il MiBACT.

 

La Direzione Generale per la Valorizzazione del Patrimonio Culturale dovrebbe infatti offrire un servizio di Comunicazione e promozione del patrimonio culturale: “supporta il Direttore Generale nelle attività relative alla comunicazione, alla promozione e alla diffusione della conoscenza del patrimonio culturale, in ambito locale, nazionale ed internazionale, anche mediante la progettazione e la realizzazione di apposite campagne integrate di informazione e di divulgazione, in campo nazionale e internazionale (…) studia le migliori pratiche e i nuovi modelli operativi finalizzati alla presentazione al pubblico del patrimonio culturale, anche attraverso sistemi innovativi di divulgazione, esposizione multimediale e modelli virtuali, film documentari, pubblicazioni elettroniche”.

 

Lodevole dichiarazione di intenti, eppure di strada da fare ce n’è ancora tanta.

 

E se è vero che il motivo ufficiale è “Non ci sono fondi”, è altrettanto ineludibile il fatto che bisogna fare in fretta. Chi valorizza il patrimonio culturale del nostro Paese deve dare un segno tangibile della volontà di puntare sulla comunicazione e sull’allargamento del pubblico, perché senza il pubblico, senza la comunità che accoglie e vive e difende la propria storia, cosa ci stanno a fare gli archeologi?

 

Gli archeoblogger continueranno a fare quello che gli riesce meglio: cercare di portare l’archeologia dalle aule accademiche e dalle trincee di sottoservizi al mondo là fuori.

 

Speriamo che il mondo là fuori sia pronto ad accoglierci, altrimenti quello che rimarrà sarà un chiacchiericcio di sottofondo ai tanti problemi che ci sono.

 

E proprio perché noi facciamo sul serio, a marzo 2015 uscirà per le edizioni Cisalpino (Istituto Editoriale Universitario), il volume Archeostorie, a cura di Cinzia Dal Maso e Francesco Ripanti. Storie vissute di archeologi che raccontano l’archeologia di oggi (e forse anche quella di domani).

 

@antoniafalcone

 

[Credit foto: Francesco Ripanti]

 

 

Il ritorno degli #archeoblogger: l’intervento di Professione Archeologo alla #BMTA2014

 

Sono stati giorni intensi, pieni di scoperte, incontri, interessanti prospettive future.

 

Torniamo dalla XVII Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico cariche di idee e pronte a nuove sfide. L’incontro con gli altri #archeoblogger è stato illuminante, ed ha mostrato chiaramente che l’archeologia on line è sempre più ricca e sfaccettata e che si evolve in fretta, proprio come il web che è il luogo in cui vive, proprio come la realtà di tutti i giorni che non è mai uguale a se stessa.

 

In attesa di raccontarvi più nel dettaglio le nostre sensazioni e riflessioni, vi proponiamo qui le slide dell’intervento della nostra Antonia Falcone, che in occasione della tavola rotonda SOCIAL MEDIA & ARCHAEOLOGICAL HERITAGE FORUM. ARCHEOBLOG: RACCONTARE L’ARCHEOLOGIA NEL WEB ha parlato di analytics, dati e sentiment degli utenti che interagiscono sul blog e sui canali social di Professione Archeologo, così come abbiamo potuto registrarli nell’anno e mezzo di vita del nostro sito.

 

Cosa cercano gli archeologi italiani in rete? E perché lo fanno?

 

 

Qui trovate le slide del nostro intervento a Paestum