Emergenza d’Archeologia (episodio quarto) ~ di Paola Romi

1.04 – Titanic

 

Era grande e scintillante, maestoso ed imponente. A molti faceva paura, pavidi stavano a guardarlo, rinunciando al pericoloso viaggio, gravido di speranze e promesse. L’oceano del Tempo scatenava atavici terrori, meglio avere poche facili certezze che tanti enormi interrogativi. Pure il nome era difficile, con quel sapore greco, che sapeva di snobismo; ma faceva parte di una grande flotta, bisognava dirlo.

 

E così cominciarono ad imbarcarsi.

 

In prima classe i professori universitari e i loro pargoli, in prima classe bis, che la seconda non c’era,  i dirigenti, i funzionari, i quadri e qualche parvenu proprietario di società. In terza classe poi, loro, i disperati, i lavoratori della strada, i fidi scrutatori  con le unghie sporche di terra, i polmoni rosi dallo smog e la testa piena di sogni.

 

Fu con questo carico che la nave salpò.

 

E a terra il sindaco, il questore, il prefetto, il politico, il conte, i giornali, la radio, le comari: tutti a dire quanto era bello ed importante il transatlantico, tutti a sottolineare come opere del genere potessero salvare l’economia dello scoglio che si trovavano ad abitare.

 

A bordo poi, era tutta una festa, qualcuno in prima classe festeggiava con lo champagne, altri, sempre in prima classe, scolavano il fondo delle bottiglie e si nutrivano di sole briciole. In seconda bis invece no, pasteggiavano con costosissimi vini biodinamici e si nutrivano, a volte, di delizie a km 0, altre di caviale di cui non volevano sapere l’origine. E la terza classe stava a guardare, a tratti schernendoli di mala grazia, a tratti progettando di fondare uno Stato in cui gli alcolici e le prime classi fossero proibite.

 

E così navigando nell’oceano del Tempo tutti imparavano, tutti si interrogavano, tutti credevano che la prospettiva delle loro cabine e cuccette fosse l’unica a restituire la giusta prospettiva delle cose.

 

Ma una notte la festa finì.

 

Dai finestrini videro tutti la stessa immagine: era bianco, grande, abbacinante. Pensarono che il fastoso transatlantico avrebbe retto all’impatto. Ma così non fu. E allora corsero alle scialuppe.  Ma le scialuppe non c’erano perché l’armatore trovava che fossero troppo belle e sontuose per essere tali. Non potendosele permettere le aveva vendute al laghetto del parco di divertimenti, quello profondo un metro.

 

La leggenda narra che forse qualcuno, di terza classe, si salvò. Abituato alla disperazione, agli espedienti,  si sarebbe attaccato a un pezzo di ghiaccio e adesso vivrebbe cacciando foche con un arpione degno del neolitico preceramico.

 

Così si chiude la storia del transatlantico ARCHEOLOGIA naufragato contro l’iceberg della SPENDING REVIEW.

 

Ultim’ora: si attendono ansiosamente notizie circa la navigazione della nave gemella PATRIMONIO ARTISTICO, sembra che anche lei navighi in pessime acque.

 

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Paola Romi, l’autrice di questo post è su Twitter: @OpusPaulicium

 

 

Commenti

5 commenti
  1. giuliano
    giuliano dice:

    Mi piace molto la metafora della nave, ho qualche dubbio solo sul nome da dare all’iceberg. Credo che alla spending review tocchi più il ruolo di facile esecutore di una sentenza già scritta. Nei decenni di isolamento e mancanza di dialogo fra i passeggeri, di testardaggine nel perseguire obiettivi modesti, di scarsa fiducia e totale assenza di prospettiva. L’iceberg vero è stato autocostruito nel tempo, ed è rappresentato dalla totale insostenibilità di un sistema senza capacità di crescita e senza idee di sviluppo.

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  2. Paola
    Paola dice:

    @giuliano Questo strano episodio è stato scritto sull’onda della famosa circolare, per quello l’iceberg si chiama SPENDING REVIEW. Anche io sono dell’idea che siamo una categoria che tende ad autodanneggiarsi. grazie per l’attenzione.

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  3. Domenica
    Domenica dice:

    Davvero ben costruito il racconto, molto adatta la metafora. Concordo con quanto dice Giuliano e che tu Paola riprendi nel tuo commento. Per usare un’altra metafora, certe volte, le fosse, ce le scaviamo da soli e siamo anche molto bravi.

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