EA: Emergenza d’Archeologia (Episodio ottavo) ~ di Paola Romi
1.08 – Il buono, il brutto, il cattivo
Nessun archeologo esce dall’università con una brutta faccia.
Nessuno è cattivo quando inizia la propria “carriera” in cantieri di emergenza e/o sondaggi di varia dimensione e natura.
Siamo tutti buoni, con la faccia pulita e la testa piena di belle speranze.
Ma la musica cambia, e nemmeno troppo lentamente.
Se le tue richieste garbate e gentili vengono prontamente derise e disattese il tono si asciuga, la verbosità si tramuta in ermetismo, e il mattino avrà pure l’oro in bocca, ma la sveglia alle 5:30, oltre alla “sana” vita all’aria aperta, hanno effetti deleteri prima sul look e poi sulla persona.
Non è tragico, anzi a volte c’è qualcuno che invidia quel tuo perenne colorito abbronzato, mentre altri si convincono che il tuo colore di capelli sia più chiaro di quello che è. Per il caldo poi si riesce pure a dimagrire, non solo a rischiare la disidratazione ed il colpo di sole.
La metamorfosi psicofisica ormai è in atto.
E se in giorni di ordinaria follia riusciamo ancora a sembrare i buoni, belli e gentili ragazzi che eravamo… in realtà basta un attimo per farci esplodere. Quella goccia si chiama critica fuori luogo, come ad esempio quando qualcuno che non vive in cantiere sottolinea la manica non proprio regolamentare della tua maglietta. C’è anche un altro nome: vessazione inutile. E sulle vessazioni meglio non fare esempi. Altrimenti ci trasformiamo tutti in draghi furenti.
E poi qualcuno ti dice con lo sguardo “tu non lo sai, ma sei un bastardo, lo sanno tutti”, noi ci spaventiamo, non ci riconosciamo, e per un attimo andiamo in panico, perché, che siamo diventati brutti,passi, ma da quando siamo diventati anche cattivi?
Domanda sbagliata. Dovremmo chiederci come, non quando.
La risposta risiede nella somma delle molteplici difficoltà del nostro lavoro, nell’amarezza dei periodi di non lavoro, nelle ricorrenti crisi di identità professionale, nelle nostre fragilità che col tempo diventano granitiche e taglienti facce di bronzo.
In fondo non sia Brutti, ma abbrutiti. Non siamo Cattivi, ma incattiviti.
Da buoni conoscitori del passato forse dovremmo affrontare tutto con un sano stoicismo. Solo mi chiedo, uno stoico ha mai fatto l’archeologo in Italia?
E in modo non pertinente mi rispondo, buoni o brutti, belli o cattivi, vendiamo cara la pelle, colleghi!
@OpusPaulicium
P.s.: dedicato a @antoniafalcone e @_AlexOLove_ e a tutti gli amanti di Sergio Leone
Cara Paola
Pensa, io ho portato i tacchi alti sino a 23 anni, nonostante frequantassi geologia, e indossavo anche anelli ed orecchini. A volte mi truccavo, persino, ed ero convinta di essere una persona accomodante e democratica. Poi, ho cominiciato a scavare, per i primi anni tutto bene, a parte l’adozione di un nuovo look diciamo così ‘pratico’: via gli ornamenti, che possono pesantemente interferire con gli attrezzi di lavoro, addio make up, bonjour scarponi. Ma quando ho cominciato a prendere la responsabilità dei cantieri mi sono resa conto di essere una tiranna antipatica e stakanovista: quel che ho visto di me mi ha spaventata veramente.
E’ la pura verità: l’archeologia ti cambia, e non sempre in meglio
Questo post e questo commento mi intristiscono, ma purtroppo (in parte, perchè non ho tutta questa esperienza sul campo) mi ci ritrovo 🙁