Perché penso che sia un pessimo affare economico bloccare la ricerca in archeologia (da uominiecoseavignale)

L’articolo de La Stampa di ieri ha suscitato una grande attenzione, almeno a giudicare dai contatti (quasi 4.500) e dalle condivisioni (quasi 100) registrati dal post su FB che ne dava notizia.

 

Mi pare una buona cosa, perché è dal dibattito e dal confronto delle opinioni anche profondamente differenti che nascono le idee. E credo che in questo momento abbiamo bisogno, più che di ricette facili da applicare indiscriminatamente, proprio di buone idee da perseguire nel tempo.

 

Vorrei quindi provare a sviluppare il mio ragionamento, a partire da una domanda: che cosa significa, in termini economici, bloccare – o quantomeno bloccare in larga misura – la ricerca in archeologia?

 

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Archeologia, accesso ai dati e democrazia (da steko.iosa.it)

Come possiamo pretendere che uno studente partecipi ad uno scavo se non gli vengono forniti gli strumenti per capire cosa sta facendo? In che modo un professionista dovrebbe lavorare sul campo se non ha accesso alla documentazione delle ricerche pregresse in una determinata area?

Una riflessione su archeologia e libero accesso ai dati (qui)

EA: Emergenza d’Archeologia (Episodio terzo) ~ di Paola Romi

1.03 – Vanilla Sky

 

“Ma non vivrò in una realtà parallela?”.

 

Questo è l’interrogativo che mi gira e rigira nella scatola cranica e spesso, davvero, mi attanaglia il dubbio di abitare una vita artefatta, fondata sull’errore. Non mi riferisco al fatto di aver sbagliato professione, quello, se si pensa alle difficoltà, è un dato di fatto.

 

Situazione tipo. Stai seguendo le operazioni di allargamento di una strada. Dopo la rimozione di un muretto di contenimento del terreno che sovrasta la sede stradale, in sezione, si palesano le tegole della copertura a cappuccina di un’antica inumazione. Di più, se per caso il sole o il gelo ti avessero talmente obnubilato dal farti dubitare dell’unica interpretazione possibile di quello che hai davanti agli occhi, eccole là, due tibie, che spuntano, composte e bianchicce, sopra alle sconquassate ossa dei piedi. La natura di quello che vedi ti sembra talmente evidente che non ti perdi in chiacchiere, tiri fuori i pennelli e, cercando di non complicare la vita all’amico antropologo, ripulisci il contesto.

 

Ed ecco, in questo momento di concentrazione, sommessa gioia e relativa tranquillità, arriva qualcuno, un qualcuno che credevi dotato di raziocinio, giunto a ripeterti, per cinque o sei volte, che quella che stai scavando è la recentissima sepoltura di un cane. Con inaspettata ironia lo zittisci, con inaudita crudeltà lo inviti a mostrare le ossa della sua caviglia per fare un confronto. Annientato, lo sfortunato geometra, batte in ritirata fra l’ilarità generale.

 

Dopo scene come questa, legate anche a evidenze meno inequivocabilmente interpretabili, dopo commenti e valutazioni, non sempre simpatiche e generose, dei rinvenimenti, ma soprattutto a margine di discussioni con persone dotate di un alto profilo professionale e culturale, che fanno altri mestieri, mi domando sempre: “Perché?”.

 

Perché non capiscono l’importanza di quello che facciamo, delle cose che analizziamo e di quelle che tuteliamo? Forse viviamo in una dimensione onirica che gli altri non comprendono.

 

Ed in preda a questa invisibile alienazione qualcosa mi dice: “Apri gli occhi!”. Non siamo noi a non esistere, è la comunicazione del nostro lavoro ad essere inconsistente. Manca la narrazione del passato fuori dagli stereotipi di Voyager, manca la divulgazione vera. Se non troviamo il modo di trasmettere il senso, la bontà ed i risultati anche del più piccolo scavo di emergenza siamo destinati ad una perenne scissione dal resto della popolazione.

 

Ci condanniamo da soli a popolare, con i soli nostri simili, un’eterna Life extension, gratuita, problematica e sterile.

 

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Paola Romi, l’autrice di questo post è su Twitter: @OpusPaulicium

EA: Emergenza d’Archeologia (Episodio secondo) ~ di Paola Romi

1.02 – STAR WARS II – L’attacco dei cloni

 

L’università è finita, o quasi, ormai la famiglia ci ha trasmesso una di quelle malattie che si chiamano etica e/o necessità del lavoro, purtroppo la vita accademica non ci entusiasma. Oppure, confessiamolo, nell’Accademia non c’è posto per noi. Ed eccoci qua, con un sorriso Durbans degno del migliore spot, alle prese col nostro primo lavoro. Finalmente non più semplici numeri ma persone, professionisti.

 

Svegliamoci, svegliatevi.

 

O è un sogno, o siete finiti nella versione radicalchic di The Truman Show. Perché se c’è una regola che vige in tante realtà dell’archeologia di emergenza è l’assoluta ininfluenza di CHI lavora. Nella maggioranza dei casi non conta chi sei, non serve sapere quali sono le tue attitudini e, soprattutto, bisogna accontentarsi. Un esercito di figurine da spostare sul tabellone del territorio. Così se Pikachu è da 20 giorni a Osteria del Suburbio perché farlo lavorare tranquillo? Spostiamolo di 45 km, non verso casa sua, bensì in una terza direzione, e mandiamolo sulla via Disperatina così Bulbasaur lo posizioniamo a vicolo degli Altrui Privilegi, che lui sai, è amico della mia … .

 

Va bene, ci piacciono tanto i giochi di ruolo, dobbiamo fare la gavetta, ma non vorremmo da soli alzare il PIL dell’Arabia Saudita e friggerci perennemente il cervello per scambiare dati al telefono col collega che “c’era prima”. Anche perché non c’è niente di più indisponente del sentire qualcuno che ribadisce, con la simpatia di Gollum, che Ermengarda però, non si comportava come te. Ma IL Problema dell’essere numeri non è solo ed essenzialmente questo. Perché brave cooperative e società esistono, pare: tuttavia per cercare di perdurare in questa condizione ontologica, l’esistenza appunto, devono confrontarsi col mercato. E quindi il giovane Holden, no scusate, il giovane Archeologo, oltre che mobile, qual piuma al vento, deve anche essere economico. Non che esista una reale contrattazione, questo è, se lo vuoi bene, altrimenti ce ne sono tanti fuori. Tutti uguali, tutti affamati, anche senza conoscere Steve Jobs.E se non sono il top, meglio. Se ti possono criticare tenerti sotto controllo è più semplice.

 

La forza di questi sistemi tuttavia è la nostra disperazione e la nostra relativa disattenzione. Quindi, se ci riflettiamo, scardinarli dovrebbe essere semplice.

 

Se l’ “esercito” è fatto di cloni, senza cloni l’ “esercito” non esiste.

 

Voi vi sentite ancora cloni, per caso?

 

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P.S. Per una riflessione meno ironica sull’annosa questione dell’equa retribuzione e dell’inquadramento professionale in campo archeologico si vedano le posizioni ed i siti delle associazioni di categoria ormai fortunatamente esistenti.

 

Paola Romi, l’autrice di questo post è su Twitter: @OpusPaulicium

Non aprite quella porta (dal blog passato e futuro)

Ogni indagine archeologica sul campo lascia in eredità la sfida di ricostruire e capire. Ma anche di narrare, perché è difficile, per non dire impossibile, capire qualcosa se non si prova a spiegarla e a raccontarla.

Spesso invece accade che, quando si riesce a pubblicare i risultati di una ricerca, lo si fa prioritariamente (per non dire esclusivamente) per la comunità scientifica: per quelli che con un’espressione che sembra mutuata acriticamente dal lessico di gestione di una centrale termonucleare si definiscono “gli addetti ai lavori”.

Poi, se va bene, “se avanza tempo” e “se ci sono le risorse”, si potrà pensare a “comunicare” o “divulgare” all’interno di una operazione dai tratti spesso sfumati che perlopiù viene frettolosamente demandata alla vaga promessa della “valorizzazione”…

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Storia di un’archeologa che ‘se l’è andata a cercare’ (da archeologhe che (r)esistono)

Giornata di cantiere su una strada a Torrimpietra (Fiumicino), non lontano dal Castello dove sono state festeggiate le nozze della Carfagna. Il posto sarebbe bellissimo, non a caso sottoposto a vincoli di ogni genere, ma al momento è una discarica a cielo aperto e soprattutto luogo prediletto per prostitute e clienti che si appartano (in 5 giorni di lavoro mi sono fatta una bella cultura!).
Venerdì alle ore 12 ho pensato di fare due passi… così, per vedere il castello… nonostante i miei abiti da cantiere (sinceramente contro ogni tentazione) un auto con un uomo si accosta insistente…

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La rivolta degli archeologi (da goleminformazione.it, 13/01/2013)

“L’unica cosa che mi hai insegnato, papà, è che io ero meno importante di popoli morti cinquecento anni prima in un altro paese”. Questo diceva nel 1989 Indiana Jones, padre spirituale di tante generazioni di archeologi. “Se vuoi continuare ad occuparti del passato garantisciti il futuro”, “Il lavoro degli archeologi non è una merce”, “Diritti di maternità per le archeologhe italiane”, “Non chiediamo risorse, le risorse siamo noi”. Questo lamentano oggi gli archeologi italiani, tanto da aver organizzato di recente una manifestazione a Roma per rivendicare uno spazio negato da tempo.

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Come si diventa archeologo (dal blog archeologiaduepuntozero)

La domanda è semplice, la risposta un po’ meno. Prima di iniziare un percorso sicuramente appassionante ma molto faticoso è bene avere le idee chiare. Nonostante i vari cambi di ordinamento, non esiste – e probabilmente sarà così per sempre – un albo degli archeologi. Archeologo, di per sé, può esserlo chiunque. Ma laurearsi nella materia aiuta…continua